giovedì 3 maggio 2018

Con le barriere di Trump a rischio proprio l’export che ha spinto la ripresa in Avvenire 4 maggio


Con le barriere di Trump a rischio proprio l’export che ha spinto la ripresa
Il presidente Usa ha rinviato a fine maggio la decisione se imporre all’Unione europea 'dazi di ritorsione' analoghi a quelli applicati nei confronti di alcune categorie merceologiche cinesi e di altri Paesi a bassi costi di produzione. Il rinvio è stato, in gran misura, il frutto di richieste e pressioni da parte di Francia, Germania e Gran Bretagna, non dell’Ue nel suo complesso. L’Italia, priva di un governo nella pienezza delle sua funzioni, ha avuto difficoltà a muoversi in prima persone. Se, come ci si auspica, il più vasto negoziato in corso tra Washington e Pechino andrà a buon fine, è probabile che la minaccia nei confronti dell’Europa verrà ritirata, ma occorre comunque chiedersi quali saranno le implicazioni per l’Italia se tra poche settimane verranno applicati unilateralmente dagli Stati Uniti alle merci Ue. Occorre distinguere due profili, quello macroeconomico e quello sui singoli settori. Dal punto di vista macroeconomico, siamo un una fase di lenta e fatica ripresa agevolata, ove non trainata, dalla nostra bilancia commerciale che, nonostante il forte apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro (un dazio implicito del 20% circa nell’ultimo anno) ha tenuto molto bene: un surplus di 40 miliardi di euro che per il manifatturiero raggiunge 90 miliardi; grazie all’export è anche migliorata la nostra posizione finanziaria sull’estero. Un freno all’export, a ragione di dazi Usa o di rallentamento dell’interscambio mondiale a causa di una guerra commerciale o altro, avrebbe conseguenze pesanti per la nostra economia. Per quanto riguarda i principali settori merceologici , occorre distinguere tra quelli che verrebbero colpiti direttamente (acciaio, alluminio e forse auto, un comparto in cui gli Usa hanno un deficit di 120 miliardi di dollari nei confronti dell’Ue e dove l’Europa pratica dazi pari a quattro volte quelli americani) e quelli che avrebbero implicazioni avverse indirettamente, a ragione della distorsione dei flussi commerciali tradizionali (quali quelli cinesi) per i quali il mercato americano si chiude; probabilmente si dirigeranno verso le destinazioni rimaste accessibili, come l’Ue. Ciò sta già avvenendo e si intensificherà anche se Washington decide di non imporre dazi sull’Europa.
Un esempio sono le aziende italiane che vendono tondi per cemento armato, che possono temere la maggiore competizione nei loro principali mercati di sbocco, come l’Algeria, di prodotti provenienti, per esempio, dalla Turchia. Più in generale, tenderanno ad aumentare i flussi in entrata nell’Ue, che nel complesso è il primo importatore mondiale di acciaio e alluminio. Secondo stime Ocse, più del 40% del valore dell’export manifatturiero cinese viene dall’estero, specie dall’Asia (Giappone, Corea del Sud, ecc.), dall’Europa e dagli stessi Stati Uniti. Ciò indica che l’America di Trump non è sola nell’osteggiare il sistema di regole multilaterali che governano gli scambi commerciali internazionali e che ha al suo centro l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Ha da anni un alleato nella Commissione europea che non ha mai nascosto di preferire intese bilaterali tra grandi mercati comuni e aree di libero scambio a un sistema multilaterale e di non gradire l’Omc che ha come parti contraenti i singoli Stati e non entità che si ritengono sopranazionali come la Commissione medesima.
Giuseppe Pennisi
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