sabato 17 marzo 2018

Per l’Unione monetaria il mercato non basta Serve condividere i rischi in Avvenire 17 marzo


Per l’Unione monetaria il mercato non basta Serve condividere i rischi
Ci si attendevano grandi cose dalla riunione dei ministri economici e finanziari (Ecofin) del 13 marzo (e dalla contemporanea riunione dell’Eurogruppo) in termini sia di risoluzione di problemi immediati (ad esempio, il trattamento dei crediti deteriorati, argomento su cui pure istituzioni europee hanno punti di vista divergenti) sia di riforma dell’Eurozona. C’è stato, invece, un nulla di fatto. In aggiunta, un gruppo di Paesi guidati dall’Olanda, hanno assunto posizioni nettamente 'rigoriste' nei confronti degli Stati con alto debito sovrano e difficoltà di consolidamento di finanza pubblica. I progetti di spessore di riforma dell’unione monetaria sono stati, per il momento, accantonati.
Eppure da un 'grande disegno' di riassetto dell’Unione occorre partire perché le cronache degli ultimi anni suggeriscono che l’Eurozona si sta avviluppando in numerosi nodi (primo tra tutti quello del debito sovrano) che ne minacciano lo sviluppo. Un punto di partenza può essere il documento redatto da 14 economisti (7 francesi e 7 tedeschi), presentato il 17 gennaio in una sede tecnica, il Centre for European Policy Reform, a Bruxelles. Gli economisti che lo hanno redatto sono vicini alla politica di Francia e di Germania, soprattutto Jean Pisani-Ferry, docente a Sciences Po a Parigi e alla Hertie School of Government di Berlino e Jeronim Zetterlmeyer del Peterson Institute of International Economics. Né il governo francese né quello tedesco hanno fatto proprio il documento che si articola in sei punti principali: la rottura del circolo vizioso tra banche e titoli di Stato; la sostituzione del patto di stabilità con nuove regole sulla spesa pubblica nominale (la cui crescita non dovrebbe superare quella del Pil nominale); un nuovo sistema di ristrutturazione dei debiti sovrani, un maggior ruolo agli Uffici parlamentari di bilancio. Negli ultimi due mesi, il documento ha suscitato un fiorire di osservazioni e di papers (in Italia, di particolare rilievo il lavoro di Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy, e di Stefano Micossi, direttore dell’Assonime). Semplificando al massimo testi con contenuti molto tecnici, occorre trovare un punto di equilibrio tra 'disciplina di mercato' e 'condivisioni del rischio'. Il Trattato di Maastricht si basa quasi interamente sulla 'disciplina di mercato' (posti alcuni paletti alla 'finanza pubblica', regole in materia di rapporti tra deficit delle pubbliche amministrazione e debito pubblico, da un lato, e Pil, dall’altro) nella convinzione che, data una unica politica monetaria condotta dalla Bce, il mercato avrebbe disciplinato (con spread più elevati) gli Stati 'devianti'. Le vicende degli ultimi anni (specialmente a ragione della crisi iniziata nel 2008) hanno dimostrato che, da sola, la disciplina di mercato non basta e deve essere affiancata da misure di 'condivisione del rischio'. Senza la quale non si va lontano e si mettono a repentaglio i risultati sin qui raggiunti dall’unione monetaria.
Giuseppe Pennisi
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