mercoledì 21 febbraio 2018

Se un ambasciatore finisce a Regina Coeli in Formiche 21 febbraio



Se un ambasciatore finisce a Regina Coeli
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Giuseppe Pennisi legge per Formiche.net il libro "Un Ambasciatore a Regina Coeli" (Editori Riuniti) nel quale Claudio Moreno racconta la sua personale esperienza
Domani giovedì 22 febbraio, dopo un lungo periodo e un complesso iter procedurale, la riforma delle carceri dovrebbe avere il via definitivo dal Consiglio dei ministri. Si è temuto, e si temerà sino alla pubblicazione dei provvedimenti in Gazzetta Ufficiale, di un ulteriore slittamento che farebbe rinviare tutto alla prossima legislatura.
Un impulso a quello che pare essere uno sprint finale (e tardivo) è stato dato oltre che dall’urgenza obiettiva e dai digiuni per fare l’ultimo miglio anche da un libro uscito negli ultimi giorni del 2017 e in queste settimane tema di dibattito (e di indignazione) ai piani alti dei Palazzi romani: Un Ambasciatore a Regina Coeli di Claudio Moreno con introduzione di Rita Bernardini e prefazione di Vitaliano Esposito (Editori Riuniti, pp.200, euro 12).
Conosco da decenni Claudio Moreno in quanto ambedue, pur con sei anni di distanza, studenti della School of Advanced International Studies-Europe di Bologna (e, quindi , frequentatori delle riunioni periodiche di ex allievi), nonché partecipanti, negli anni Ottanta, ai seminari del centro studi MondOperaio allora animato da Luciano Pellicani.
Ho anche interagito con lui per un paio d’anni al Fondo aiuti italiano, Fai (il fondo speciale per debellare la fame del mondo creato dal Parlamento come risposta alle richieste di un gruppo di parlamentari radicali guidati da Francesco Rutelli). Ero componente del comitato per le questioni economiche e finanziarie del Fai di cui Moreno era direttore esecutivo. Il comitato era formato da specialisti in gran misura docenti universitari che si riunivano una volta la settimana a titolo onorifico (ossia gratuito) e fornivano pareri “obbligatori”, ma non vincolanti, al sottosegretario delegato e alla struttura. In quel periodo, interagii spesso con Claudio Moreno, di cui apprezzai il rigore. L’efficienza era già nota.
Entrato in carriera diplomatica giovanissimo, all’inizio degli anni Settanta, era considerato un “pericoloso sovversivo” lombardiano e pannelliano in una Farnesina ingessata in una corazza democristiana; riuscì a farsi apprezzare. Nel 1976 era ambasciatore in Mozambico (accreditato anche in Swaziland e Lesotho), nel 1980 in Senegal (accreditato anche in Gambia, Mauritania, Capo Verde e Mali), a Roma direttore esecutivo del Fai, e, successivamente, in Tunisia e Argentina (una delle sedi più importanti anche a ragione dell’alta percentuale di discendenti di emigranti italiani). La sua missione a Buonos Aires, e la sua carriera, vennero improvvisamente interrotte quando venuto a Roma per normali consultazioni di routine, venne invitato da colleghi ad avere un colloquio con un procuratore che stava indagando sulla cooperazione allo sviluppo: il magistrato lo fece tradurre immediatamente a Regina Coeli, dove restò sei mesi. Ciò causò, tra l’altro, grave imbarazzo per l’Italia in Argentina e non solo. La vicenda durò ben 14 anni sino all’assoluzione “per non aver commesso il fatto”. Successivamente, Moreno poté riprendere la sua carriera, conclusa come Rappresentante permanente presso le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali con sede a Vienna e, raggiunta l’età della pensione, con incarichi di coordinatore di varie “expo” internazionali (Milano, Saragozza, Yeusho, Venlo). È anche stato presidente del Comitato Diritti Umani e Capo delle delegazione italiana alla Conferenza Mondiale Onu con razzismo, discriminazioni e intolleranza.
Il libro non tratta della vicenda giudiziaria (ne uscirà presto un secondo sulle indagini, quasi tutte archiviate, in materia di cooperazione allo sviluppo), ma sulla sua esperienza a Regina Coeli. Un ritratto del coraggio, per parafrasare il titolo del volume che nel 1957 valse il Premio Pulitzer all’allora Senatore John Fiztgerald Kennedy.
Nelle condizioni disumane di un carcere vetusto e affollato oltre ogni immaginazione, fu l’ambasciatore (con la ‘a’ minuscola in quanto era e si considerava carcerato come gli altri), pur innocentissimo e di ciò convintissimo, era lui a infondere coraggio ai suoi compagni di carcere. Il volume descrive con cura le condizioni di Regina Coeli e tratteggia i ritratti degli “ospiti” (il taccheggiatore, lo specialista di pizzicheria, gli addetti agli ufficio postali, il cassafortaro, il buttafuori senegalese, il rapinatore di tir) e include un prezioso glossario del linguaggio carcerario. Illustra momenti di (relativa) gioia come la partecipazione a un torneo di tennis e l’animazione di una squadra di calcetto tra le mura di Regina Coeli. Descrive momenti di sconforto: l’attesa, a volte disillusa, di “uscire”, il degrado per persuadere a confessare reati mai commessi ossia come forma di tortura. Dipinge “i femminielli e i viados”, la violenza sempre latente, le autolesioni, i suicidi e i tentativi di suicidi, le proteste, i tumulti, gli scioperi della fame. In breve, con la forza morale della coscienza di essere innocente e con l’esperienza di avere rappresentato, per tanti anni, l’Italia in sedi difficili, l’ambasciatore diventò un pilastro di supporto per la complessa e numerosa popolazione carceraria e lui stesso ne trasse una grande esperienza umana.
Dal libro si trae non solo l’urgenza di una riforma degli istituti di detenzione e pena ma anche e soprattutto di una profonda riforma della magistratura con separazione delle carriere e con incentivi a magistrati che fanno bene il loro lavoro e di converso sanzioni a quelli che dilapidano le risorse pubbliche in processi inutili e causano angoscia e danni a innocenti.
È un libro che il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dovrebbe porre tra le letture consigliate nelle scuole secondarie superiori.

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