giovedì 2 novembre 2017

Gli effetti collaterali del QE in Formiche mensile 2 novembre

Dopo le elezioni tedesche si cominciano
a contare le settimane,
non i mesi, della riduzione
del quantitative easing (QE)
nell’eurozona. La Germania non
è mai stata favorevole al QE e,
soprattutto, la situazione economica
e finanziaria è cambiata da
quando, a fine dicembre 2011,
il QE è diventato operativo
nell’area dell’euro.
Dato che questa è una rivista di
cultura politica, credo sia utile
illustrare sinteticamente cosa
si intende per QE. La sigla, e il
suo termine inglese, possono essere
tradotti con alleggerimento
o allentamento quantitativo, o
anche facilitazione quantitativa.
È una delle modalità non convenzionali
con cui una banca
centrale interviene sul sistema
finanziario ed economico per
aumentare la moneta in circolazione
e favorire la crescita.
Le banche centrali, usualmente,
agiscono sull’economia manovrando
i tassi d’interesse con cui
concedono moneta alle banche
(nell’eurozona, prima del 1999,
il tasso d’interesse praticato
dalla banca centrale alle banche
era noto con il termine tasso
ufficiale di sconto). Quando ciò
non è possibile, perché il il tasso
di riferimento raggiunge lo zero,
la banca centrale è costretta
ad abbandonare lo strumento
abituale, cioè stabilire il prezzo
del denaro (tasso d’interesse)
e inizia a usare uno strumento
di politica monetaria non
convenzionale come il QE. Gli
effetti benefici dell’uso di questo
strumento nei vari Paesi dove
ha trovato applicazione sono
oggetto di controversia. Poiché
non è chiaro se e quanto le
facilitazioni monetarie abbiamo
raggiunto le imprese e, quindi,
siano state un vero stimolo alle
attività produttive.
Ora che il QE pare al tramonto,
coloro che criticano lo strumento
pongono l’accento sui suoi
effetti collaterali. Ad esempio,
dall’inizio di ottobre circola un
discussion paper del Timbergen
Institute dell’Università di Amsterdam:
Quantitative easing
and exuberance in government
bond market evidence from
Ecb’s expanded asset purchase
program (tradotto, QE e l’esuberanza
nel mercato dei titoli
di Stato: il caso del programma
di acquisti da parte della Bce).
Ne sono autori Marijn Drôes,
Ryan Van Lamoen e Simona
Mattheussens. Gli ultimi due
sono del servizio studi della
Banca centrale olandese. Il
lavoro, rigorosamente quantitativo,
suggerisce che la valorizzazione
dei titoli di Stato non
è più “in linea con gli aspetti
fondamentali delle rispettive
economie”. Un modo elegante
per dire che sono sovraprezzati.
È necessario – aggiungono – un
monitoraggio molto attento.
Altri (ad esempio, Ben Bernanke,
Mark Gertler e Simon
Gilchrist) pongono l’accento
sul fatto che la sopravvalutazione
dei titoli di Stato (attribuibile
al QE) potrebbe essere
il grimaldello della prossima
crisi finanziaria. Le scritture
contabili delle banche sono
stracolme di titoli di Stato a
basso rendimento. Ciò riflette
anche la forte crescita del
debito pubblico, specialmente
nell’eurozona e potrebbe inoltre
indurre le banche a sbarazzarsi
di titoli a basso rendimento e
ad alto rischio emessi dai Paesi
più indebitati.
Quindi, occhio sull’evoluzione
della situazione nei prossimi
mesi: una nuova crisi potrebbessere
in agguato.
*Presidente della Commissione
speciale informazione del Cnel e del
comitato scientifico del centro studi
ImpresaLavoro
di Giuseppe Pennisi*
Gli effetti collaterali del quantitative easing

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