mercoledì 4 ottobre 2017

Ancora troppe insidie nelle obbligzioni emesse dai governiin Avvenire del 5 settembre



Ancora troppe insidie nelle obbligazioni emesse dai governi
Occorre guardare al mercato obbligazionario ed al 'debito sovrano' piuttosto che a quello azionario per anticipare i tempi della crisi finanziaria prossima ventura e 'mettersi insicurezza'. È questa la conclusione di un recentissimo rapporto della Deutsche Bank, conclusione che il mondo accademico ripete da diversi mesi. Le crisi finanziarie internazionali erano una rarità nel passato, quando la finanza era poco globalizzata e le monete erano agganciate a valori 'reali'. Dopo la Seconda guerra mondiale, il sistema di Bretton Woods si è rivelato, per decenni, un buon antidopo a crisi finanziarie internazionali, grazie al regime di cambi fissi ed agli interventi del Fondo monetario internazionale per smorzare le avvisaglie di incendi nazionali che minacciavano di propagarsi. Dall’inizio degli Anni Settanta, con la fine dei cambi fissi e la riduzione degli interventi Fmi, sono diventate molto più frequenti. Il documento della Deutsche Bank ha una definizione molto rigorosa di cosa è una crisi: una riduzione del 15% della valorizzazione del mercato azionario, un deprezzamento del 10% della moneta o dei titoli di Stato, un’insolvenza del debito pubblico. Altri autori (ad esempio, Ben Bernanke, Mark Gertler e Simon Gilchrist) pongono l’accento sull’acceleratore del contagio internazionali. Data la frequenza delle crisi dal 1973, un po’ tutti avvertono che occorre stare in guardia: a dieci anni dalla crisi iniziata nel 2007-2008, un’altra tempesta sarebbe in arrivo. Difficile definire il 'quando'.
Più chiaro esaminare il 'come'. L’origine non sarebbe il mercato azionario, ma l’obbligazionario. L’ipotesi più frequente nella letteratura specialistica di questi ultimi tempo è che il grimaldello potrebbero essere i titoli di Stato, il cui mercato si è gonfiato in una prima fase per frenare la crisi cominciata nel 2007-2008 ed in una seconda per non fare mancare liquidità ai segnali di ripresa della produzione e dell’occupazione, mantenendo bassi i tassi d’interesse. I conti delle banche sono stracolmi di titoli di Stato a basso rendimento. Ciò riflette anche la forte crescita del debito pubblico, specialmente nell’eurozona, tuttavia i tassi d’interesse stanno crescendo negli Usa e la Bce europea potrebbe presto chiudere i rubinetti del Quantitative Easing . Ciò potrebbe indurre le banche a sbarazzarsi di titoli a basso rendimento ed a alto rischio emessi dai Paesi più indebitati. Le famiglie lo stanno già facendo. La banche centrali sono consapevoli del problema. Ma potrebbe bastare un sussulto (ad esempio, dal lato dei cambi) per scatenare una nuova crisi.
Giuseppe Pennisi

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