giovedì 13 luglio 2017

L’EPOPEA DI MATTEO RICCI IN “SHI” AL MACERATA OPERA FESTIVAL in IL DUBBIO 13 luglio13



L’EPOPEA DI MATTEO RICCI IN “SHI” AL MACERATA OPERA FESTIVAL
Il gesuita che insegnò il diritto romano ai mandarinicinesi
GIUSEPPE PENNISI
Pullulano le convenzioni e gli accordi tra Università italiane e cinesi sull’insegnamento del diritto romano tanto nel nostro Paese ( ad esempio, all’Università di Roma La Sapienza) quanto in atenei dell’Estremo Oriente. In effetti, dopo un lungo periodo di assolutismo comunista e millenni di assolutismo imperiale, la Cina sente una forte esigenza di regole per trattare rapporti commerciali, familiari e via discorrendo e un sistema di codici scritti è più congeniale ai cinesi del common law basato sulla giurisprudenza precedente. Anche se i primi lavori scritti di traduzioni del diritto romano in mandarino risalgono all’inizio del Novecento, i semi erano stati gettati nella metà del Cinquecento con le prime missioni dei gesuiti in Estremo Oriente.
Iniziarono a Macao dove, dopo una prima esperienza complicata, nel 1557 i gesuiti ottennero di insediarsi e rimasero fino al 1999; là impiantarono il diritto del sistema romanistico, che è insegnato da secoli nella locale università ed è stato tradotto in mandarino a opera di un apposito Gabinete para a tradução jurídica. Nel Cinquecento, erano giunti in Cina anche gli spagnoli, ma non si insediarono.
Giunsero gli olandesi e dal 1623 iniziarono a occupare Taiwan, impedendo un’espansione nell’isola degli spagnoli; ma essi, poi, ne furono cacciati nel 1662. Che anche da queste relazioni sia scaturito un dialogo a livello giuridico e l’interesse alla iustizia con cui l’imperatore governava in Occidente nei secoli ai quali si è fatto cenno e nel corso di tali scambi, merita ancora una verifica. Ma – pochi lo sanno- uno dei protagonisti dell’introduzione anche del diritto romano ( come di tanti altri aspetti della cultura occidentale quali gli orologi), fu Matteo Ricci che guadagnò la fiducia dell’Imperatore e della Corte.
A Matteo Ricci s’inspira Shi ( Si faccia) , la nuova opera commissionata dal Macerata Opera Festival, lo spettacolo inaugurale del Festival che inizia il 20 luglio sino al 14 agosto. L’autore è Carlo Boccadoro, origini maceratesi, tra i più apprezzati compositori italiani contemporanei, su libretto di Cecilia Ligorio, regista e drammaturga italiana con esperienze significative nei principali teatri europei, sia nel teatro di prosa che in quello musicale. L’opera – per due pianoforti, percussioni, attore e due baritoni – debutta in prima assoluta il 20 luglio al Teatro Lauro Rossi ( repliche il 26 luglio, 2 e 9 agosto). L’allestimento è realizzato con la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Macerata che cura le scene, i costumi e le luci. Le voci sono di Roberto Abbondanza e Bruno Taddia e la partecipazione dell’attore Simone Tangolo. «Una bella sorpresa per noi lavorare a Shi – afferma la direttrice dell’Accademia delle Belle Arti, Paola Taddei –, si respira un’aria davvero vivificante e, stando in contatto con la Ligorio, abbiamo scoperto aspetti di Matteo Ricci nuovi e appassionanti». L’ulteriore strumento del quale Ricci si servì per conquistare rispetto e autorità presso i cinesi fu l’utilizzo della logica occidentale, in particolare della dialettica, soprattutto nelle dispute pubbliche con maestri confuciani e buddisti. Egli intendeva la dialettica come arte della dimostrazione e della persuasione. La dialettica è aspetto fondante del diritto processuale romano. Infine, Ricci comprese molto presto che nella situazione eccezionale sarebbe stato indispensabile conoscerne bene la cultura e i classici della Cina. Per questo si mise con grande impegno allo studio dei Quattro Libri, che tradusse in latino. Ricci conosceva bene ( qualcuno sosteneva che li conoscesse a memoria e certamente meglio di molti mandarini cinesi) anche le Cinque Dottrine, altro testo canonico presente nei programmi degli esami di stato per il mandarinato dei funzionari governativi. L’attenzione per la letteratura cinese si fondava su due ragioni: non sarebbe stato possibile riferirsi adeguatamente agli interlocutori senza conoscere i testi canonici della loro formazione ( e qui parliamo non soltanto di confuciani, ma anche di taoisti e di buddisti); Ricci aveva trovato come strumento utilissimo di persuasione utilizzare nella presentazione delle proprie tesi anche l’autorità dei testi classici della Cina.
Ricci inoltre seppe procurarsi rispetto e ammirazione per la grandezza morale e civile delle «terre de’ Cristiani», ossia l’Europa. Egli pensava che per richiamare l’attenzione dei cinesi sulla religione cristiana sarebbe stato estremamente utile mostrare i frutti delle civiltà che questa sapeva esprimere, seguendo il precetto evangelico, e non solo, per cui la bontà di una fede o di una dottrina viene riconosciuta dalle opere che questa è in grado di produrre. Egli aveva scoperto che i suoi interlocutori erano favorevolmente colpiti dalle istituzioni caritative e sociali vigenti in Europa. Ricci scelse inoltre interlocutori privilegiati. Questo fu un momento decisivo nella strategia di Ricci: scegliere l’interlocutore a cui rivolgersi in modo preferenziale e con il quale stringere alleanza. Quando cominciò a capire che per giungere all’imperatore egli doveva passare comunque attraverso la classe mandarinale e, ancor più, quando cominciò a temere che sarebbe stato impossibile incontrare direttamente l’imperatore, Ricci si rivolse decisamente a questa, scegliendo dunque il confucianesimo come dottrina privilegiata di dialogo e riferimento. Il confucianesimo era infatti la dottrina di riferimento di letterati e mandarini, governanti della Cina. Le ragioni di questa scelta, oltre che “politiche”, erano, d’altra parte, filosofiche e teologiche. Il confucianesimo presentava, rispetto alle altre due religioni della Cina, taoismo e buddismo, il vantaggio di non avere una metafisica e una dottrina dell’altra vita: in tal modo non veniva a costituire un ostacolo insormontabile nella predicazione del cristianesimo, fondato su principi metafisici del tutto alternativi, anzi incompatibili, con quelli sui quali sono fondati taoismo e buddismo.
Non è un caso che autori come Cicerone, Seneca, Marco Aurelio, Epitteto avessero tanta parte nella formazione dei gesuiti nei diversi cicli di insegnamento del Collegio Romano e non è a caso che, quando Ricci prova ad esporre in cinese un primo modello occidentale di dottrina morale, ricorra a man bassa al Manuale di Epitteto, che nelle Venticinque sentenze, pubblicate nel 1605 a Pechino, ma composte tra la fine del 1599 e il 1600 a Nanchino, per metà traduce quasi alla lettera, per l’altra metà riassume e parafrasa. Insomma, Ricci non trovò di meglio, per presentare ai cinesi la morale europea ed il diritto, che introdurli al pensiero di Epitteto. La morale stoica venne così a svolgere una funzione di ponte e di intermediazione tra la morale confuciana e quella cristiana, che, non essendo esclusivamente fondata sulla ragione, come le prime due, ma anche sulla rivelazione, non poteva essere presentata subito nella sua integrità.
IL SACERDOTE SI SERVÌ DELLA FILOSOFIA E DELLA DIALETTICA OCCIDENTALE PER CONQUISTARE RISPETTO E AUTORITÀ, INGAGGIANDO DISPUTE PUBBLICHE CON MAESTRI CONFUCIANI E BUDDISTI

Nessun commento: