venerdì 5 maggio 2017

È il Fiscal Compact la causa dell’aumento del debito? in Avvenire 6 maggio



Lo studio
È il Fiscal Compact la causa dell’aumento del debito?
Ese fossero le politiche restrittive del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact una delle determinanti del più alto tasso di crescita del rapporto debito pubblico-Pil dell’Eurozona rispetto a quello di altri Paesi europei che non si sono messi sul percorso della moneta unica?
È questo l’interrogativo che ci si pone alla lettura di un saggio di Mario Ciocca, dirigente di ricerca del Cnr, attualmente distaccato presso l’Università dell’Arizona. I Paesi europei al di fuori dell’area dell’euro presi in considerazione sono la Svezia, il Regno Unito, la Danimarca, la Norvegia e la Polonia, contrassegnati con l’acronimo inglese Cnec (Countries Not Euro Currency), un gruppo che non include la Svizzera e gran parte dell’Europa Orientale. I dati statistici, le serie Eurostat, sono omogenei. Vengono presi in esame due periodi: il 1995-2000 (quando i Paesi che sarebbero entrati nella moneta unica, si preparavano all’euro) e il 2001-2014 (ossia i primi tre lustri del funzionamento dell’unione monetaria e dei trattati ed accordi intergovernativi mirati essenzialmente alla stabilità finanziaria ed alla riduzione del peso del debito pubblico).
Cumulativamente il debito pubblico dei Cnec è mediamente diminuito, in percentuale del Pil dal 50,47% nel periodo 1955 al 2000 al 46,09% nella fase 2001-2014, mentre nell’eurozona è aumentato dal 2001 al 2014. In sostanza si evidenzia un sempre più marcato debito-Pil nell’eurozona e una graduale riduzione del fardello del debito sul prodotto interno lordo nei Cnec. Un percorso, quindi, fortemente asimmetrico. Ciò è dovuto a numerose determinanti. Alcune attinenti più alla sociologia che alla politica economica. Altre connesse con le politiche di bilancio perseguite: nell’eurozona: nel periodo 2001-2014 l’indebitamento netto della pubblica amministrazione è stato mediamente il 3,83% del Pil, mentre nei Cnec l’1,32%, nonostante nell’area dell’euro la pressione tributaria e contributiva sia significativamente più alta e gli investimenti pubblici (sempre in rapporto al Pil) siano più bassi che nei Paesi senza moneta unica.
La conclusione principale è che con le politiche economiche attuali è improbabile che l’eurozona riduca anche nel lungo periodo il peso del debito sul Pil. Non solamente a ragione di determinanti socio-politiche e demografiche, ma soprattutto in quanto le istituzione europee (e i vari accordi intergovernativi) sostengono la regola del pareggio di bilancio in tutti i Paesi dell’eurozona. Tanto la teoria quanto l’esperienza dimostrano che questi obiettivi (e le regole da esse derivate) non sono ottimali dati gli elevati e differenti livelli iniziali di debito pubblico nei vari Paesi dell’eurozona. Al contrario, argomenta lo studio, se non si risolvono in via prioritaria i nodi strutturali (diversi da Paese a Paese dell’eurozona) non solamente non si rilancerà la crescita, ma le attuali politiche europee dirette ad affrontare il debito potranno portare a una stagnazione di lungo periodo con elevati tassi di disoccupazione. Ripetiamo: senza ridurre il peso del debito.
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