domenica 4 settembre 2016

Che legame c’è fra assetti istituzionali e andamenti dell’economia?in Formiche 5 settembre



Che legame c’è fra assetti istituzionali e andamenti dell’economia?
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Che legame c’è fra assetti istituzionali e andamenti dell’economia?
Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Alla Università Johns Hopkins, che io frequentavo a Washington, il professore di economia internazionale, Isaiah Frank, sempre molto formale, si accomiatava dalla classe, al termine della lezione, con un Arrivederci Signori Studenti… Non fatevi mai illusioni.
La frase mi è tornata in mente in questi giorni in materia della interpretazioni, più varie e più distanti, a proposito dei dati forniti dall’Istat sull’andamento dell’economia. Non sono dati congiunturali perché ormai da anni l’Italia è in una fase di crescita o negativa o molto prossima allo zero, la capacità di produzione industriale è diminuita del 25% circa, la disoccupazione resta tra le più alte in Europa (nonostante i benefici di brevissimo periodo forniti da forti incentivi a convertire contratti di vario tipo nella tipologia di rapporti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti), il debito pubblico cresce sia in valore assoluto sia in rapporto al Pil, pare sempre più arduo raggiungere gli obiettivi di equilibrio strutturale di bilancio che avremmo dovuto raggiungere nel 2014.
Non mi faccio illusione. Non credo che un po’ di flessibilità (in termini di rapporto indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e Pil) che forse ci verrà concessa dalle autorità europee potrà fare da volano a un andamento dell’economia scoraggiante.
Le determinanti sono molteplici: una popolazione che invecchia, un apparato produttivo obsoleto (a parte alcune “eccellenze”), un ceto imprenditoriale sostanzialmente immobile, una specializzazione produttiva assuefattasi a periodiche svalutazioni competitive (prima dell’avvento dell’unione monetaria). Su queste ed altre determinanti si discute da anni e sono stati presentati studi pregevoli.
Non si parla, però, di una determinante che si è aggiunta negli ultimi due anni: l’incertezza correlata al futuro istituzionale del Paese. L’incertezza è stata tanto maggiore in quanto il progetto di riforma costituzionale (da essere, peraltro, convalidato per referendum) ha numerosi aspetti controversi, e si accompagna ad una legge elettorale ancora più controversa. Ambedue sono stati approvati da un Parlamento in cui il partito vincente ha avuto alle ultime elezioni circa il 25% dei suffragi e grazie ad una manciata di voti si è assicurato la maggioranza dei seggi alla Camera dei Deputati. Quindi si tratta non di riforme condivise ma tali, al contrario, da dividere ulteriormente gli italiani, da aggravare l’incertezza e distogliere l’attenzione dai temi economici. Un quarto di secolo fa, Douglas C. North ebbe il Premio Nobel con un breve libro in cui dimostrava che in questi condizioni l’andamento dell’economia non può essere che deludente.
Ciò vuol dire che ci sarà una svolta quale che sia l’esito? Non proprio. Mi baso sempre su North. Se vince il Sì alla grande, ci vorranno almeno cinque anni per l’apprendimento delle nuove regole. Se vince il Sì di misura, si acuirà il contrasto tra chi ritiene (a torno o a ragione) che la riforma sia l’esito del lavoro di un Parlamento delegittimato a causa di un premio di maggioranza giudicato “abnorme” dalla stessa Corte Costituzionale. Se vince il No, Governo e Parlamento dovranno trarne le conseguenze.
Arrivederci Signori Studenti… Non fatevi mai illusioni
05/09/2016

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