domenica 26 giugno 2016

L’Italia dopo la Brexit, cosa può e deve fare in Formiche 26 giugno



L’Italia dopo la Brexit, cosa può e deve fare
AddThis Sharing Buttons
Share to WhatsAppShare to TwitterShare to FacebookShare to Google+Share to LinkedInShare to E-mail
L’Italia dopo la Brexit, cosa può e deve fare
Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Credo che, per ragioni anagrafiche, né Matteo Renzi né Pier Carlo Padoan abbiano visto un film di grande successo (un vero ‘blockbuster’) del 1952 diretto da Raoul Walsh: Il Mondo nelle Mie Braccia. Un film di avventure in cui, tra i ghiacci del mar dell’Alaska che sta per essere venduta agli Stati Uniti, una principessa russa (Ann Blyth) è contesa tra un trafficante portoghese (Anthony Quint , un navigatore americano di lungo corso (Gregory Peck) ed un principe di San Pietroburgo (Carl Esmond). Quando, dopo vicende di ogni genere, l’americano libera la principessa dai pretendenti e veleggia verso acque più tranquille, pone la fanciulla tra le sue braccia al timone, dicendole: Un timoniere solo e barra dritta.
Che attinenza c’è tra un film di avventure allora tra i record degli incassi e l’Italia dopo la Brexit? La necessità che per navigare tra i marosi ed i ghiacciai (i mercati saranno a lungo in tempesta, affliggendo soprattutto chi ha un alto debito), ci vuole un timoniere solo ed un indirizzo certo verso obiettivi ben chiari. Domani lunedì 27 giugno, San Cirillo di Alessandria, si potrà cercare d’intravedere il sentimento dei mercati. Venerdì 24 giugno, hanno colpito le piazze finanziarie continentali più del London Stock Exchange. Nel colpire il continente hanno mostrato severità particolarmente nei confronti di Milano, segno di poca fiducia nei confronti della nostra capacità di reggere i colpi, a causa dell’alto debito pubblico (la metà del quale è detenuta da stranieri) e di una finanza pubblica lontana da un adeguato consolidamento. In aggiunta, le recenti elezioni amministrative (e le lotte intestine all’interno del Partito Democratico) vengono lette dalla principale stampa internazionale come segnale di fragilità del governo, le cui sorti sono appese ad un referendum molto personalizzato ed in grado quindi di coagulare e coalizzare le opposizioni di ogni ordine e grado. Come se non bastasse, più di una voce chiede un referendum analogo a quello britannico se non per uscire dall’Unione europea (Ue) quanto meno per modificare l’unione monetaria. Infine, i segnali di una “ripresina” si fanno sempre più fiochi.
Su questa testata, abbiamo documentato che l’Italia sarebbe stata uno degli Stati posti a maggior rischio dalla Brexit. Ora che la Brexit sta avvenendo, ci deve guidare una funzione di minimizzazione del rischio e dei danni. Occorre avere ben chiara questa funzione e sapere pilotare verso di essa.
Tanto più che la Brexit ha comunque dimostrato – piaccia o non piaccia – l’esigenza di politiche differenti da quelle in atto da parte dell’Ue e dei singoli Stati membri. Altrimenti si potrebbe sfilacciare tutto. Il giorno dopo del referendum britannico, si sono sentite le proposte italiane più strane. Ad esempio, un ex presidente del Consiglio (o poco curante del peso delle sue parole sui mercati o forse perché rassegnatosi al fatto che non contano più nulla) ha fantasticato, per l’Europa di domani, di un’alleanza tra Francia, Italia e Spagna che faccia da contrappeso alla Germania (ossia l’esatto contrario di quanto ipotizzato dai ‘padri fondatori’ dell’Ue, proposta tale per di più di aumentare le tensioni nella fase in cui si dovrebbe appianarle). Ancora, pare che a Palazzi Chigi si favoleggi di un direttorio Germania-Francia-Italia mentre in questa stagione sono gli obiettivi comuni da individuare per l’Europa di oggi e domani ed un percorso (la barra dritta) per arrivarci. Non i direttori od i consolati.
A mio parere, chi in questi giorni ha detto parole più chiare è il Ministro dell’Economia e Finanze, Pier Carlo Padoan, nell’indicare che se non cambia l’Ue rischia la propria sopravvivenza e nel precisare tre obiettivi per il cambiamento: sicurezza, immigrazione, diseguaglianze.
Se ben si riflette, all’inizio degli Anni Cinquanta (quelli in cui si faceva la fila per vedere Il Mondo nelle Mie Braccia) , l’Europa veniva costruita su obiettivi specifici dell’epoca: un pool per le risorse carbonifere ed idriche (per un secolo oggetto di conflitti tra Germania e Francia), uno sforzo comune per un’energia atomica pacifica ed europea, l’apertura dei mercati dopo la frammentazione iniziata attorno al 1910. Oggi, i grandi temi sono sicurezza (da terrorismi di ogni sorta), immigrazione (il cui governo è sempre più difficile date le forze demografiche in atto: la popolazione della sola Africa sta passando da cinquecento milioni nel 1980 a un miliardo nel 2000 a due miliardi nel 2050 a quattro miliardi e mezzo nel 2100), e diseguaglianze (non solo la povertà sta aumentando in tutto il vecchio continente ma l’ascensore sociale pare bloccato). Padoan li ha individuati bene. Si affidi a lui il timone per costruire, con quel-che-resta dell’Ue, l’Unione di domani. Il Presidente del Consiglio ha abbastanza da fare con i problemi interni dell’Italia, con quelli del Partito di cui è Segretario, e con un referendum di cui guida, in prima persona,  la campagna per il Sì. Ha certamente un ruolo nell’assicurare che il timoniere non sia disturbato (soprattutto da proposte futili) e nel rappresentare l’Italia nel Consiglio Europeo.
26/06/2016

Nessun commento: