martedì 14 giugno 2016

Le “Luci” di Sciarrino secondo Flimm e Angius in Avvenire 15 giugno



Bologna
Le “Luci” di Sciarrino secondo Flimm e Angius
GIUSEPPE PENNISI
BOLOGNA
Luci mie traditrici di Salvatore Sciarrino è probabilmente l’opera contemporanea italiana di maggior successo internazionale. Ha debuttato nel 1998 al festival tedesco di Schwetzingen in versione ritmica e con il titolo Die tödische Blume (“Il fiore della morte”); da allora è stata vista più volte in Germania, Austria, Francia, Belgio, Polonia, Spagna, Russia, Gran Bretagna, Argentina, Svezia, Stati Uniti e Corea del Sud. È stata anche messa in scena nel 2008 al Festival di Salisburgo. In Italia, ha avuto un’esecuzione in forma di concerto (da parte di una compagnia tedesca) a Settembre Musica a Torino nel 2002 e due recite al Teatro Poliziano di Montepulciano (da cui è stato tratto un buon dvd) nel 2010. Ottima decisione, quindi, quella del Teatro Comunale di Bologna di programmarla (fino a venerdì) in un’edizione coprodotta con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, in cui sono stati messi in campo un ensemble di solisti dell’orchestra del Comunale di Bologna diretto da Marco Angius; quattro cantanti-attori specializzati in musica contemporanea (Katharina Kammer-loher, Otto Katzameier, Lena Hanselmann , Christian Oldenburg), un complesso madrigalistico e un apparato teatrale di primo livello (regia di Jürgen Flimm, scene di Annette Murchetz, costumi di Birgit Wentsch, luci di Irene Selca, coreografia di Carola Tautz). Unico neo di uno spettacolo di gran classe è la dizione dei protagonisti (tutti tedeschi) alle prese con un testo italiano.
La breve opera (70 minuti) tratta di amore e morte. Inizialmente, Sciarrino intendeva mettere in scena l’uxoricidio del madrigalista Carlo Gesualdo nel 1590; appreso che Schnittke stava lavorando sullo stesso argomento, spostò l’azione a un Paese nordico a fine ottocento. In un ambiente Biedermeier, al risvegliarsi il Duca e la Duchessa inneggiano al loro amore eterno. Appena lui esce per andare a caccia, lei lo tradisce con un giovane ospite della residenza. A ragione di una soffiata del servo, il Duca apprende la tresca, la Duchessa confessa e viene perdonata. Dopo cena vanno a riposare cantando di nuovo il loro reciproco amore, ma quando la Duchessa apre la tenda per fare entrare la luce del mattino, trova l’ospite ucciso ai piedi del letto. Anche lei viene pugnalata a morte dal marito. Nella regia di Flimm, il Duca appare psicopatico (e forse drogato) sin dalla prima scena e nel finale si avvia verso il suicidio dopo avere pugnalato anche il servo testimone della vicenda. Un dramma torbido, quasi ibseniano, messo in musica da un siciliano (da anni residente in Umbria); potrebbe sembrare una Cavalleria rusticana nordica. Marco Angius sottolinea le caratteristiche musicali che hanno portato al successo del lavoro: sonorità isolate, impiego di tecniche strumentali avanzate, silenzi frequenti, riferimenti ironici e conflittuali ad altre composizioni, citazioni da musica pop americana e da un’elegia di Charles Le Jeune del 1609, che risuona nel finale.
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Per le foto
http://tinyurl.com/pressTCBO (ProPress - 2016 - OPERE - LUCI MIE TRADITRICI). Credit: Rocco Casalucci

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