mercoledì 30 marzo 2016

L'Europa non ha bisogno di agiografie in Formiche mensile 31 marzo

OEconomicus
di Giuseppe Pennisi
Economista e presidente
del board scientifico
del Centro studi ImpresaLavoro
“Beato il Paese che non ha
bisogno di eroi!”. È una celebre
battuta di Vita di Galileo di Bertolt
Brecht. Si potrebbe parafrasare in
queste settimane in cui l’Unione
europea sembra avere perso
un’identità: è alle prese con un
referendum in Gran Bretagna che
potrebbe significare l’uscita del
Regno Unito dall’Ue; al tempo
stesso, è tutt’altro che certo che
la Repubblica ellenica riesca a
mantenere gli impegni assunti con
i partner Ue per essere tenuta a
galla e, se possibile, avviata verso
un percorso di risanamento e crescita,
tanto da impedirle di essere
messa alla porta; la pressione delle
migrazioni mette a repentaglio
la libera circolazione dei lavoratori,
e i movimenti populisti antieuropeisti,
e in particolare contrari al
mantenimento dell’unione monetaria,
acquistano vigore.
Pare una parafrasi di Brecht il titolo
di un saggio di Yannis Karagiannis
– The origins of the common
market: political economy versus
hagiography – dell’Istituto di
Barcellona di Studi internazionali,
apparso sull’ultimo numero
del Journal of common market
studies, una delle più antiche e
qualificate riviste sull’integrazione
europea. In effetti, la storiografia
dell’Ue pone enfasi sul disegno
di un gruppo di leader degli anni
Cinquanta. L’analisi documentaria
di Karagiannis dimostra che avevano
obiettivi più ristretti di quelli del
federalista Manifesto di Ventotene:
pensavano a un’unione funzionalista
degli Stati che si bagnavano
sulle due rive del Reno e di pochissimi
altri; utilizzando insieme
risorse comuni per l’industria pesante
e liberalizzando i commerci
(con l’eccezione dell’agricoltura)
si sarebbero impedite nuove
guerre tra Francia e Germania che
avevano insanguinato l’Europa per
decenni.
Le idee di Monnet, che era stato
a lungo commissario al Piano
in Francia, erano tecnocratiche.
Schuman, Adenauer e De Gasperi
diedero loro un manto politico.
Tuttavia, l’unica politica comune
allora immaginata – su richiesta di
Parigi – era quella agricola, per il
peso che il settore aveva in Francia
e per la forma particolare di
protezionismo francese del comparto.
Nessuno di loro pensava a
un’Ue a 28 Stati o a una moneta
unica. Unitamente, De Gaulle
parlava di “un’Europa dall’Atlantico
agli Urali”, un accordo molto flessibile
e in funzione di quello che il
presidente francese pensava fosse
un modo di equilibrare quello che
considerava lo strapotere degli
Usa. Il resto, sostiene Karagiannis,
è “euromitologia”.
In questa ottica, gli acciacchi e
i guai dell’Ue sono una piccola
cosa. Anzi, potrebbero servire
ad andare verso un modello più
flessibile e più vicino a quello concepito
dai padri fondatori. Sembra
dirlo anche il lavoro di un’europeista
convinta, Raffaella Del Sarto,
dell’Istituto universitario europeo
di Fiesole. In un lavoro dedicato
essenzialmente alle relazioni
dell’Ue con la sponda inferiore del
Mediterraneo, critica severamente
le concezioni normative dell’Ue e
del suo ruolo internazionale che
dominano la letteratura corrente in
materia di studi europei. “La concettualizzazione
dell’Ue – un’entità
vasta, in continua espansione
e senza chiare frontiere – come
una sorta di impero, sembra fare
da pontiere tra varie teorie del
diritto e delle relazioni internazionali
e offre una spiegazione per
il comportamento dell’Ue verso i
suoi vicini. Tuttavia, attraverso il
trasferimento di regole e prassi
oltre i suoi confini, l’Ue indulge in
politiche normative che servono
principalmente l’Ue medesima
e i suoi Stati membri” e “che le
danno un’identità normativa”.
Un’Europa senza agiografia sarebbe
più semplice e più efficace. E,
quindi, più forte.

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