lunedì 21 dicembre 2015

A Palermo il “Sigfried” di Vick si perde il trascendente wagneriano in Avvenire 20 gennaio



Opera.
A Palermo il “Sigfried” di Vick si perde il trascendente wagneriano
PALERMO
Centrale alla tematica di Wagner è il contrasto nel mondo germanico nella fase di trapasso dal politeismo nordico (di origine scandinava) al cristianesimo. È argomento di fondo non solo del monumentale L’anello dei Nibelunghi ( Ring des Nibelungen), ma anche di Tannhäuser, Lohengrin e
Parsifal, nonché di L’agape degli Apostoli ( Das Liebesmahl der Apostel), oratorio raramente eseguito in Italia.
Nel Siegfried ( Sigfrido), terza opera del Ring in scena a Palermo sino al 29 dicembre, il re degli dèi germanici è ridotto ad un anziano viandante alla ricerca di chi potrà salvare lui ed il politeismo, ma il giovane eroe che incontra nella foresta gli spezza l’ultimo simbolo del potere (la lancia) preparando il Crepuscolo degli dèi, quarta ed ultima opera della tetralogia.
È quindi uno snodo cruciale dell’intero lavoro. Sotto il profilo musicale, tra la prima e la seconda scena del terzo atto Wagner, convinto di che non sarebbe mai riuscito a completare il progetto, interruppe per dodici anni di lavorarci e compose nel frattempo
Tristano e Isotta e I maestri cantori di Norimberga. I 45 minuti del finale di Siegfried non solo metabolizzano questi due capolavori, ma anticipano di diversi decenni il cromatismo, le dissonanze ed altri aspetti della Seconda scuola di Vienna dell’inizio del Novecento, con uno stacco netto rispetto al resto dell’opera.
Bene ha fatto il Teatro Massimo di Palermo ad affidare la direzione musicale a Stefan Anton Reck, assistente di Claudio Abbado dal 1997 al 2000 e oggi riconosciuto tra i massimi conoscitori della musica di Mahler e della Seconda scuola di Vienna, nonché ottimo direttore di precedenti Ring (in Italia a Catania ed a Bari).
L’opera è letta con uno sguardo contemporaneo a ragione della regia di Graham Vick che, come nelle altre due opere del ciclo ( L’oro del Reno e La Valchiria, già messe in scena a Palermo), attualizza il testo ai nostri giorni. Vick, però, non è interessato alla dimensione trascendente del lavoro ma a rappresentare una élite decrepita nel cui ambito il giovane Sigfrido matura da adolescente inquieto (non sa, ad esempio, chi sono i suoi genitori e non ha mai visto una donna) a uomo che fa di Brunilde la sua “ heilige braut” (“sacra sposa”). La regia eccede in certi punti del primo atto (per dargli una teatralità che manca al libretto) ma scorre in modo avvincente e con trovate originali e ben centrate nel secondo e nel terzo atto.
L’orchestra risponde bene agli stimoli di Reck. Il cast vocale è della buona qualità media che ci si aspetta in teatro tedesco di repertorio. Ma ineguale. Ottimi, sia come attori sia come cantanti, Peter Bronder (Mine) e Thomas Gazheli ( Wotan). Di buon livello Sergej Leiferkus (Alberich). Deliziosa Deborah Leonetti (Uccello del bosco). Il protagonista ha un ruolo impervio (tre ore e mezza sempre in scena) e la regia lo fa cantare tra esercizi ginnici e capriole: alla prima Christian Voigt era forse indisposto ma è stato un Sigfrido pallido con poco volume ed un’insoddisfacente intonazione. Meagen Miller (Brunilde) ha un’unica lunga scena con il futuro sposo: la ha sviluppata bene, ma probabilmente avrebbe reso meglio con un partner più in forma.
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Il contrasto tra il politeismo nordico e il cristianesimo, argomento di fondo del “Ring”, si dissolve nella regia attualizzante che ha debuttato venerdì al Teatro Massimo Delude il tenore Voigt

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