domenica 9 agosto 2015

Renzi, i piagnoni e l’Europa del malessere in Formiche del 9 agosto


Renzi, i piagnoni e l’Europa del malessere

09 - 08 - 2015Giuseppe Pennisi
Renzi, i piagnoni e l'Europa del malessere

L'analisi di Giuseppe Pennisi
Questa estate 2015 è caratterizzata non solo da un’ondata di caldo ma anche da un crescente malessere europeo. La ‘distrazione greca’ è stata, in gran misura, una determinante per focalizzare i leader politici europei su un unico tema, o su quello all’apparenza principale, accantonando, invece, quello fondamentale: la perdita di consenso per l’idea stessa d’integrazione europea, ove non di federalismo europeo in un’Unione Europea che ora rappresenta meno dell’11% della popolazione mondiale rispetto al 25% allo scoppio della Grande Guerra nel 1914.
Poco si è riflettuto sul fatto che l’idea della costruzione europea, per quando lanciata da politici del centro democratico cristiano (Adenauer, De Gasperi, Monnet), era stata inizialmente formulata da socialdemocratici confinati a Ventotene (Colorni, Rossi, Spinelli). Ed in effetti sono state le forze ed i partiti socialdemocratici ad essere il motore dell’integrazione in questi decenni, specialmente personalità forti, convinte e convincenti come Willy Brandt e Helmut Schmidt in Germania, Bruno Kreisky in Austria, Gro Harlem Brundtland in Novergia, Tony Blair in Gran Bretagna e Bettino Craxi in Italia. Sono stati loro i “costruttori del consenso” a favore dell’idea dell’integrazione europea e coloro che ne hanno plasmato le politiche ed i programmi. Alcune personalità di una differente cultura hanno pasticciato, ove non inquinato, idea, politiche e programmi con un prematuri ‘allargamento’ ed una ancora più premature ‘unione monetaria’. Al momento della crisi finanziaria del 2008 e della crisi del debito sovrano europeo del 2010 erano le forze socialdemocratiche a guidare gran parte d’Europa.
Non è stata una guida efficace. Oggi il solo leader europeo universalmente riconosciuto come tale à la Cancelliera Angela Merkel, affiancata in parte dai governi Tory in Gran Bretagna che dal 2010 hanno sconfitto ben due volte i laburisti. Il presidente francese il socialista François Hollande, con o senza casco mattutino, è poco più di una macchietta che nel momento più acuto della ‘crisi greca’ (quando l’Unione Europea pare sul punto di spappolarsi) propone il federalismo come toccasana a tutti i mali ed incassa un coro di pernacchie.
In Scandinavia, dove i socialdemocratici sono stati radicati per decenni, hanno ceduto il potere a forze liberal democratiche in Norvegia, Danimarca ed in Finlandia. Sono tornati al posto del conducente in Svezia ma dopo otto anni di opposizione e, soprattutto un drastico cambiamento di politiche e programmi. Situazioni analoghe in Spagna e Portogallo. Tra le eccezioni l’Italia, da attribuirsi in parte alle disavventure di Silvio Berlusconi, alle esigenza comunque di un cambiamento generazionale del ceto politico, dalle capacità comunicative di Matteo Renzi e dall’aver recepito parte delle istanze dei governi di centro-destra del ventennio precedente, sparigliando i potenziali oppositori (all’esterno del suo Partito).
Lo storico tedesco Konrand H. Jarausch nel monumentale (900 pagine) Out f Ashes – History of Europe in the XX Century (Princeton Univesity Press) sottolinea che ‘gli anni dopo Maastricht, l’Europa è stata un concetto politico amaro” anche perché gli europei si sono stancati di uno Stato e di istituzioni europee dilatate e gonfiate, all’insegna dell’oppressione tributaria, tentacolari, impiccione e pasticcione. In termini ancora più chiara lo sostiene Ilya Somin in Democrazia ed Ignoranza Politica. Perché uno Stato più snello sbaglia di meno appena giunto in libreria nella bella traduzione della IBL libri.
In effetti, la politica social democratica europea non sembra più essere al passo con gli elettori i quali accettano l’”austerità” se necessaria per rimettersi in piedi ma si sono ormai conventi che i partiti ed i movimenti più adatti a portarla avanti con realizzazioni concrete non solo quelle che alla base di istituzioni dilatate e gonfiate, all’insegna dell’oppressione tributaria, tentacolari, impiccione e pasticcione, ma quelli partiti e movimenti che le hanno tenacemente combattute, spesso perdendo singole battaglie. Ciò spiega anche quella che viene chiamata ‘la svolta a destra’ del governo Renzi, che come i Governi di tutto il mondo e di tutte le epoche ha come primo obiettivo di restare in linea con gli elettori per rimanere in sella.
Potrà il cambiamento in atto di guida politica farci uscire dal malessere europeo? Difficile dirlo. Quello della leadership politica è solo uno dei problemi europei: dalla demografia all’immigrazione, alla perdita di centralità nella politica mondiale. Tuttavia, la prova del nove dell’urgenza del cambiamento, la fornisca Franz Walzer della Università di Gõttingen: i socialdemocratici britannici sono stati una forza importante per 150 anni ma sono entrati nella stanza dei bottoni solo per 30. La ragione: Non sono mai contenti, sognano sempre un futuro migliore.
In breve, falliscono anche perché sono i piagnoni di cui parla Matteo Renzi.

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