martedì 18 agosto 2015

Chi si trastulla in Europa con la stagnazione secolare in Formiche del 19 agosto



Chi si trastulla in Europa con la stagnazione secolare

19 - 08 - 2015Giuseppe Pennisi
Il 19 agosto, il Bundestag decide se ratificare o meno l’accordo intergovernativo sul terzo (per il momento) ‘salvataggio’ della Grecia da parte degli altri Stati dell’eurozona. Non sta a noi fare presagi su quelli che potranno essere i risultati; li avremo in diretta nel corso della giornata.
Occorre, però, augurarsi che, quale che sia l’esito della votazione, i Governi ed i Parlamenti dell’area dell’euro accantonino per qualche settimana “la distrazione greca”, ossia la determinante su cui è stata focalizzata la loro attenzione negli ultimi sei mesi. Ci sono numerosi temi e problemi più importanti.
Tra tutti, scegliamone uno: le conseguenze di lungo periodo della crisi che dal 2007 riguarda se non tutti i Paesi dell’Unione Europea, buona parte di quelli che appartengono all’Eurozona. Sono conseguenze che si toccano con mano già guardando al breve periodo.
Mentre stappiamo bottiglie di champagne perché nell’ultimo trimestre il Pil italiano è cresciuto al tasso annuo dello + 0,2% (quindi, non ha un segno negativo come premessa), dobbiamo riflettere che la media delle proiezioni diramate lo scorso fine settimana dai venti maggiori istituti econometrici internazionali (tutti privati, nessuno italiano) pongono al + 1,4% la crescita nell’Unione monetaria nel 2015. Nonostante Palazzo Chigi mostri di esultare di gioia, verosimilmente per “tenere alto il morale delle truppe”, se le previsioni del gruppo si avverassero saremo il fanalino di coda dell’area dell’euro, con un aumento del Pil nel 2015 pari a poco più della metà di quello della Grecia.
Occorre riflettere seriamente su cosa fare Dopo la Caduta, per parafare il titolo di un bel dramma di Arthur Miller. Pullulano i saggi sulla ‘stagnazione secolare’ in cui sarebbe entrata l’eurozona. Come è noto il termine venne proposto da Alvi Hansen nel suo ‘Presidential Address’ del 1938, pubblicato nel 1939 sull’American Economic Review. E’ stato riscoperto e soprattutto divulgato da Lawrence Summers. Di recente Roger Backhouse dell’Università di Birmingham e Mauro Boianosky hanno ricordato, in un lavoro molto acuto, che la locuzione è stata quasi sempre colorita da considerazioni puramente politiche e da adito a numerose interpretazione. Quindi, anche se la “stagnazione secolare” à la page in numerosi editoriali su quotidiani e periodici, è preferibile accantonarlo, e trattare invece delle conseguenze di lungo periodo della crisi iniziata ormai ben otto anni e da cui si sta forse uscendo, ma in modo molto flebile.
Purtroppo è argomento di cui si parla molto ma su cui è stato fatto molto poco lavoro quantatitivo. Nell’ottobre dell’anno scorso Gauti B. Eggertsson and Neil R. Mehrotra hanno pubblicato un interessante lavoro nei Working Papers del National Bureau of Economic Research (ripreso anche da alcune testate italiane in forma ultra semplificata), ma se si scava ci si accorge che si tratta essenzialmente di un modello neokeynesiano di lungo periodo (tramite l’accavallarsi di generazioni) che conduce a poche indicazioni di politica economica.
Più interessante un lavoro appena messo on line dalla Banca centrale spagnola (Banco de Espana Working Paper N0. 1522, firmato da Juan F. Jimenò. Le conclusioni sono inquietanti: gli effetti di isteresi (allungamento oltre la fine della crisi) faranno restare elevata la disoccupazione di lungo periodo; la combinazione di elevato debito (pubblico e privato) e di bassa crescita della popolazione e della produttività causeranno vincoli molto severi alle politiche monetarie e di bilancio. E rischiano di fare avvitare l’eurozona su stessa. Jordi Gali dell’Università di Barcellona si rivolge specialmente all’occupazione (NBER Working Paper No. 21430) e giunge a conclusioni analoghe.
Proprio in questi giorni due economisti greci (Antonis Adam e Thomas Moutos) hanno messo on line, per il CESifo di Monaco di Baviera, un lavoro sul consolidamento di bilancio in una fase come l’attuale: utilizzando dati per il 1980-2011 concludono che una strategia che pone l’accento sull’aumento del gettito invece che sulla riduzione della spesa è destinata a rendere più difficile l’uscita dalla crisi.
E’ stagione di documento e legge di stabilità: queste indicazioni, se ascoltate, possono essere utili. Anche ad ottenere la tanta attesa ‘flessibilità’ dai partner europei.

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