lunedì 31 agosto 2015

La verità (e gli errori) sulla "tempesta cinese" in Il Sussidiario del 31 agosto



FINANZA/ La verità (e gli errori) sulla "tempesta cinese"

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Al simposio annuale informale dei banchieri centrali (ma quest’anno alcuni nomi di livello, in primo luogo il Presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, e il Presidente delle Banca centrale europea, Mario Draghi, hanno marcato visita), la Cina non è stata - come si pensava- al centro dell’attenzione. Nonostante l’altalena delle Borse proprio nei giorni immediatamente precedenti la riunione e in quelli del simposio medesimo (27-29 agosto). La misure, essenzialmente un Quantitative easing di stampo asiatico, adottate tra il 27 e il 28 agosto (dipende dal fuso orario di riferimento) a Pechino pare abbiano calmato i mercati e che ciò sia stato sufficiente a far pensare ai banchieri centrali che la Cina non è così vicina (parafrasando il titolo di un film di Bellocchio del 1967 che ancora torna di tanto in tanto sui piccoli schermi della televisione).
Occorre, però, avere una prospettiva più lunga per esaminare cosa sta avvenendo in quel Celeste Impero, presentato per anni come la speranza per un’Europa in stagnazione e ora considerato elemento (tra i principali) di incertezza. È tema ostico perché i dati sull’economia reale della Cina non sono specialmente affidabili.
Un lavoro molto interessante, ma ancora disponibile unicamente in versione preliminare, è stato fatto da un team di economisti russi, émigré presso università o istituti occidentali: Anton Cheremukhin (Federal Reserve Bank di Dallas), Mikhail Golosov (Massachusetts Institute of Tehnology), Sergei M. Gurien (Science Po) e Aleh Tsyvinski (Yale University). Il lavoro studia la crescita e la trasformazione strutturale della Cina dal 1953, con un’analisi sistematica econometrica di due periodi - quello sino al 1978 e quello dal 1978 agli ultimi anni. Il periodo precedente alle riforme del 1978 (le quattro modernizzazioni) viene utilizzato come metro per valutare il successo delle riforme medesime. In breve, le riforme del 1978 hanno avuto effetti significativi in termini di crescita e di trasformazione strutturale: il tasso di aumento del Pil, ad esempio, è cresciuto di 4,8 punti percentuali l’anno e la proporzione della forza lavoro in agricoltura è del 24% inferiore alla percentuale precedente le riforme. Tuttavia, lo slancio si sta esaurendo.
Ad esempio, la riduzione della popolazione impegnata in agricoltura ha comportato fortissimi investimenti nelle Province industriali attorno a Pechino e a Shangai e nel Sud, specie nell’edilizia (5,6 miliardi metri quadri; a titolo di raffronto l’Italia ha una superficie totale di 301.340 km quadrati). Tuttavia, non solo l’edilizia ha rendimenti molto differiti nel tempo, ma, per coprire i costi, gli appartamenti si sarebbero dovuti vendere mediamente a un prezzo di 100.000 dollari l’uno, mentre il reddito medio delle famiglie è di 10.000 dollari annui nelle stesse zone industriali. Gli investimenti industriali, inoltre, hanno fruttato molto meno del previsto a ragione dell’inadeguata esperienza dei manager (spesso scelti sulla base di criteri politico-familiari). Quindi, le Province che avrebbero dovuto, con il loro dinamismo, crescere più velocemente, sono state la tartaruga.
La Cina ha un tasso di sviluppo del Pil stimato, per il 2015, del 7% circa (stime più affidabili lo pongono sul 5%), ma oltre tre quarti della crescita si forma al Nord e al Centro, dato che le Province industriali del Sud crescono attorno all’1% l’anno. Anche a ragione di investimenti errati, che ho analizzato altrove. Ciò sta causando tensioni politiche fortissime all’interno del Paese. Esse si aggiungono a quelle etniche e religiose. Cosa implica tutto ciò per il resto del mondo?
Nell’ultimo quarto di secolo si è pensato, molto superficialmente che la Cina sarebbe stato il motore dell’intera economia mondiale, con particolare effetto sull’Africa e sull’America Latina- Poco si è riflettuto sul fatto che il Pil dell’Unione europea è quasi il doppio di quello cinese e in termini di Pil pro-capite il Celeste Impero è ottantaseiesimo su scala mondiale (quindi, abbastanza in fondo alla classifica). Sarebbe comunque stato un motore a scartamento ridotto. In aggiunta, nell’attuale contesto internazionale, simultaneamente quasi con la riduzione della crescita cinese, c’è stato un forte aumento (ben superiore alla aspettative) di quella americana. Nel complesso, a livello mondiale, i contraccolpi saranno meno acuti di quanto viene scritto in questi giorni.
Alcune aree e settori dovranno adattarsi alla nuova situazione. In Europa, l’industria tedesca delle macchine utensili e quella italiana del lusso (nonché quella francese dei vini pregiati) devono correre alla ricerca di nuovi mercati. Più complicata la situazione di quei rami in cui la Cina ha operato (spesso tramite joint venture con aziende europee o americane di lunga esperienza) per l’estrazione o la raffinazione di materie prime. È il caso della BHP Billiton che opera da anni con partner cinesi nello sfruttamento di ferro in Australia, rame in Cile e oli minerali nei Caraibi (Trinidad). Si trova, quasi da un giorno all’altro, senza il maggior cliente e (quasi) senza il socio di riferimento. Ci sono numerosi casi analoghi: mega imprese come la brasiliana Vale e la giapponese Simitomo..
In breve, la Cina non è così vicina come molti pensavano, ma il suo aggiustamento incide principalmente su alcune aree e settori non sull’intera economia mondiale.

Senza la sveglia delle grandi opere il Pil resterà in letargo in Formiche 31 agosto



Senza la sveglia delle grandi opere il Pil resterà in letargo
31 - 08 - 2015Giuseppe Pennisi Senza la sveglia delle grandi opere il Pil resterà in letargo
La settimana scorsa è stata caratterizzata dal timore che la frenata della Cina avrebbe avuto effetti deleteri sull’Europa. In effetti, il rallentamento è brusco: da una crescita del 10% l’anno ad una del 7% (molto più verosimilmente del 5% poiché i dati della contabilità nazionale cinese vanno presi con le molle).
Occorre, però, metterla in un contesto: il Pil cinese è la metà di quello dell’Unione Europea ed il Pil pro-capite l’ottantaseiesimo delle classifiche delle Nazioni Unite (quindi, tra i Paesi a basso reddito). La frenata è la prova di forti tensioni politiche, economiche e sociali all’interno del Celeste Impero, avrà implicazioni di non poco momento sul bacino del Pacifico, e sui Paesi esportatori di ferro, rame e petrolio. In Europa, colpirà chi vende alla Cina macchine utensili (Germania), lusso (Francia), vini pregiati (Francia).
Evitiamo, però, di cadere nella stessa trappola in cui siamo finiti a causa della Grecia: farsi distrarre dai problemi più gravi dell’Europa, in primo luogo quello della crescita e dell’occupazione. Nel fine settimana scorso, all’ultima tornata delle stime del “gruppo del consensus” (venti istituti di analisi previsionale, tutti privati, nessuno italiano) ha dipinto un quadro preoccupante: un tasso di crescita che nel 2015 arriverà al massimo all1,4% per l’eurozona (0,6% per l’Italia, come quello stimato per la Grecia); un tasso di disoccupazione dell’11% per l’eurozona (12,7% per l’Italia).
Il varo a fine settembre della Legge di Stabilità dovrebbe essere l’occasione per focalizzare su questi temi. Soprattutto per gli investimenti in infrastrutture che creano, nel breve periodo, occupazione tramite l’utilizzazione di capacità produttiva non impiegata e, soprattutto, nel lungo periodo incidono sulla produttività.
Inutile gingillarsi, come ha fatto recentemente un quotidiano, con titoli a sei colonne “Dal Piano Juncker due miliardi all’Italia”. Di miliardi, e di procedure più efficaci, ce ne vogliono molto di più. In un Paese industrializzato ad economia di mercato, la spesa per assicurare manutenzione e graduale ammodernamento del parco infrastrutture dovrebbe essere pari al 3,5% del Pil, livello toccato dall’Italia alla fine degli anni Ottanta. Tra il 1992 ed il 1997 (secondo analisi della Banca d’Italia) è giunto a circa l’1,8% a ragione delle politiche di riduzione della spesa per raggiungere gli obiettivi del Trattato di Maastricht.
Dall’inizio della crisi finanziaria del 2008 ha subito una contrazione ulteriore del 39%. Se le strade e le autostrade sono ingolfate, se i treni ritardano, se siamo ai primordi della banda larga, tutto ciò incide negativamente sulla produttività.
Non siamo i soli in Europa: in Germania un terzo dei ponti ferroviari ha più di cento anni (sono stati costruiti per spostare eserciti nella prima guerra mondiale), negli Stati Uniti un ponte ha in media 42 anni; eppure negli stessi Stati Uniti si stima che ogni anni 100 miliardi di dollari sono sprecati in perdite di tempo a ragione di ingorghi stradali, aeroportuali e simili. Il B20 (il braccio operativo del G20) stima nei venti Paesi del gruppo occorrono spese tra 15 ed i 20 trilioni di euro per ammodernare le infrastrutture.
A fronte di queste cifre impressionanti, pare che al Ministero delle Infrastrutture nuove riorganizzazioni e nuove procedure stiano paralizzando la già esistente “calma piatta”; con il risultato che i pochi spiccioli di cui si dispone non vengono spesi. In questo quadro di “distrazione” da uno dei problemi centrali del Paese, la Scuola Nazionale di Amministrazione (SNA) ha sospeso ormai da circa otto anni i corsi sull’allestimento e valutazione delle infrastrutture.
Il letargo continua e si aggrava.

domenica 30 agosto 2015

FESTIVAL Bucarest come Salisburgo in Avvenire 30 agosto



FESTIVAL Bucarest come Salisburgo
BUCAREST
In Italia, pochi sanno che, nella pletora di festival musicali che salutano la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, una delle occasioni più prelibate è quella che si tiene ogni due anni, ha il proprio cuore a Bucarest e vi partecipano orchestre e complessi di tutto il mondo. È la manifestazione intestata a George Enescu. Giunta alla ventunesima edizione e curata da Ioan Holender (a lungo alla guida della Staatsoper di Vienna), si apre oggi e fino al 20 settembre sarà collegata ad un concorso riservato a giovani musicisti di tutto il mondo. Il festival si è saputo imporre per l’eccellenza delle proposte artistiche e l’efficienza del modello gestionale. A proposito dell’edizione del 2007, ad esempio, il “Guardian” ha scritto: «Il potente festival di Salisburgo adesso ha un rivale». Il “Telegraph” ha aggiunto, in merito all’edizione 2011, che «il festival mostra come la musica classica possa superare le barriere di linguaggio e storia ». Nel 2011 e nel 2013 sono stato alla manifestazione per alcuni giorni ogni volta e sono stato sorpreso dal vero e proprio bagno di gioventù, non solo romena ma giunta da tutta Europa per ascoltare la grande musica seguendo un programma che può sembrare estenuante: gli spettacoli iniziano alle 11 del mattino e spesso l’ultimo alza il sipario alle 22.30.
Dal 1958, quando tre anni dopo la morte di George Enescu la manifestazione (biennale) è iniziata, parte dei musicofili che hanno seguito le ultime settimane del festival estivo di Salisburgo viaggiano alla volta dell’Est – verso la Romania, dove si danno appuntamento le maggiori orchestre sinfoniche ed i maggiori complessi cameristici (nonché una selezione di teatri lirici e di ensemble di musica contemporanea. Quest’anno si può ammirare il nuovo Gran Palazzo della Musica, oltre al delizioso Atheneum Romeno ed al bel Teatro dell’Opera di fine Ottocento, nonché altri luoghi dedicati alla musica (sei a Bucarest: ma il festival si tiene anche in altre città). Il programma è così intenso che si può anche in pochi giorni avere un panorama delle tendenze musicali di tutto il mondo. I romeni dedicano notevolissime risorse ad un festival che per loro ha rappresentato l’affer-mazione di una nazione e di una cultura nazionale di matrice latina, circondata da Paesi slavi, anche negli anni più neri dello stalinismo e della dittatura di Ceausescu. Inoltre, il festival è stato, negli anni più duri del comunismo, una valvola si sfogo per la “musica dello spirito”: in Romania la Chiesa ortodossa ha sempre avuto numerosi devoti, anche quando gli edifici di culto venivano trasformati in musei dell’ateismo.
La prima edizione è iniziata con un lavoro di Bach eseguito da Yehudi Menuhin. In anni successivi, vennero eseguiti , per la prima volta, in Romania, Vox Maris del compositore romeno Iosif Conta, il Requiem di Mozart e la Missa brevis. Alcuni musicisti romeni sostengono che fu il contenuto “spirituale” di parte della manifestazione, e non solo le ristrettezze finanziarie dell’epoca, a far sì che nel 1973 il festival venisse ridotto ad una unica settimana. Durante il regime di Ceasaescu – i tiranni sanno di essere deboli – il festival non venne annullato (come avrebbero voluto alcuni duri e puri del “cerchio magico” del Palazzo Presidenziale, l’edificio più grande del mondo), ma diventò regionale. Veniva, tuttavia, frequentato da appassionati dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti non solo per ascoltare musicisti romeni di fama mondiale (quali Radu Lupu, Stefan Ruha, Ludovics Bacs, Mircea Brediceanu, Cornel Traiscu ed altri), ma anche per assaporare la musica dell’Europa orientale, da quella di tendenza tradizionale come Schnitte sia soprattutto quella di orientamento avanzato (pochi ricordano, ad esempio, che Dmitri Šostakovic, all’inizio del secolo scorso, è stato uno dei padri del jazz, o che nel 1979 il festival ospitò complessi di musica elettronica polacchi, giapponesi e tedeschi, che nella edizione 1985, prima ancora della caduta del Muro di Berlino, 76 giovani compositori romeni presentarono 80 lavori contemporanei, e che viene conferito a Bucarest il premio dell’Unione Europea a musicisti della nuova generazione).
L’edizione 2015 ospiterà 3.000 artisti, di cui 2.500 stranieri e 500 romeni, che si esibiranno nell’ambito di 52 concerti e otto opere. Il cartellone spazia dal barocco alla musica del XXI secolo e include 22 composizioni di George Enescu. Si terranno inoltre altri numerosi appuntamenti all’aria aperta, anche nella forma di “Olimpiade culturale”. Tra i momenti centrali del festival figurano i concerti delle maggiori orchestre sinfoniche quali i Berliner Philharmoniker, i Wiener Philharmoniker, la London Symphony Orchestra, l’Orchestra reale del Concertgebouw di Amsterdam, la Staatskapelle di Dresda, la San Francisco Symphony Orchestra, la Filarmonica di San Pietroburgo, l’Orchestra filarmonica d’Israele, nonché di solisti come Murray Perahia, David Garrett, Maria João Pires, Renaud e Gautier Capuçon. Tra le opere, oltre al Wozzeck di Alban Berg in una nuova produzione del Teatro Nazionale di Bucarest (con, tra l’altro, Michael Volle ed Evelyn Herlitzius e la bacchetta di Leon Hussain), il festival Enescu propone Elettra di Richard Strauss, affidata alla Bayerische Staatsoper e al romeno Radio Academic Choir. Del cast internazionale fanno parte Elena Pantakrova, Anne Schwanelwilms, Agnes Baltas e René Pape; concerta Sebastien Weigle.
Figurano rari titoli operistici appartenenti al barocco italiano: Catone in Utica di Leonardo Vinci interpretato dall’Orchestra “Il pomo d’oro” alla guida del romano Riccardo Minasi (classe 1978), tra i più apprezzati violinisti e direttori della scena internazionale, e le opere del periodo veneziano di Claudio Monteverdi, Il ritorno di Ulisse in patria e
L’incoronazione di Poppea. Ad interpretare queste ultime due partiture sarà il complesso britannico Academy of Ancient Music, specialista di musica barocca che predilige gli strumenti d’epoca e un approccio che mira a riportare in vita lo stile esecutivo dell’epoca.
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Musica
Si apre oggi nella capitale romena la XXI edizione della rassegna internazionale intitolata a George Enescu: oltre tremila artisti si esibiranno in 52 concerti e otto opere che spaziano dal barocco al contemporaneo
La manifestazione è stata, negli anni del comunismo, una vetrina per la musica dello spirito In cartellone, quest’anno, Berliner Philarmoniker, «Wozzeck» di Berg ed «Elettra» di Strauss

sabato 29 agosto 2015

Inizia a Bucarest il Festival che gareggia con Salisburgo in Il Sussidiario del 29 agosto




OPERA/ Inizia a Bucarest il Festival che gareggia con Salisburgo

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La Grand Palace Hall di Bucarest La Grand Palace Hall di Bucarest
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Il maestro Kristian Järvi sul podio del Palace Grand Hall di Bucarest alla guida della Romanian Youth Orchestra e del Choir of George Enescu Philharmonic, inaugura domenica 30 agosto (ore 19.00) la XXII edizione del Festival e Concorso Internazionale George Enescu. Direttore estone cresciuto negli Stati Uniti e figlio d’arte - il padre Neeme e il fratello Paavo sono entrambi direttori d’orchestra di fama internazionale - Kristian Järvi è una personalità musicale nota per le sue innovative idee di repertorio che il New York Times ha definito “a kinetic force on the podium, like Leonard Bernstein reborn”- ‘una forza tremenda sul podio, un Leonard Bernstien redivvivo’. 
Per la serata inaugurale non poteva mancare un omaggio al celebre compositore e didatta romeno George Enescu cui è intitolato il festival: la splendida Rapsodia n. 1 in la maggiore op. 11 (1901) rivela il sapore della tradizione popolare connotata da freschezza briosa e varietà melodica, qualità che hanno contribuito a rendere immortale la vena compositiva di Enescu. Seguono, sempre nella serata inaugurale,  altre due opere celeberrime: il virtuosistico concerto per violino in re minore (1903) del finlandese Jean Sibelius affidato per la parte solista alla pluripremiata Sarah Chang e i Carmina Burana (1937) del tedesco Carl Orff, colossale composizione per tre voci soliste, orchestra e coro entrata a pieno titolo nell’immaginario musicale di ognuno di noi. 
Ma cosa è il Festival Enescu? Dal 1958, ogni due anni la folla di musicofili ed ascoltatori che in luglio ed agosto si dà appuntamento per il Festival di Salisburgo  in settembre si trasferisce a Bucarest per una  manifestazione che, prevalentemente regionale prima della caduta del muro di  Berlino, nell’ultimo quarto di secolo è diventato uno dei maggiori festival internazionali specialmente per la musica sinfonica e contemporanea. Quest’anno si svolgerà dal 30 agosto al  20 settembre, date perfette per coniugare le settimane finali di Salisburgo con un viaggio in Europa centro-orientale.
Le serate immediatamente successive all’inaugurazione,  lunedì 31 agosto e martedì 1 settembre, vedranno sul podio  Zubin Mehta che calcherà le scene del Romanian Athenaeum insieme alla Israel Philharmonic Orchestra per affrontare pagine monumentali del sinfonismo del Novecento: la Kammersymphonie in mi maggiore, op. 9 di Schönberg, la Sinfonia n. 8 in do minore di Bruckner (il 31 agosto), il poema sinfonico Vox Maris di George Enescu e la Sinfonia n. 9 di Gustav Mahler (il primo settembre).
Il Festival Enescu, che prosegue fino al 20 settembre, si è guadagnato negli anni un posto di primo piano a livello mondiale per la qualità del programma da sinfonico a lirico e la presenza di artisti d’eccezione: una maratona di concerti dal mattino a tarda notte che vede riuniti raffinati interpreti come Sir Simon Rattle, Murray Perahia, David Garrett, Maria João Pires, Fazil Say, Renaud e Gautier Capuçon e alcune delle maggiori formazioni orchestrali quali la Berlin Philharmonic Orchestra, la Wiener Philharmoniker, la London Symphony Orchestra, la Royal Concertgebouw Orchestra Amsterdam, la Staatskapelle Dresden, la San Francisco Symphony Orchestra. 
Non manca la lirica: l’Elektra, capolavoro espressionista di Richard Strauss, affidato alla Bayerische Staatsoper e alla romena Radio Academic Choir; il Wozzeck di Alban Berg eseguito dalla George Enescu Philharmonic Orchestra and Choir eseguirà il 14 settembre.
Nel magnifico Ateaneum Romeno (una delle sale più originali dell’Europa centrale) verranno presentati tre titoli del barocco italiani affidati a complessi, anch’essi italiani, specializzati. Il primo è una vera rarità: Catone in Utica di Leonardo Vinci interpretato dalla compagnia Il Pomo d’Oro alla guida del romano Riccardo Minasi (classe 1978), tra i più apprezzati violinisti e direttori della scena internazionale. Gli altri due sono più noti, anche perché presentati di recente alla Scala: appartengono al periodo veneziano di Claudio Monteverdi e sono tra i suoi ultimi lavori sia Il ritorno di Ulisse in patria  e L’incoronazione di Poppea. Ad interpretare queste ultime due partiture, testimoni del neonato genere del melodramma, sarà l’orchestra britannica Academy of Ancient Music, specialista di musica barocca che predilige gli strumenti d’epoca e un approccio che mira a riportare in vita lo stile esecutivo dell’epoca.
Numerosi i concerti di musica contemporanea, live electronics, electro acustica. Ciò, unitamente ai bassi prezzi dei biglietti (variano da 10 a 36 euro, inoltre sarà possibile sottoscrivere abbonamenti) fa sé che il festival sia affollato di giovani nonché numerosi appuntamenti all’aria aperta nell’ambito di 58 concerti al Palace Hall e all’Ateneo Romeno numerosi appuntamenti all’aria aperta nell’ambito dell’Enescu Festival Square (3-20 settembre) e del Creative Bucharest – due progetti artistici nella forma di olimpiade culturale.