domenica 28 giugno 2015

Perché Atene non potrà fare come l’Argentina in Avvenire 28 giugno



Perché Atene non potrà fare come l’Argentina
Mentre si dipanano gli eventi, analizziamo le possibili conseguenze di un’uscita della Grecia dall’Eurozona. Detto senza troppi giri di parole: il rischio è che per Atene si passi da anni 'duri' ad anni 'durissimi'.
L’esempio più immediato è il default dell’Argentina nei confronti del Fondo monetario internazionale. Una vera e propria catastrofe per il Paese latino- americano, alla settimana insolvenza dalla sua indipendenza nel 1816: svalutazione massiccia, moti popolari, fallimenti di banche e di imprese. L’Argentina, però, fu in grado di rimettersi in cammino perché dotata di enormi risorse naturali, di una popolazione altamente qualificata (41 milioni di cittadini) e di un Pil di oltre 600 miliardi di dollari nel 2013. Oltre a questo, fruì pure di un importante vantaggio congiunturale: il boom di Cina e Brasile e la forte domanda di materie prime da lei prodotte. Rimborsò in questo modo il Fmi nel 2005 e tornò ad ottenere prestiti sui mercati internazionali. La Grecia, con una popolazione di 11 milioni di persone e un Pil prima della crisi pari ad un terzo di quello dell’Argentina è in condizioni nettamente peggiori. Soprattutto se prevale la tesi secondo cui uscita dall’euro (dove si è entrati volontariamente e 'massaggiando', diciamo così, i conti) vuole anche dire espulsione dall’Unione Europea. Non sarebbe solamente la Grecia a soffrirne. In primo luogo, le inevitabili tensioni sui mercati potrebbero frenare i barlumi (tremuli) di ripresa in Europa. Da un altro, c’è il rischio di graduale sgretolamento dell’Unione. Lo temono soprattutto Paesi neo-comunitari entrati da pochi anni nel club, essenzialmente per avere un certificato di rispettabilità economica (Bulgaria e Romania in particolare). Altri neo-comunitari (Repubbliche Baltiche, Cechia, Slovenia) si stringerebbero attorno al nocciolo duro di Germania, Austria e Benelux per dar vita a quell’euro aureo (di prima classe, cioè) di cui si parla da tempo. E Italia, Spagna, Portogallo? Il destino pare essere quello di un euro in classe standard, collegato con quello aureo da un accordo sui cambi con fluttuazioni del 15% in più o meno attorno alla parità centrale. A Bruxelles si dice che la reazione alla proposta italiana sull’immigrazione è un’indicazione eloquente. La Francia? La finanza pubblica la pone in classe standard (per proseguire nel linguaggio ferroviario), ma il debito e il potenziale economico in 'executive' o quasi. Resta la speranza di un accordo in extremis, anche dopo il referendum. In ogni caso la ferita è profonda: saranno necessari anni per rimarginarla e tornare a un buon livello di fiducia comune.
Giuseppe Pennisi
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