sabato 31 gennaio 2015

UNA PRIMAVERA CHE RISCHIA DI ASSOMIGLIARE ALL’AUTUNNO in Formiche febbraio 2015



UNA PRIMAVERA CHE RISCHIA DI ASSOMIGLIARE ALL’AUTUNNO
Giuseppe Pennisi
Questa nota viene scritta prima che inizino le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, un processo che potrebbe sparigliare le forze politiche. Non cambia, però, sostanzialmente il quadro economico. L’economia mondiale va bene con un Pil che, secondo le maggiori organizzazioni internazionali, dovrebbe crescere sul 2,5% l’anno nei prossimi due anni, nonostante il rallentamento dell’espansione economica della Cina (che tuttavia avanza ad un ritmo attorno al 7,5% l’anno). Il Nord America va benissimo trainato dall’avanzata a passo rapido dell’economia americana a ragione di una politica economica temeraria e di una demografia giovane. L’eurozona va sostanzialmente male , nonostante le aspettative lanciata a Lisbona nel 2000 che ora sarebbe dovuta essere l’area più dinamica dell’economia mondiale. In seno all’eurozona, l’economia italiana va malissimo: nelle previsioni più ottimiste nel 2015 si uscirebbe dalla recessione (ma si resterebbe prossimi a crescita zero); in quelle più probabili si subirebbe un nuovo (l’ottavo) anno di recessione.
Quindi, la primavera che si sta avvicinando rischia di assomigliare ad una ripresa dell’autunno. Si sentono voci che attribuiscono la responsabilità all’instabilità in Grecia od alla stabilità tedesca ( e dei Paesi che circondano la Repubblica Federale). Dimentichiamo l’appello di Cassio a Bruto nel Julius Caesar di William Shakespeare: Bruto, Bruto il futuro non è nelle nostre stelle ma in noi stessi.
Indubbiamente, l’Italia ha nodi strutturali (quali la demografia e la dimensione delle imprese) che non è facile superare. Tuttavia, occorre chiedersi se è stato saggio anteporre le riforme istituzionali (che richiedendo di apprendere nuovi metodi e procedure comportano costi per la società e di sola rallentano l’andamento dell’economia) alle riforme strutturali del sistema economico. Ad esempio, è stata posposta a data definirsi la ‘legge annuale sulla concorrenza’, non certo una panacea, ma pur sempre uno strumento per stimolare maggiore competitività in comparti, specialmente nel settore dei servizi, notoriamente protetti. Si parla di privatizzazioni , ed è stato nominato un apposito comitato, ma l’ultima Relazione annuale sulle Privatizzazioni disponibile sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze risale al 2011 e la più recente privatizzazione effettivamente realizzata è quella dell’ente per gli ufficiali in congedo (in essenza un circolo ricreativo) iniziata dal Governo Monti e completata dal Governo Letta. Naturalmente, non si tenta neanche di disboscare il capitalismo (o socialismo) municipale di cui il Rapporto Cottarelli (peraltro mai pubblicato) ha delineato i rami tentacolari. O di prendere misure atte a ridurre il peso del debito sull’economia italiana; recenti studi della Banca d’Italia confermano che l’incidenza del debito sul Pil limita l’output potenziale di beni e servizi e, dunque, anche l’impiego.

 Senza dubbio, Governo e Parlamento sono stati molto impegnati nella riforma del mercato del lavoro – il Jobs Act ed i suoi decreti attuativi. Tema importante, anche a ragione dell’uso disinvolto e distorto di alcune tipologie contrattuali. Si è, però, certi che questo è il nodo strutturale principale dell’economia dell’Italia? Il mercato delle merci e dei servizi presenta distorsioni almeno analoghe a quelle del mercato dei fattori di produzioni. E nel mercato dei fattori, non è detto che le distorsioni attinenti a quello dei capitali non incidano su produttività, competitiva ed occupazione meno di quelle relative al lavoro.
Cosa fare? Una volta esaurita la complessa fase istituzionale dell’elezione del Capo dello Stato pare essenziale ripensare le priorità della politica economica.

venerdì 30 gennaio 2015

Il viaggio romantico dei Puritani in Milano Finanza 31 gennaio



Il viaggio romantico dei Puritani
di Giuseppe Pennisi  


I Puritani, ultima opera del 35nne Vincenzo Bellini, richiede co-produzioni per trovare voci adatte a un lavoro del 1835 per molti aspetti belcantistico ma già intriso di romanticismo. La produzione in scena a Firenze fino al 10 febbraio sarà a Torino dal 14 al 26 aprile. Nel 2008-2009 si coalizzarono le fondazioni liriche di Palermo, Bologna e Cagliari. http://static.milanofinanza.it/artimg/2015/022/1958353/small/o1-img280159.jpgNel 2012 i teatri della Lombardia (Brescia, Cremona, Como, Brescia e Pavia) con Jesi e Fermo. Ciò rende un'idea dello sforzo per produrre un lavoro dal libretto astruso, parti vocali impervie e una scrittura non solo a supporto delle voci (come nelle altri opere di Bellini) ma tale da dar vita al clima ossessivo che porta la protagonista alla follia. Il regista Fabio Cerasa (classe 1981) ha messo da parte tutti gli orpelli delle guerre della Gran Bretagna di Cromwell per fare una lettura astratta, con una scena unica scarna e costumi atemporali, creando l'ambiente giusto che porta Elvira alla pazzia e rende, poi, plausibile il lieto fine. Matteo Beltrami (esponente della giovane generazione di direttori d'orchestra italiani più noti all'estero) ha dato un'impostazione romantica alla lettura musicale, evidenziando un ricamo di atmosfere affidate alla sonorità orchestrali. Tra le voci spicca Jessica Pratt (che ha già trionfato nella tournée del 2012). Buono il gruppo maschile composto da Massimo Cavalletti, Antonino Siragusa e Gianluca Buratto. (riproduzione riservata)

martedì 27 gennaio 2015

Ma sul debito di Atene i conti son già fatti Anche da Cottarelli in Avvenre del 28 gennaio



Ma sul debito di Atene i conti son già fatti Anche da Cottarelli
Rispunta Carlo Cottarelli. Questa volta ad Atene. Non nella veste di autore di spending review secretate, quindi, ma di 'avvocato difensore' della Grecia alle dirette dipendenze di Alexis Tsipras, in quanto rappresentante della Repubblica ellenica («oltre che dell’Italia e di un’altra mezza dozzina di Stati») nel consiglio del Fmi, il partner senior della troika se non altro per l’esperienza e le risorse professionali di cui dispone. Cottarelli è avvezzo a trattare di debito pubblico. Per di più trova il terreno pronto. Nel novembre 2014 – a Washington, Bruxelles ed Atene è il 'segreto di Pulcinella', anche se a Francoforte si afferma di non saperne nulla – il presidente del Consiglio greco allora in carica Antonis Samaras aveva concluso un patto top secret con i partner europei che contano. Atene avrebbe dovuto rientrare quanto il dovuto nei loro confronti – quasi 190 miliardi su 300 – entro il 2057. Non si possono toccare i crediti privilegiati targati Fmi e Bce, perché salterebbe l’intero sistema. Ma la Grecia avrebbe forse avuto un periodo di grazia (senza pagare nulla ai maggiori creditori) fino al 2020. Da quella data avrebbe poi rimborsato a tassi di interesse 'calmierati', pari a solo lo 0,53% annuo in aggiunta al tasso armonizzato d’aumento dei prezzi pubblicato nel Bollettino Mensile della Banca centrale europea. Tsipras è ovviamente perfettamente al corrente.
Su questa base è anche facile non solo fare il gioco delle tra carte, ma mostrare risultati differenti a seconda dell’uditorio. Mediamente il debito greco ha scadenze di 16 anni, oltre il doppio di quelle di Francia, Germania ed Italia. Ad un tasso d’attualizzazione nominale (l’inverso del tasso d’interesse) medio del 2,5% (il 2% definito come 'obiettivo d’inflazione' della Bce più lo 0,53%) il prolungamento delle scadenze comporta una riduzione di un terzo di quanto dovuto – e un taglio ancor maggiore se nel pacchetto rientra anche il 'periodo di grazia'.
Mediaticamente sarebbero tutti contenti. Tsipras sottolineerebbe ai suoi che ha ottenuto un bel taglio. La troika che si è trattato di un allungamento 'tecnico' per meglio consentire alla Grecia il rientro del debito e l’avvio dello sviluppo. Ai contribuenti italiani l’operazione costerebbe circa 15 miliardi. Spalmati, però, su una ventina d’anni.
Giuseppe Pennisi
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Anticipazioni: la Settimana Mozartiana 2016 in Ilm Sussidiario 18 gtennaio



Anticipazioni: la Settimana Mozartiana 2016
Pubblicazione: mercoledì 28 gennaio 2015
Il Mozarteum Il Mozarteum
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In ordine di tempo, il primo festival annuale di Salisburgo – città di 150.000 abitanti in cui la successione di manifestazioni  musicali e teatrali e di mostre è la principale attivitità economica-   è la Settimana mozartiana organizzata dalla Università Musicale Mozarteum attorno alla data di nascita del compositore il 27 gennaio. A Salisburgo c’è, in pratica un festival al mese. Di musica e di arte si può anche vivere. 
La regione di Salisburgo, che produce sostanzialmente arte (e manifattura di lusso), è cresciuta dal 1995 al 2008 del 4% l’anno rispetto a una media del 2,5% per l’Austria nel suo complesso. Dal 2008 al 2014, nonostante la recessione nell’eurozona, il Pil della regione è cresciuto complessivamente del 16% (oltre il 3% l’anno), nonostante la crisi. Con meno di 600mila abitanti nell’intero Land, genera il 7,5% del valore aggiunto totale austriaco. L’industria del Land è alta tecnologia e meccanica; un tempo, fioriva la chimica, ma ora è in gran misura dismessa. In effetti, il settore trainante sono le arti: quelle visive (a Salisburgo si susseguono mostre di qualità) e gallerie di arte moderna e quelle sceniche, la musica in primo luogo. Il Festival mozartiano è breve ma importante; la produzione di Lucio Silla presentata lo scorso anno arriva il 16 febbraio a La Scala e vi resta circa un mese. 
La “settimana mozartiana”  adesso in corso (dal 22 gennaio al 2 febbraio) è incentrato sul Mozarteum, l’elegante scuola universitaria di specializzazione musicale costruita in suo nome. Vi si possono ascoltare tre delle maggiori orchestre del mondo: la Filarmonica di Vienna, l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, così come la straordinaria Scottish Chamber Orchestra.Stellar performers include French conductors Louis Langrée, and Marc Minkowski, and British conductors Ivor Bolton and Robin Ticciati. 
Interpreti stellari includono conduttori francesi come Louis Langrée e Marc Minkowski, nonché britannici come Ivor Bolton e Robin Ticciati. Oltre a due artisti di fama mondiale, il pianista Paul Lewis e il soprano Christiane Karg. Per chi desidera qualcosa davvero fuori del comune, c’è la messa in scena della cantata Davide Penitente, con la coreografia di Bartabas e del suo team dell’Académie équestre de Versailles, quindi con cavalli danzanti sul palcoscenico. Ciò indica il forte carattere innovativo delle messe in scene. 
Possiamo anticipare che l’anno prossimo l’accento non sarà su opere ma su grandi lavori corali ed orchestrali, anche se verrà presentata una nuova produzione Acis and Galatea, di  George Frideric Handel nella versione, raramente ascoltata, adattata da  Mozart in 1788 per dare al lavoro un maggior tocco contemporanea.
 In effetti verranno presentate , la stessa seria, sia la composizione di Handel sia quella di Mozart e il più tardo adattamento (1828) di Felix Mendelssohn Bartholdy, una vera chicca. Altri concerti da non mancare il Requiemdiretto da Sir John Eliot Gardiner e l’oratorio Elijah di Mendelssohnconcertato da Pablo Heras-Casado. La settimana, quindi, sarà sotto il duplice segno di Mozart e Mendelssohn di cui si ascolteranno anche la monumentale seconda sinfonia Lobgesang
Dato che il pubblico è sempre più giovane non mancherà un tocco di modernità: un’antologia di lavori di Henri Dutilleux (1916- 2013, uno dei protagonisti della musica moderna francese. Non manca una sezione per giovanissimi: il dramma in musica pieno di humour After Mozart was Murdered Alfred Brendel, un ‘giallo’ per bambini di tutte le età.


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Perché dopo la scossa di Draghi serve privatizzare in Italia in Formiche 27 gennaio

Perché dopo la scossa di Draghi serve privatizzare in Italia
27 - 01 - 2015Giuseppe Pennisi Perché dopo la scossa di Draghi serve privatizzare in Italia
Nei giorni in cui tutti azzardano stime sugli effetti del Quantitative Easing (Q.E.), volgiamo lo sguardo a cosa fare per rendere efficaci le “misure monetarie non convenzionali” varate il 22 gennaio dalla Banca centrale europee. Non solo mi concentro sulle materie strettamente nel nostro campo: ciò che possono (e che debbono) fare Parlamento e Governo della Repubblica Italiana mentre gli altri 18 membri dell’eurozona molto probabilmente si accapiglieranno su questa o quella virgola del compromesso raggiunto.
A mio avviso, il tema più urgente è quello delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni. Il Q.E. può darci lo spazio di manovra per farlo anche se i suoi effetti saranno inferiori a un tasso di crescita complessivo dell’1,8 % sui prossimi due anni (ossia, mediamente, 0,75% l’anno) come stimato dal Centro Studi Confindustria. La crescita sarà probabilmente – è la media delle proiezioni dei 20 maggiori istituti econometrici internazioni, tutti privati, nessuno italiano – sullo 0,4% nel 2015 e sul 0,6% nel 2016, pur sempre un’inversione di tendenza dopo tre lustri in cui alla stagnazione hanno fatto seguito una recessione ed una deflazione.
Le privatizzazioni (e la chiusura di enti inutili) sono particolarmente urgenti sia per contribuire a ridurre lo stock di debito (sarebbe illusorio, ove non puerile, fare conto, a questo scopo solo o principalmente sul Q.E.) sia per rendere più snello quello che un tempo si chiamava (grazie ad una definizione molto appropriata di Franco Reviglio) “settore pubblico allargato” sia per contribuire, in tal modo, ad aumentare la produttività dei settori di produzione (da quindici anni rasoterra).
E’ un campo particolarmente ostico: basti pensare che l’unica privatizzazione portata a termine nel 2014 è quella dell’Unione Nazionale degli Ufficiali in Congedo e che dal 2011 il Ministero dell’Economia e delle Finanze non mette in rete la Relazione Annuale al Parlamento sulle Privatizzazioni (forse perché non riuscirebbe a riempire neanche una pagina). Anzi, stiamo andando verso la nazionalizzazione (tramite una SpA contenitore) per le aziende in crisi.
Non solo ma la nostra proposta è di cominciare non con operazioni relativamente facili (cessioni di quote dell’Enel, dell’Eni, delle Poste) , e neanche da quella giudicata come la “madre di tutte le privatizzazioni” dall’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa (la RAI, per cui si potrebbe stilare un programma tecnico dettagliato) ma dal terreno più difficile: quello del capitalismo (o socialismo) regionale e municipale.
Il campo è tanto ispido che il documento stilato dal buon, e caro, Carlo Cottarelli (chiamato a rimettere ordine e presto rispedito, dal Presidente del Consiglio, oltre-oceano, dove non potesse sapere troppo su ciò che avviene in Italia) è stato “segretato” come se svelasse segreti di Stato sul terrorismo mondiale.
Interpolando dalle informazioni apparse sulla stampa a proposito del documento segretato, analisi apparse sulla bella rivista Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno (ha cessato le pubblicazioni subito dopo avere toccato l’argomento), studi dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma e un saggio recente pubblicato dal Chief Economist della Cassa Depositi e Prestiti Edoardo Reviglio sulla rivista Economia Italiana, si giunge ad una base conoscitiva essenziale per trarre direttive operative.
In breve le “partecipate” a livello locale sono circa 25.000 mila (Cottarelli ne ha censite 8000), di un centinaio partecipate totalitarie, un migliaio aziende in cui la mano pubblica ha la maggioranza , 22.000 partecipate in cui gli enti pubblici hanno una quota inferiore al 49%, e ben 16.000 con una quota inferiore al 4%. Numerosissime sono mere scatole cinesi in cui sovente il numero dei dipendenti è inferiore a quello dei componenti degli organi di indirizzo di gestione.
Secondo Giovanni Montemartini, che in età giolittiana teorizzò le municipalizzate, avrebbero dovuto generare reddito da utilizzare a fini sociali a beneficio degli ‘incapienti’, i più poveri dei poveri’. Molte di esse, invece, sono macchine per fare debiti (si parla di circa 120 miliardi l’anno).
Occorre dire che all’interno del Governo era stato proposto di fare pulizia, portando a non più di mille (nell’arco di tre anni) il numero delle partecipate e di dismettere quelle con disavanzi per due anni consecutivi, nonché un drastico dimagrimento degli organi di indirizzo e di gestione e chiusura delle ‘scatole cinesi’. Alcune norme erano stato nelle legge di stabilità.
Tuttavia, con un emendamento all’articolo 15 della legge di stabilità al Senato, il Governo cancella con un colpo di spugna i tentativi di razionalizzazione delle società partecipate messi in campo negli ultimi anni. Niente vendite obbligatorie per le aziende dei Comuni fino a 50mila abitanti, previste dal 2010 e poi rinviate da una serie di proroghe, e niente privatizzazione delle società strumentali, cioè quelle che lavorano quasi solo con le amministrazioni controllanti, e che la spending review varata nel 2012 dal Governo Monti chiedeva di vendere o chiudere entro il prossimo 31 dicembre. Tutto abrogato: il panorama attuale delle società di enti locali, Regioni e ministeri può tranquillamente rimanere quello attuale.
Al posto delle sforbiciate, sempre rimaste sulla carta, il governo tenta la strada del controllo dei bilanci, imponendo agli enti che posseggono società in perdita di accantonare riserve e prevedendo, ma solo dal 2017, la chiusura obbligatoria delle aziende che chiudono bilanci in rosso per quattro anni consecutivi. Confermata, ma solo a partire dal 2015, la possibilità di “licenziare” gli amministratori delle partecipate che chiudono in perdita per due anni consecutivi. Sempre dal 2015, arriva un taglio del 30% ai compensi dei manager delle società controllate e titolari di affidamento in house che chiudono in perdita per tre anni consecutivi.
Dal 2015 è previsto che anche società partecipate, aziende speciali e istituzioni, anche di regioni e camere di commercio, debbano dare una mano nel «conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica». Come? In primo luogo, la norma promette di individuare “parametri standard” dei costi e dei rendimenti dei servizi, traducendo in termini societari il percorso dei fabbisogni standard degli enti locali che però al momento si mantiene lontano dal traguardo.
Più immediato è invece l’obbligo per gli enti proprietari di accantonare in bilancio fondi di riserva, a garanzia delle perdite accumulate dalle società. Le regole di questi fondi procederanno in due tempi: nel 2014, ogni ente dovrà accantonare una somma pari alla perdita registrata dalla sua società nel 2013. Nel 2015-2017, invece, le regole dividono le società in due gruppi, a seconda del risultato medio del 2011-2013: se è positivo, l’accantonamento sarà pari a una quota della perdita conseguita nell’ultimo anno, altrimenti si calcolerà sulla media degli ultimi tre.
Troppo poco e troppo tardi.