mercoledì 27 agosto 2014

Vi spiego perché mi convince (in parte) la politica del ministro Padoan in Formiche 27 agosto



Vi spiego perché mi convince (in parte) la politica del ministro Padoan
27 - 08 - 2014Giuseppe Pennisi
Formiche.net non ha mai fatto sconti al ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, anche se il vostro chroniqueur lo conosce e lo apprezza da quando, oltre trent’anni fa, organizzavamo convegni per l’Istituto Affari Internazionali sulla International Political Economy – allora oggetto misterioso in Italia. In epoca più recente, ci consultavamo, da schieramenti per così dire opposti, quando l’uno curava la parte economica del mensile MondOperaio (contiguo al Psi) e l’altro quella di Politica ed Economia (vicino al Pci). Formiche.net ha più volte criticato il suo assordante silenzio, mentre altri esponenti del governo parlavano di temi economici, senza averne competenza né amministrativa né sostanziale.
Non è, quindi, per acquisire benevolenze  anche solamente di un buon vicinato, che la sua intervista al Corriere della Sera di oggi ci sembra un’ottima introduzione al Consiglio dei Ministri di venerdì.
In primo luogo, Padoan chiarisce che dopodomani a Palazzo Chigi non si parlerà solo o principalmente di giustizia e di scuola – argomenti peraltro importantissimi – ma anche di strategia economica. Ciò è necessario non tanto in vista del Consiglio Europeo di sabato 30 agosto (dove i 28 si accapiglieranno su nomine e poltrone) ma in prospettiva dell’Eurogruppo in calendario il 12 settembre a Milano, quando l’Europa dell’euro dovrà non solo affinare una posizione comune per l’assemblea delle istituzioni di Bretton Woods (Fondo monetario, Banca mondiale, ecc) in programma a Washington all’inizio di ottobre) ma pure definire una strategia per le scadenze europee immediate, quali i documenti di stabilità ed i programmi nazionali di riforma.
In secondo luogo, Padoan smitizza il clamore delle anticipazioni del Rapporto Cottarelli sull’inefficienza del “capitalismo regionale e municipale”. Sono dati notissimi: nel 2007 al tema venne dedicato un saggio nell’ufficialissima rivista Amministrazione Civile del ministero dell’Interno; nel 2005, l’Università di Roma La Sapienza aveva condotto uno studio ampiamente discusso in vari seminari (a cui hanno partecipato esponenti politici); l’associazione di ricerche Astrid ha pubblicato più di un libro in materia; da tredici  anni l’associazione Società Libera batte su questo tasto nel suo Rapporto Annuale. C’è solo da augurarsi che questa ultima uscita serva a smuovere le tendenze di alcune parti del sindacato (specialmente all’interno del Cnel) a “liberalizzare ma non privatizzare”. E men che meno chiudere. E’ strada impervia: occorre un articolo nella riforma della Costituzione in lettura alla Camera per consentire alla Stato di intervenire se gli enti locali non fanno il loro dovere.
In terzo luogo, Padoan ha annunciato una strategia di rigore nella riduzione della spesa pubblica (ritengo di parte corrente, il conto capitale – in percentuale della spesa complessiva e del Pil – è ai livelli più bassi dall’età giolittiana). Il rigore verrà mitigato a ragione della grave situazione dell’economia reale (che comporterà un rinvio del pareggio di bilancio). Tuttavia, questa sarebbe potuta essere l’occasione di introdurre (nella riforma della Costituzione o con norma strutturale ad hoc) una misura strutturale, tale da impedire che, in caso di risanamento, le nostre “profonde radici socio-culturali” (le chiamano così Spolarore e Wackziarg in un bel saggio sul fascicolo di giugno 2013 del Journal of Economic Literature) ci riconducano alla situazione attuale. Questa misura sarebbe la “Sunset Legislation” in base alle quale tutte le leggi debbano essere “a termine” ed allo scadere debbano, se utile, essere ri-approvate (con gli aggiornamenti del caso) dagli organi deputati a legiferarle (vietando Milleproroghe o simili) al fine di evitare l’Himalaya legislativo in cui si annidano le disfunzioni e gli sprechi.
In quarto luogo, nei lineamenti di politica economica indicati nell’intervista sembra mancare un capitolo: quello dell’offerta. Essere supply sideo offertisti (secondo la pessima traduzione italiana) pare essere diventata una parolaccia. Tuttavia, il ministro dell’Economia e delle Finanze (di concerto con il ministro dello Sviluppo Economico), ha due frecce importanti al suo arco: a) l’investimento pubblico che nel breve periodo attiva capacità produttiva non utilizzata e, nel medio periodo, migliora la produttività dei fattori produttivi; b) le liberalizzazioni dei mercati delle merci e dei servizi per spingere imprese grandi e piccole ad essere più competitive, e quindi più produttive. Se l’investimento pubblico non può essere portato ai livelli degli anni Ottanta (negli anni Novanta è iniziato il suo declino) si può attivare risparmio privato in impieghi a lungo termine tramite banche di sviluppo, in primo luogo la Cassa Depositi e Prestiti. In materia di liberalizzazioni, meglio una terapia shock che azzeri resistenze settoriali che “lenzuolate” e simili.
In quanto luogo, non si parla di strategia per incidere sul debito pubblico. Il Ministro ha più volte affermato che, a suo avviso, il debito è sostenibile. Chi scrive ritiene che il limite della sostenibilità è stato superato e che il fardello frena la crescita. Persone oneste e in buona fede hanno spesso differenze di punti di vista.

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