mercoledì 6 agosto 2014

Ripartire dall'industria manufatturiera in Formiche mensile agosto

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OEconomicus
di Giuseppe Pennisi
Consigliere del Cnel e docente
presso l’Università europea di Roma
I dati parlano chiaro. L’Italia ha
una forte vocazione manifatturiera,
ma questa industria è il comparto
in cui più ha colpito la crisi in atto
dalla seconda metà del 2007. Dal
terzo trimestre 2007 al terzo trimestre
2014 la produzione industriale
ha accusato una flessione
del 24%, il 15% del “potenziale
manifatturiero” è stato distrutto
con una punta che arriva al 40%
nel comparto degli autoveicoli, il
numero di imprese manifatturiere
è diminuito di 32mila unità (colpendo
particolarmente le Piccole
e medie imprese, Pmi), l’occupazione
è scesa del 20% (nonostante
le imprese abbiano fatto il
possibile per trattenere lavoratori
fidelizzati e ben addestrati). Non è
un fenomeno che riguarda l’intera
eurozona; nello stesso periodo il
“potenziale manifatturiero” tedesco
è cresciuto del 10% circa.
Questi dati, apparsi in numerose
inchieste giornalistiche negli ultimi
mesi, portano, però, a una conclusione:
La Riscossa – come è intitolato
un eloquente libro-indagine
di Filippo Astone – ricomincia nella
“sala macchine della crescita”.
Non per nulla il saggio ha, come
sottotitolo, Fabbriche ed Europa
per fare decollare l’economia italiana.
Soprattutto l’evoluzione tecnica
sta trasformando le fabbriche
in luoghi a crescente densità tecnologica
e decrescente intensità di
lavoro – secondo uno studio della
McKinsey, entro dieci anni tra il
15 e il 25% dei posti di lavoro
oggi occupati da operai saranno
sostituiti da robot.
Non basta, però, andare nella
“sala macchine” per rimettersi su
un sentiero di crescita. Occorre
Riaccendere i motori, dal titolo di
un saggio di Gianfelice Rocca, a
lungo alla guida di un’importante
impresa manifatturiera internazionale
e ora presidente dell’Associazione
delle industrie lombarde.
Il saggio si differenzia dai numerosi
altri sul tema del “declino”
(pubblicati prima della crisi) e del
“tracollo” dell’economia italiana
(caratteristici di questi ultimi anni)
perché trasuda di ottimismo. D’altronde,
tutto un filone della disciplina
economica (la neuro economia)
sostiene che solo con una
forte dose di gioia si può crescere.
Rocca – occorre precisarlo – non
è un economista, ma un fisico che
ha tradizionalmente coniugato le
proprie attività imprenditoriali con
un forte impegno sociale (si pensi
al ruolo dell’Istituto clinico humanitas).
Conosce, quindi, bene la
“sala macchine”, ma sa guardarla
con l’occhio del teorico, dell’umanista
e del filantropo. È perfettamente
consapevole delle difficoltà
del manifatturiero italiano, ma, al
pari di Piero Bargellini (allora sindaco
di Firenze), con il fango sino
alle ginocchia negli Uffizi al tempo
dell’alluvione del 1966, ci ricorda
che questo non è il tempo dei piagnistei.
In 140 veloci pagine ci guida
alla scoperta della straordinaria
capacità d’innovazione dell’Italia,
dell’incredibile capitale di creatività
e di esperienza che risiede in un
comparto importante del manifatturiero:
quello chiamato medium
tech. Un’innovazione incrementale,
a differenza della “distruzione
creativa” schumpeteriana, costruita,
mattone dopo mattone,
sull’esperienza del passato, valorizzando
il merito ordinario.
L’Europa sarà di supporto o di
freno in questo contesto? Molto
dipende da quello che si riuscirà
a fare nei prossimi mesi, quando
l’Italia avrà l’onore e l’onere di
presiedere gli organi di governo
dell’Unione europea. Nell’agile
saggio L’Europa tradita – Lezioni
della moneta unica, Giuseppe Di
Taranto, della Luiss, traccia un
quadro agrodolce di come veri e
propri errori nell’architettura e nella
gestione dell’unione monetaria
abbiano contribuito alla crisi in
generale e a quella del manifatturiero
in particolare. Indica pure
sei misure concrete di breve e
medio-lungo periodo per rimettere
in sesto la situazione e tornare alla
crescita, nonostante il processo di
desertificazione industriale iniziato
nel 2008.
Auguriamoci che almeno la metà
delle misure indicate siano adottate
e che si vada verso un Industrial
compact che equilibri un Fiscal
compact (comunque da ripensare
e riscrivere).
Ripartire dall’industria
manifatturiera

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