domenica 13 luglio 2014

Un paio di consigli non richiesti a Renzi per evitare il baratro all’Italia in Formiche 14 luglio



Un paio di consigli non richiesti a Renzi per evitare il baratro all’Italia
14 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi
Ora che la riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione, e la tanto da lui agognata soppressione del Cnel, sembrano “blindate” (ma nelle vesti del Presidente del Consiglio non sarei così sereno), Palazzo Chigi si vorrebbe finalmente dedicare al problema più grave dell’Italia: la bassa crescita economica e il rischio che il 2014-15 non siano anni di debole ripresa (i venti maggiori istituti econometrici internazionali la stimano sullo 0,2% l’anno) ma di una nuova recessione (di cui sarebbe premonitrice la contrazione dei consumi in Germania).
Il ministro dell’Economia e delle Finanze – un economista noto e di rango – parla poco ed in modo molto misurato. Invece, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio – un medico da sempre in carriera politica – concede interviste a destra a manca su temi economici. Lo stesso presidente del Consiglio si avventura su questi argomenti in interviste domenicali a Il Corriere della Sera, non tanto per delineare strategie quanto per rassicurare che tutto sta per migliorare e che non bisogna innervosirvi per spauracchi come l’apparentemente inarrestabile crescita del rapporto tra lo stock di debito pubblico e Pil.
Non mancano medici al capezzale di uno dei due “grandi malati” dell’eurozona (l’altro è la vicina Francia). Parte delle terapie suggerite sono ineccepibili: rilancio dell’investimento pubblico e privato, liberalizzazioni dei mercati dei beni e dei servizi (oltre che, per il poco che resta da fare, di quello del lavoro), privatizzazioni. Ci sono, però, ostacoli: arduo vedere come aumentare l’investimento senza una modifica della legge costituzionale rafforzata di bilancio e del Fiscal Compact. Le liberalizzazioni e le privatizzazioni non sembrano parte della cultura di chi è nato e cresciuto nel “socialismo reale municipale”.
Il nodo maggiore è, però, quel debito pubblico che viene considerato una parolaccia da non pronunciare di fronte a signore. I venti maggiori istituti econometrici citati in precedenza sono stati chiarissimi nella ultima stima di consensus (ossia su cui convergono tutti e venti – sono tutti privati, nessuno è italiano): nel 2014 (di cui è già trascorsa oltre la metà) il tasso di interesse medio sui titoli di Stato decennali dell’Italia sarà il 2,88% rispetto un media per l’intera eurozona dell’1,23%. Questo dato è molto più eloquente di tanti onanismi sullo spread. Peccato che i giornalisti televisivi si attardino sui secondi e non riportino la crudezza del primo (e il significato che il rapporto debito/Pil è destinato ad aumentare mentre il valore dei titoli italiani a calare). Voglio sperare che abbiano solo bisogno di corsi di alfabetizzazione finanziaria.
Lo stesso Fondo monetario – come già avvertito su questa testata – ha affermato che ci potrebbe essere una crisi del debito italiano tale da contagiare il resto d’Europa. L’ex direttore del servizio studi della Bce, Lucrezia Reichlin (economista di rango e non certo con simpatie per la Destra Storica) ha utilizzato le colonne de Il Corriere della Sera per suggerire che occorre pensare a ristrutturare il debito pubblico degli italiani.
Oggi la situazione è più grave di quanto non fosse il 30 giugno scorso quando segnalammo il pericolo e ricordammo che non mancano piani per affrontarlo. In questa settimana scade il termine per la conclusione del negoziato tra Argentina e una categoria di suoi creditori. Se la trattativa non porterà risultati si potrebbe innescare un crisi dal “Cono Sud” dell’America Latina ad altri Paesi non solo dell’Emisfero Occidentale; in Europa proprio in questi giorni ha chiuso i battenti la quarta maggiore banca bulgara, indicazione non certo incoraggiante.
Quale che sia la soluzione è preferibile che non venga formulata nell’incalzare di una crisi e che abbia il consenso delle parti sociali e dei gruppi intermedi. Nel 2012, Il Cnel mise a confronto le proposte sul tappeto. Perché il presidente del Consiglio in persona non si rivolge al Cnel affinché (prima della propria soppressione) il raffronto venga ripetuto (con gli aggiornamenti del caso) e si cerchi d’individuare una strategia condivisa?

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