domenica 6 luglio 2014

Per cortesia, non torniamo a Bretton Woods in Formiche 6 luglio



Per cortesia, non torniamo a Bretton Woods
06 - 07 - 2014Giuseppe Pennisi Per cortesia, non torniamo a Bretton Woods
Sarebbe un errore, nel XXI secolo, tornare a Bretton Woods, ossia ad un sistema di cambi fissi, oppure gestiti collegialmente attorno a "parità centrale" determinate per accordo politico
Settanta anni fa, al George Washington Hotel (privo di aria condizionata), si svolse, nelle prime settimane di luglio, la conferenza di Bretton Woods che fornì un assetto all’economia internazionale per decenni del dopoguerra, almeno sino al 1971-73 quando, da un lato, il sistema dei cambi ‘quasi-fissi’ (o gestiti collegialmente) tracollò sotto il peso del disavanzo della bilancia dei pagamenti americana e, da un altro, i Paesi produttori di materia prime, dopo un paio di secoli di silenzio, alzarono la testa per fare sentire le loro voci (e le loro ragioni di scambio).
In occasione della ricorrenza, c’è una vera e propria pioggia di articoli di augusti commentatori sul tema “torniamo a Bretton Woods” per mettere ordine nel sistema economico internazionale, per salvare gli Stati alle prese con massicci debiti sovrani e – perché no? – fare nascere più figli nella senescente Europa e forse anche curare le emorroidi.
Nulla di più banale. Ho lavorato, per un quarto di secolo, per le istituzioni di Bretton Woods, dal 1968 al 1986, 1986-89 e dal 1990-94. Sono state il mio migliore datore di lavoro. Ho grande rispetto per la quantità e la qualità del loro lavoro nonché soprattutto per la loro “efficienza adattiva”, la capacità di cambiare obiettivi ma mantenere elevati livelli di efficienza al mutare di circostanze.
Tuttavia, sarebbe un errore, nel XXI secolo, tornare a Bretton Woods, ossia ad un sistema di cambi fissi, oppure gestiti collegialmente attorno a “parità centrale” determinate per accordo politico (anche se su base economica). Ne si ha quasi ogni giorno la prova nei travagli dell’eurozona.
Bretton Woods si basava su quello che Robert Mundell e Marcus Fleming chiamarono “il teorema del trilemma” del 1962-63. Mundell, che ha sempre amato le cerimonie religiosi tanto quanto il Montalcino, mi disse di essere stato ispirato da due predicatori del Sei-Settecento: Philip Henry e Isaac Watts. Fleming diceva di essersi ispirato addirittura a Epicuro. Comunque sia, è un teorema che viene da lontano e va lontano. In breve dice che non si possono raggiungere tre obiettivi quando uno dei tre è incompatibile con gli altri due.
Nel caso specifico, dell’applicazione del teorema agli accordi di Bretton Woods, per favorire la ricostruzione e la crescita, per avere cambi fissi (ed impedire le svalutazioni competitive degli Anni Venti e Trenta) e per promuovere la liberalizzazione degli scambi commerciali (dopo il protezionismo e la frammentazione dei commerci tra l’inizio del Novecento e la fine della seconda guerra mondiale), si rinunciò alla libertà di movimenti di capitali (assoggettati anzi a controlli eliminati molto gradualmente e tolti definitivamente solo dopo la fine dei cambi fissi) e, quindi, alla sovranità monetaria.
Nell’eurozona, si è pensato di andare oltre (senza avere le condizioni – sempre definite da Mundell – per essere un’area valutaria ottimale ): cambi fissi (anche fississimi dato che le monete nazionali sono sparire, piena libertà di movimenti di capitale, mercato unico per i commerci di beni e servizi). Non pare che la situazione sia molto buona.
Dal luglio 1944 ad oggi, la storia economica ha insegnato : a) il trilemma morde b) i Paesi che optano per cambi fluttuanti ma non forzano svalutazioni competitive sono quelli che hanno i migliori risultati in termini di crescita.
Non c’è un solo trilemma (quello di Mundell-Fleming o, se si vuole, Epicuro-Henry-Watts. L’economista olandese Dirk Shoenmaker ne ha formulato uno secondo cui è impossibile avere, simultaneamente, stabilità finanziaria interna, un sistema finanziario internazionalizzato e sovranità nazionale. In un bel libro di Dani Rodrik (Università di Harvard), The Globalization Paradox, si sostiene, con solidi argomenti, che è impossibile perseguire al tempo stesso obiettivi di politica nazionale “affermativa”, democrazia interna e partecipazione al processo di internazionalizzazione. Quest’ultimo richiede regole implicite o esplicite che limitano la possibilità degli elettori di perseguire questa o quella finalità politica interna (come la tutela delle industrie nascente o certi “diritti acquisiti” da lavoratori e pensionati).
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan si destreggia bene nel labirinto dei trilemmi. Al Presidente del Consiglio che si è laureato in diritto amministrativo mentre faceva politica attiva, c’è un’ampia scelta offerta dalle università telematiche.

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