venerdì 25 aprile 2014

Molino s’ispira a Levi tra musica, pietà e solidarietà in Avvenire 25 aprile



Opera.

Molino s’ispira a Levi tra musica, pietà e solidarietà


GIUSEPPE PENNISI

BOLOGNA
O
ccorre fare i complimenti al Teatro Comunale di Bologna per il co­raggio di avere commissionato ad un compositore contemporaneo (Andrea Molino, classe 1964) un lavoro, Qui non c’è perché, ispirato da un episodio di Se questo è un uomo di Primo Levi. È la­voro di grande attualità, con cui si conclu­de quella che il compositore considera u­na trilogia in cui i primi due lavori ( Credo e Winners ) riguardano rispettivamente le relazioni interetniche ed interreligiose e i vincitori e i vinti della globalizzazione. Te­mi fortemente etici e religiosi – dopo tre o­pere che vertono su disastri ambientali ( Three Miles Island e Bophal ) e sulla pena di morte. Tutti di forte impegno civile e grande contenuto morale.

Qui non c’è perché
è a Bologna sino al 29 a­prile; successivamente andrà ad Anversa, Rotterdam e Ghent, i cui teatri lo copro­ducono. Si parla di possibili rappresenta­zioni in Australia e negli Stati Uniti.

È una produzione che richiede la parteci­pazione di più teatri, a ragione delle risor­se da mettere in campo: un’orchestra di 80 elementi in buca, due ensemble di per­cussioni sul palcoscenico, due sassofoni­sti jazz a volte in scena, a volte in sala. L’or­chestra fornisce un tappeto musicale qua­si sinfonico (si avverte l’influenza di Lige­ti e Messiaen) su cui si inseriscono il rock anni settanta ed il jazz. Due unici solisti (David Moss e Anna Linardou) ed una doz­zina di giovani dell’Institute for Living Voi­ce che cantano, danzano e recitano (in va­rie lingue). La scena è un impianto multi­mediale in cui si viaggia da interviste a gio­vani nelle strade di Bologna a muri diviso­ri (tra vari segmenti della società) ad a­strattismo puro. L’impianto risalta nella settecentesca Sala dei Bibiena del Comu­nale di Bologna con le sue eleganti file di palchi bianchi.

Il libretto (denso di citazioni: da Levi ad A­rendt, da Shakespeare a Einstein a Sereny) sviluppa non una vicenda ma sette numeri musicali: dall’angoscia dell’emarginazio­ne, principalmente giovanile, alla pietà connessa all’acquisizione del senso di re­sponsabilità degli uni per gli altri e della Fede. Il titolo è la frase di un guardiano di lager che toglie a Levi il ghiaccio con cui tenta di vincere la sete – quindi la crudeltà più atroce dell’uomo contro l’uomo. Levi, e Molino (con il libretto di van Staten), ri­battono: ma noi siamo qui proprio per sconfiggere il male. L’ultimo numero mu­sicale del lavoro è la speranza per un’u­manità migliore grazie alla consapevolez­za acquisita dai giovani, dalla responsabi­lità degli uni per gli altri e dei loro occhi verso l’Alto. Al pari degli altri lavori di Moli­no anche questo, pur trattando temi di va­sto respiro e di lunga durata, è di grande at­tualità, specialmente in un’Europa e in un’I­talia in cui l’emarginazione giovanile è tema centrale delle politiche pubbliche.

È un po’ uno shock per il pubblico elegante delle 'prime'. È diretto anche a loro, non so­lo ai ragazzi che bivaccano sino alle ore pic­cole nel centro di Bologna e nei cui occhi si legge grande apprensione per il futuro.

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Una scena di «Qui non c’è perché»


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