martedì 18 febbraio 2014

‘HOFFMAN’ CON LA VALIGIA in Milano Finanza del 19 febbraio



‘HOFFMAN’ CON LA VALIGIA
Giuseppe Pennisi

Si possono trarre varie lezioni dalla produzione de“Les contes de Hoffmann” di Jacques Offenbach che , dopo avere debuttato a Pisa, è a Livorno e Lucca sino al 23 febbraio e riprende a viaggiare da Novara il 29 novembre. In primo luogo, a 83.000 euro a recita tutto compreso (solisti, coro, orchestra, scene e costumi) è un record al ribasso per una delle opere più complicate del repertorio francese. A titolo di raffronto si mormora – ma nessuno conferma- che il nuovo allestimento di Manon Lescaut di Giacomo Puccini in arrivo a Roma (con la direzione musicale di Riccardo Muti e ala regia di Chiara Muti) abbia un costo di circa 500.000 euro aa recita (se ne programmano cinque). In secondo luogo, questo Hoffmann da viaggio sfida allestimenti visti a Spoleto, Macerata e Roma, anche se non  gareggia con quelli di Monaco di Baviera e della Scala. Gli ultimi due, di altissimo livello (ed alto costo), sono concepiti per essere replicati per anni in più di un teatro (quello di Monaco è una joint venture con la English National Opera di Londra e quello della Scala una coproduzione con l’Opéra di Parigi, due teatri che tengono le produzioni di successo in cartelloni per almeno un lustro)  
 “Les contes de Hoffmannè l’ultima composizione del maestro dell’operetta francese. E’ anche la sua  prima ed ultima opera vera e propria mai completata a ragione della sua prematura morte. Alla metà degli Anni Settanta ritrovati alcuni manoscritti, venne approntata l’edizione critica. Quest’ultima risultò di difficile realizzazione scenica a ragione della durata. Quindi, le produzioni (in teatro ed in disco) sono di norma varie contaminazioni delle varie versioni. Non è  un problema filologico; variano interi passaggi ed il peso relativo dei personaggi.  Mentre nelle versioni rappresentante sino alla fine degli Anni Settanta, “Les contes” aveva, nonostante il finale amaro, il tono di un’opera leggera, l’edizione critica è apparsa drammatica, con passi cupi e temi demoniaci.
L’apologo di Hoffmann (pittore, poeta scrittore e musicista della Prussia della prima metà dell’Ottocento), delle sue quattro donne, della musa/ispiratrice di lui innamorata e del mefistofelico deuteragonista (che lo sconfigge ad ogni occasione) viene letto come quello dell’incapacità di relazioni vere e di una vita in rapporti interinali inconcludenti.
La scommessa del direttore artistico Marcello Lippi ha avuto successo. La drammaturgia è  affidata ad un gruppo giovane (Nicola Zorzi, regia; Mauro Tinti, scene; Elena Cicorella costumi; Michele della Mea, luci) che hanno portato l’azione ai primi del Novecento (il secondo atto si svolge in una sala cinematografica dove si proietta un film muto); una scena unica, con un po’ di tendaggi ed attrezzeria, mostra i vari luoghi. La direzione musicale è nelle mani di Guy Condette. I cantanti sono giovanissimi , spesso per la prima volta su un palcoscenico. Il protagonista è un  brasiliano di 28 anni (Max Jota), il deuteragonista un baritono di 23 anni (Federico Cavarzan), le cinque voci femminili (Madina Serebryakova, Claudia Sasso, Velentina Boi, Marta Leung Kwing Chung) hanno tra i 24 ed i 30 anni. Un piccolo coro in grado di ‘recitar cantando’,  una cooperativa di giovani strumentisti. Tutti formati in cinque ‘laboratori’, ciascuno di una settimana, da giugno a dicembre 2013, prima di iniziare le prove vere e proprie. Lo spettacolo coglie a pieno il sapore agrodolce del lavoro.

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