venerdì 10 gennaio 2014

La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra in La Nuova Antologia Ottobre-Dicembre 2013

anno 148°
Nuova Antologia
Rivista di lettere, scienze ed arti
Serie trimestrale fondata da
Giovanni Spadolini
Ottobre-Dicembre 2013
Vol. 611° - Fasc. 2268
Le Monnier – Firenze
Giuseppe Pennisi, La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra
Premessa
Cosa è «la musica dello spirito»? Nel presentare la dodicesima edizione
del Festival Internazionale di Musica ed Arte Sacra, svoltosi a Roma tra la
fine di ottobre e l’inizio di novembre 2013, Hans-Halbert Courtial, fondatore
della manifestazione e presidente della Fondazione Pro-Musica e Arte
Sacra fornisce una interessante definizione sottolineando «la sacralità della
musica a capo di una missione, al vertice di una idea». Ciò vuol dire «offrire
la musica come uno strumento incommensurabile di elevazione spirituale,
proponendo al pubblico di vivere un concerto non solo come esperienza
estetica, ma come viaggio nella coscienza, come percorso nella dimensione
più interiore – e religiosa – della persona umana».
Sono parole che esprimo un concetto antico. Platone considera la musica
come la più alta delle filosofie. William Shakespeare, nell’inizio de La
Notte dell’Epifania, fa affermare ad uno dei protagonisti: «se la musica è
cibo dell’amore, continua a suonare». L’amore più forte è quello per l’Alto
e, quindi, per il proprio prossimo – precisa un personaggio del play. Una
nota personale. Nella seconda metà degli anni Settanta, quando lavoravo
in Banca Mondiale, ero in un’Etiopia dilaniata da guerre civili, siccità e
carestie. Sulla riva del lago Tana, a Gondar, dove mi ero recato per motivi
professionali, vi era un solo alberghetto, spartano, in collina, ma con vista
su montagne e colline. A ragione dell’altitudine e della fievole lampadina,
alle 22 dormivo. Alle 5 del mattino andai a sgranchirmi le gambe, scendendo
verso il villaggio. Il silenzio venne rotto da un coro proveniente da una
grotta trasformata in chiesa rupestre – una monodia a più voci, prevalentemente
di registro basso ma in cui i monaci più giovani avevano un registro
LA «MUSICA DELLO SPIRITO»
E LA SAGRA MUSICALE UMBRA
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 235
molto alto, analogo a quello dei controtenori. Il testo e la partitura erano
su un lungo rotolo in pergamena. Nel poverissimo insanguinato «Impero»
(dove l’aspettativa di vita alla nascita si aggirava sui 37 anni), cantando le
loro preci mattutine con strumenti a percussione ed a fiato, i monaci, tramite
la musica, viaggiavano dal Bene al Bello verso l’Alto. La composizione
aveva molto in comune con l’antico Exsultet di Avezzano, forse la prima
partitura rimastaci (risale al IX o X secolo dopo Cristo), ascoltata a Roma
a Santa Maria Maggiore in una rara esecuzione diversi anni fa.
Eppure, quello espresso da Hans-Halbert Courtial è anche un concetto
modernissimo. Il 16 aprile 2007 al termine del concerto per il suo ottantesimo
compleanno, Papa Benedetto XVI ha detto: «Sono convinto che
la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra
loro gli uomini di buona volontà su tutta la Terra e di portarli ad alzare lo
sguardo verso l’Alto ed ad aprirsi al Bene ed al Bello assoluti, che hanno
la loro ultima sorgente in Dio stesso». Queste parole di un Papa tedesco e
teologo ricordano che in Germania anche nell’epoca dell’ateismo di Stato
nei Länder orientali, l’educazione musicale è sempre stata tenuta in grande
considerazione, verosimilmente in quanto (unico) nesso con l’Alto. Lo
si tocca con mano se, a Berlino, si passeggia in una giornata di sole dalla
parte del canale che scorre accanto all’Isola dei Musei, le finestre dell’appartamento
di tre locali in cui vive Frau Angela Merkel (che non ha mai
traslocato nella residenza di funzione) sono aperte, si ascolta probabilmente
musica classica dallo stereo di famiglia (è quasi sempre acceso).
La «musica dello spirito» è un repertorio solo per pochi fidelizzati?
Niente affatto. Nel 2004, l’associazione di musica contemporanea Nuova
Consonanza ha dedicato alla «musica dello spirito» il suo festival annuale.
In un’estate di qualche anno fa, vari festival italiani hanno consentito di
effettuare un viaggio dal tempo dei canti di Gondar e dell’Exsultet sino
alla più sfrenata contemporaneità quale l’opera-video con orchestra, solisti,
mimi e live electronics di Adriano Guarnieri, Pietra di Diaspro, presentata
a Ravenna ed al Teatro Nazionale della capitale. A Roma, la Fondazione
Scelsi offre concerti di «musica dello spirito» in gran misura di ispirazione
orientale dato che la filosofia e la musica di quella parte del mondo influenzarono
profondamente il compositore Giacinto Scelsi.
Un anello importante per raccordare l’antico con la contemporaneità è
un periodo spesso dimenticato (in quanto, successivamente, travolto dal
Barocco e dal Romanticismo): la musica ambrosiana dei decenni successivi
al Concilio di Trento, uno stile in parte imposto dal cardinal Carlo Borromeo
che richiese di applicare con rigore i precetti musicali del Concilio (con i
quali si vietavano abbellimenti, soprattutto vocali, in quanto le preghiere
236 Giuseppe Pennisi
vanno eseguite in modo chiaro e nella giusta velocità). La musica ambrosiana
divenne monofonica, ed asciutta, imperniata sul falsobordone in cui
il cantus firmus veniva accompagnato con voci parallele ad intervalli consonanti.
Non distante dal declamato di Britten (si pensi alla cantata Saint
Nicholas) e dalle espressioni con cui si apre questo XXI secolo. Un grande
compositore del Novecento storico, Hans Pfitzener, illustra questo nesso in
una bellissima opera Palestrina, che manca da decenni dalle scene italiane.
Si è vista a Perugia, nella Basilica di San Pietro, alla Sagra Musicale Umbra
del 1953 in forma di concerto con i Wiener Symphoniker e la Wiener Singakademie,
con Karl Elmendorff sul podio. Programmata dal Teatro dell’Opera
di Roma, per il Giubileo del 2000, in coproduzione con il Covent Garden
ed il Teatro Nazionale della Baviera, si è vista ed ascoltata a Londra ed a
Monaco ma non nella capitale.
C’è un pubblico per «la musica dello spirito»? Negli ultimi anni l’attenzione
alla «musica dello spirito» è aumentata. Da tre anni, il festival internazionale
musicale di maggiore importanza, quello estivo di Salisburgo,
inizia con due settimane di «ouverture spirituale». Da tredici anni a Pisa c’è
un significativo festival di musica sacra ogni settembre, Anima Mundi, ed
a Roma, da dodici anni, a fine ottobre-inizio novembre si svolge un festival
internazionale di musica e arte sacra nelle basiliche vaticane con i Wiener
Philarmoniker come principale orchestra in residence con programmi articolati
dal primo Seicento, al Barocco, al Romanticismo, al Novecento storico
(principalmente Britten) ed alla contemporaneità, permettendo ancora
una volta un viaggio nei secoli. Non è forse un caso che il giovane compositore
pensionnaire dell’Accademia di Francia a Villa Medici, Laurent Durupt
(onere e privilegio che ebbero, tra gli altri, Bizet e Berlioz), sta lavorando
ad un progetto di «cori a cappella» da cantarsi non solo in sale da
concerto ma anche e soprattutto in chiese.
In Italia gran parte della «musica dello spirito» è finanziata da privati
– quella contemporanea da associazioni come Nuova Consonanza, quella
del passato da fondazioni spesso di orientamento religioso. Nonostante il
Paese abbia di fatto abbandonato da decenni l’educazione musicale, per la
«musica dello spirito» gli spettatori non mancano se la qualità è elevata ed
i prezzi dei biglietti accessibili anche a fasce di reddito (come i giovani e gli
anziani) non particolarmente alte. C’è un’implicazione importante di politica
pubblica: smetterla con i finanziamenti a pioggia ma dare sostegno
mirato a chi sa attivare attività finanziate dal non profit e dal privato, produrre
musica di qualità e attuare una politica di prezzi atta ad attirare
sempre nuovi ascoltatori. Questa implicazione non pare sia stata tenuta in
conto nelle redazione e nel dibattito parlamentare sull’ultimo provvedimen-
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 237
to di finanziamento pubblico al settore, colloquialmente chiamato decreto
«Valore Cultura» che ripropone aiuti ad enti musicali decotti e non privilegia
coloro che attivano risorse proprie e di privati.
Trattare di «musica dello spirito» in Italia comporta il rischio di perdersi
tra numerosissime iniziative. In questo articolo, quindi, ci si focalizza
sulla più importante: la Sagra Musicale Umbra, uno dei più antichi festival
musicali italiani ed uno dei più apprezzati dal pubblico internazionale. La
prima parte traccia la storia della Sagra e mutua in grande misura da materiale
inedito di Andrew Starling, che è stato Direttore artistico degli
Amici della Musica di Perugia dal 1985 al 2004 ed è in pratica «lo storicoin-
residence» della manifestazione: lo ringrazio per avere messo a mia
disposizione le analisi da lui elaborate. La seconda riguarda l’ultima edizione
della Sagra. Nell’archivio della Sagra (ora telematico) c’è un’ampia
rassegna di recensioni e di analisi a cui si può avere accesso.
Origini e contributo della Sagra Musicale Umbra
La prima edizione della Sagra Musicale Umbra ebbe luogo nel 1937, a
corollario dei corsi di Alta Cultura tenuti a quella che allora era chiamata
«Regia Università Italiana per Stranieri» e videro protagonista il senatore
milanese Guido Carlo Visconti di Modrone. Insieme al Maggio Musicale
Fiorentino, fondato nel 1933, è il più antico festival musicale d’Italia. Lo
stesso Visconti di Modrone aveva già tenuto dei corsi estivi presso l’ateneo
perugino nel 1934-1936, ognuno dei quali dedicato ad un periodo storico
(rispettivamente il Seicento, il Settecento e l’Ottocento). I corsi furono
seguiti a settembre da una piccola serie di concerti e si ritiene che l’esecuzione
de L’Orfeo di Monteverdi nel 1934 sia stata la prima ripresa dell’opera
– perlomeno in forma scenica – in tempi moderni. Alla prima edizione
del festival, diretta da Visconti di Modrone, collaborò il 26enne Francesco
Siciliani (sue le proposte di far eseguire L’enfance du Christ di Berlioz e La
sacra rappresentazione di Abramo e d’Isacco di Pizzetti) e dopo una sospensione
dovuta al secondo conflitto mondiale fu Siciliani ad assicurare la
direzione della seconda edizione, nel 1947, e per i successivi 45 anni.
La scelta del nome Sagra evitò da un lato l’utilizzo di una parola straniera
come «festival» (termine che nel 1937 sarebbe stato inviso al regime
dell’epoca) e dall’altro segnalò sin dall’inizio una vocazione per promuovere
l’esecuzione di musiche sacre e di composizioni dal forte contenuto
spirituale nelle verdi colline dove era nato e fiorito il francescanesimo. Il
perimetro regionale aveva anche lo scopo (ancora valido) di mobilitare le
238 Giuseppe Pennisi
energie di città ed anche paesi pure molto piccoli ma le cui pietre trasudano
di storia e rispecchiano ancora la spiritualità francescana.
Il governo dell’epoca, come ricordato una diecina di anni fa da Stefano
Biguzzi (L’Orchestra del Duce, UTET) dava grande importanza alla musica
anche in quanto Benito Mussolini, a torto più che a ragione, si considerava
violinista di livello; tentava di tenere un equilibrio tra «innovatori» (capeggiati
di Gianfrancesco Malipiero e Alfredo Casella) e tradizionalisti (guidati
da Pietro Mascagni), ma non nascondeva una preferenza per i primi.
Mussolini aveva creato anche il primo Festival Internazionale di Musica
contemporanea a Venezia (come discusso nel fascicolo ottobre-dicembre
2011 della «Nuova Antologia») come contraltare al Festival di Salisburgo
e vi aveva invitato tutti i compositori bollati come «degenerati» dal regime
nazista. Dopo i Patti Lateranensi, Mussolini aveva crescente esigenza di
supporto attivo, non passivo, dal mondo cattolico; quindi, un festival «di
musica dello spirito», per di più internazionale, con «prime esecuzioni
mondiali» e «prime italiane» di autori stranieri, non poteva non essere visto
con favore. Tanto più che la «musica dello spirito» inteso come «ideale» era
perfettamente in linea con la filosofia di Giovanni Gentile ed il pensiero
dell’epoca. Si pensi alle interpretazioni di parte date a quel capolavoro che
è Il Volo di Notte di Luigi Dallapiccola – interpretazioni che hanno pesato
per decenni sulle fortune dell’opera in Italia (dove la ho vista in scena una
volta sola, al confronto di ben cinque a Washington, Baltimora e teatri di
città anche piccole della Virginia).
L’importanza della Sagra nel far conoscere la grande «musica dello spirito»
in Italia
A ragione delle vicende che avevano portato al processo di unificazione
d’Italia, l’ambiente musicale del Paese è stato per decenni permeato di anticlericalismo;
il melodramma italiano aveva dato molto poco rilievo alla
«musica dello spirito» (si pensi che si era dovuto ricorrere ad un nuovo finale
detto «manzoniano» – invece di quello «byroniano» originale – per
l’edizione scaligera de La Forza del Destino di Verdi o che Stiffelio, sempre
di Verdi, veniva raramente messo in scena nella sua versione originale).
Inoltre il prevalere del melodramma teneva la grande musica sinfonica e
corale al di là delle Alpi.
In questo clima culturale, la Sagra fu un’operazione altamente innovativa.
Numerosi lavori sinfonico-corali del Settecento e dell’Ottocento ebbero
le loro prime esecuzioni italiane alla Sagra. Un elenco indicativo (non esau-
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 239
stivo) comprende – in ordine alfabetico dei nomi degli autori ma non cronologico,
di composizione o di esecuzione alla Sagra – composizioni di Bach
(la Passione secondo Giovanni, gli Oratori di Natale e di Pasqua e la ricostruzione
della Passione secondo Marco), Berlioz (L’enfance du Christ), Biber
(la monumentale Missa salisburgensis a 53 parti, attribuita all’epoca ad
Orazio Benevoli), Britten (il War Requiem, con la partecipazione dello stesso
autore, insieme alle tre Church Parables), Bruckner (la Messa n. 3), Dvorˇák
(il Requiem, il Te Deum e l’oratorio Santa Ludmilla), Elgar (The Dream of
Gerontius), Françaix (L’apocalypse selon St. Jean), Fauré (l’opera Prométhée),
Górecki (Beatus Vir), Haendel (la pressoché totalità dei suoi oratori e forse
anche la Brockes-Passion), Haydn (Nelson-Messe e Pauken-Messe), Honegger
(La danse des morts), Janácˇek (la Messa Glagolitica e l’opera Da una
casa di morti), Mahler (la ricostruita Sinfonia n. 10), Martinu˚ (I miracoli di
Maria), Mendelssohn (la Sinfonia n. 2, Lobgesang), Menotti (l’opera da
camera Martin’s Lie), Milhaud (Opus americanum e Pacem in terris), Mozart
(la Messa in do minore), Pfitzner (per l’appunto l’opera Palestrina), Schoenberg
(Gurre-lieder), Schubert (l’opera Fierabras), Stockhausen (Stimmung),
Szymanowski (Stabat Mater) e Tchaikovsky (l’opera La pulzella d’Orléans).
L’elenco può sembrare disorganico ma fornisce un’idea della vastità dei programmi
e del loro carattere innovativo. Se l’ordine viene riorganizzato secondo
la cronologia si spazia dalla riscoperta della musica del Seicento al
Novecento a prime esecuzioni assolute di musica contemporanea.
In effetti, sin dagli inizi, la Sagra diede grande accento alla contemporaneità.
Tra i compositori con lavori in prima esecuzione assoluta alla manifestazione,
troviamo Luciano Berio, Pablo Casals (una prima europea),
Mario Castelnuovo-Tedesco, Niccolò Castiglioni, Peter Maxwell Davies,
Giorgio Federico Ghedini (il Credo di Perugia, diretto da Celibidache), Paul
Hindemith, Frank Martin, Darius Milhaud, Krzysztof Penderecki, Goffredo
Petrassi, Ildebrando Pizzetti, Nino Rota e Karlheinz Stockhausen. La riscoperta
dell’antico e la valorizzazione del nuovo fece sì che alla Sagra, appena
terminata la manifestazione estiva di Salisburgo, si ritrovavano musicisti
ed appassionati di musica provenienti da tutto il mondo che venivano in
contatto con la ricca realtà di piccole città e di paesi disseminati su tutto il
territorio umbro, contribuendo in modo essenziale, a farli conoscere.
Negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale,
l’Orchestra dei Wiener Symphoniker e il Coro della Wiener Singakademie
erano «in residenza» a Perugia, ove si esibivano sotto la guida di direttori
come Thomas Beecham, Karl Böhm, Miltiades Caridis, Sergiu Celibidache,
Paul Hindemith, Eugen Jochum, Herbert von Karajan, Clemens Krauss,
Erich Leinsdorf, Artur Rodzin´ski, Wolfgang Sawallisch, Hermann Scherchen
240 Giuseppe Pennisi
e William Steinberg. Altri complessi invitati furono i cori e le orchestre del
Maggio Musicale Fiorentino (diretti tra gli altri da John Barbirolli, Vittorio
Gui, Eliahu Inbal, Paul Kletzki, René Leibowitz, Peter Maag, Lorin Maazel,
Lovro von Matacˇic´, Riccardo Muti, Georges Prêtre, Tullio Serafin e George
Szell), del Teatro dell’Opera di Roma (Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria
Giulini, Jascha Horenstein, Hans Rosbaud) e dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia (Giuseppe Sinopoli), nonché l’Orchestra Sinfonica di Roma
della RAI (Gerd Albrecht, Gianluigi Gelmetti). Tra le orchestre ospiti, sono
da ricordare la New York Philharmonic (Dimitri Mitropoulos) e varie formazioni
dell’allora «blocco» dell’Europa orientale (dalla Cecoslovacchia
alla Polonia e alla Repubblica Democratica Tedesca), mentre in anni meno
lontani sono da menzionare la Philharmonia di Londra con il Coro della
Radio Svedese (Muti), la London Symphony con il Coro dell’Orfeón Donostiarra
(Maazel), la Royal Philharmonic di Londra con l’Ambrosian
Chorus (Albrecht) e la London Philharmonic Orchestra & Chorus (Klaus
Tennstedt). Per quasi vent’anni il Coro Filarmonico di Praga, diretto da
Josef Veselka, fu una delle colonne portanti del festival, in concerti sia con
orchestra sia a cappella. L’edizione del 1990 ebbe inizio con quattro concerti
dell’Orchestra dei Bochumer Symphoniker insieme al Coro della Filarmonica
Slovacca: dedicati prevalentemente ad un repertorio contemporaneo,
i concerti furono realizzati in collaborazione con i «Quaderni Perugini
di Musica Contemporanea» promossi da Alfonso Fratteggiani.
Particolarmente interessante è il settore della «musica antica» e la
transizione da prassi esecutive di stampo quasi ottocentesco ad interpretazioni
filologiche. In parallelo, il recupero di «tradizioni nazionali» (basti
pensare al lavoro all’epoca di una Nadia Boulanger in Francia o di un
Benjamin Britten in Inghilterra). Troviamo in programma il Dolmetsch
Ensemble inglese già nel 1947 e il complesso di viole Pro Musica Antiqua
(Praga) nel 1949, mentre il Nederlands Kamerkoor e il Coro Filarmonico
di Praga ripresentarono alla Sagra lavori polifonici di Josquin, di Orlando
di Lasso (dai Salmi penitenziali alle Prophetiae Sibyllarum) e di Palestrina
(pagine rare come i mottetti del Cantico dei Cantici), ed è significativo
che nel 1977 la Sagra celebrò non soltanto il 150simo anniversario della
morte di Beethoven (con Leonore, la prima versione di Fidelio) ma anche
il sesto centenario della morte di Guillaume de Machault, con ben tre
programmi diversi. E sette anni più tardi, il Vespro di Monteverdi venne
eseguito per una quarta volta dal Monteverdi Choir & Orchestra diretti
da John Eliot Gardiner, 34 anni dopo l’edizione di Ghedini (1950), oramai
passata di moda e non più proponibile.
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 241
Sagra Musicale Umbra, jazz e balletto
La Sagra Umbra non presentava solo musica religiosa o cattolica. Nel
1974 (un anno dopo la nascita di Umbria Jazz), troviamo ben dodici repliche
del musical americano Godspell di Stephen Schwartz, insieme a quattro
concerti della Preservation Hall Jazz Band di New Orleans; nel 1975, sei
repliche di Rain Dog del Red Buddha Theatre di Stomu Yamash’ta; nel
1976, tre esecuzioni della Missa Universalis della rock band austriaca Eela
Craig e, nel 1977, una storia antologica del jazz presentata da Giorgio
Gaslini, insieme a Leona Mitchell, a Simon Estes e al leggendario bluesman
Robert «Pete» Williams. Le cantanti afro-americane Vera Little (1962),
Bunnie Foy (1971) e Bessie Griffin (1972) si esibirono in programmi di
spirituals e di canti gospel, così come nel 1970 i Los Angeles Jubilee Singers,
e nel 1988 la Sagra ospitò una nuova edizione dell’«opera-tango» Maria de
Buenos Aires di Astor Piazzolla. Da ricordare inoltre lo spettacolo Teodora
di Irene Papas nel 1991 e, l’anno successivo, i concerti di Franco Battiato
e degli Swingle Singers.
Dopo le esecuzioni delle Laudes Evangelii di Bucchi negli anni Cinquanta,
il balletto ricomparve negli ultimi anni della gestione Siciliani, con
il Ballet-Théâtre di Joseph Russillo e l’Accademia Nazionale di Danza (1981),
con la compagnia americana di Martha Graham (1991) e con il Teatro
dell’Opera di Budapest, che nel 1992 abbinò il balletto Il mandarino meraviglioso
di Bartók all’opera Il castello di Barbablù.
Se in generale Perugia è stata sempre la sede dei concerti più significativi
(nella Basilica di San Pietro e al Teatro Morlacchi), non vi è centro
dell’Umbria che non abbia ospitato concerti della Sagra, soprattutto tra il
1960 e il 1980: dalle città maggiori (Assisi, Città di Castello, Foligno, Gubbio,
Narni, Orvieto, Spoleto, Terni e Todi) a numerosissimi centri meno
grandi, come Amelia, Aquasparta, Bettona, Bevagna, Cannara, Cascia,
Castel Rigone, Città della Pieve, Collevalenza, Deruta, Gualdo Tadino,
Monte Castello di Vibio, Montefalco, Nocera Umbra, Norcia, Panicale,
Preggio, San Gemini, Solomeo, Spello, Torgiano, Trevi e Umbertide. Negli
anni Settanta, quando l’attività del festival era particolarmente intensa,
spesso si tenevano fino a quattro concerti in contemporaneo in località diverse.
Questo – come si è detto – è un aspetto importante perché ha portato
a fare conoscere i luoghi a livello internazionale.
242 Giuseppe Pennisi
Tendenze delle direzioni artistiche
Con il ritiro di Francesco Siciliani (dopo l’edizione del 1992) e del
sovrintendente Bruno Boccia (1993), la direzione artistica passò a Massimo
Bogianckino per il biennio 1994-95. Se le programmazioni del musicologo
e pianista romano furono più convenzionali (con l’inclusione di
concerti di varie orchestre da camera e di alcuni giovani pianisti italiani),
ciò nondimeno egli seguì le orme di Siciliani con la proposta di opere liriche,
sia in forma scenica – La pulzella di Orléans di Tchaikovsky – sia
in forma di concerto (Una vita per lo Zar di Glinka e Francesca da Rimini
di Rachmaninov), affiancate da vari oratori, tra cui il Messiah di Haendel
(diretto da Yehudi Menuhin) e il raro Christus am Ölberge di Beethoven.
Concerti sinfonico-corali furono dedicati a musiche di Musorgskij
e di Gyorgy Sviridov, mentre protagonisti della polifonia sacra furono la
Cappella Musicale Pontificia Sistina e il Coro da Camera di Philippopolis
(Plovdiv). L’edizione del 1995 si concluse con due spettacoli del Balletto
di Nizza, che terminarono con Le sacre du printemps di Stravinskij nella
coreografia di Léonide Massine.
Tra il 1996 e il 2003 la direzione artistica fu affidata al compositore
perugino Carlo Pedini, il quale valorizzò in modo particolare le forze musicali
– strumentali, vocali e corali – dell’Umbria, comprese quelle del
conservatorio del capoluogo umbro. Si ricostituì un’orchestra del festival e
la Sagra commissionò numerose composizioni nuove in questi anni: a Giorgio
Battistelli (1996), Philip Glass (1997), Ennio Morricone (1998), Leo
Brouwer e Matteo D’Amico (entrambi nel 1999). In occasione del Giubileo
del 2000, il festival produsse la Missa Solemnis Resurrectionis – scritta a
più mani da Marco Betta, Marco Tutino, Paolo Ugoletti, Giampaolo Testoni,
Giovanni Sollima, Fabrizio De Rossi Re, Carlo Galante e dallo stesso
Pedini – che ricevette la sua prima esecuzione in piazza del Campidoglio a
Roma, mentre nel 2001 l’Orchestra dei Wiener Symphoniker diede la prima
esecuzione di una nuova performing version della Sinfonia n. 10 di Mahler,
commissionata a Giuseppe Mazzucca e a Nicola Samale. Nel 2003, in collaborazione
con la Compagnia Teatro di Sacco, la Sagra presentò uno
spettacolo di teatro musicale, La sapienza di Rosvita, con musiche scritte
appositamente da Fernando Sulpizi, e a Marco Betta fu commissionato un
brano per coro e orchestra, Il Perugino.
Tra le altre pagine sinfoniche e sinfonico-corali eseguite in questi ultimi
anni, ricordiamo la Sinfonia n. 2 di Mahler (Filarmonica Slovacca), degli
oratori di Lorenzo Perosi e di Domenico Bartolucci, la Faust-Symphonie di
Liszt, le quattro Sinfonie di Brahms (Deutsche Kammerphilharmonie di
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 243
Brema diretta da Harding), la versione originale della Sinfonia n. 4 di Schumann
(Orchestra del Settecento diretta da Brüggen) e la Sinfonia n. 3 di
Górecki (con Katia Ricciarelli solista), mentre sul versante di un repertorio
«alternativo» ci furono appuntamenti con la Michael Nyman Band, la Nuova
Compagnia di Canto Popolare, il Banco del Mutuo Soccorso, Luis Bacalov e
Giovanni Sollima.
Nel 2003 la Sagra Musicale Umbra confluì, insieme all’Associazione
Amici della Musica, nella Fondazione Perugia Musica Classica – un’operazione
importante di razionalizzazione – e il 2004 fu un anno di transizione
che servì a preparare il terreno per il triennio (2005-2007) di Aldo Bennici
come Direttore artistico. Vari progetti furono ereditati dalla precedente gestione
– il Requiem (Concerto mistico) composto da Carlo Pedini insieme ai
fratelli Mancuso, il Salmo IX di Petrassi, opere da camera di Marco Pontini
e di Pedini – ai quali si aggiunsero esecuzioni della Sinfonia dei Salmi di
Stravinsky (Budapest Festival Orchestra insieme al Collegium Vocale Gent),
della Pauken-Messe di Haydn e i debutti italiani di specialisti del repertorio
tardo-medioevale come Benjamin Bagby e gli Ensemble Dialogos e Sequentia.
La pubblicazione del primo volume dell’edizione nazionale delle Opere
di Palestrina fu l’occasione per una tavola rotonda dedicata al compositore,
le cui musiche furono eseguite pochi giorni più tardi nella Basilica di
San Francesco ad Assisi dal Coro Polifonico dell’Accademia Nazionale di
S. Cecilia diretto da Roberto Gabbiani.
Le programmazioni di Aldo Bennici alternarono un repertorio di richiamo
– la Nona Sinfonia di Beethoven e il Te Deum di Verdi (Zubin Mehta
con i complessi del Maggio Musicale Fiorentino), il Requiem di Mozart
(Frans Brüggen con l’Orchestra della Toscana e il Coro da Camera di Praga),
il Magnificat di Bach e la Krönungsmesse di Mozart (Bach-Akademie di
Stoccarda), musiche sinfoniche di Beethoven, Tchaikovsky, Wagner e Brahms
(Filarmoniche della Scala e di San Pietroburgo) – a squarci illuminanti sul
mondo islamico (i dervisci volteggianti di Al-Tannura e il complesso Ikhwan
Al-hadra) e ad esibizioni di solisti di fama consolidata (tra i quali Maurizio
Pollini, Salvatore Accardo e Mario Brunello).
Concerti indirizzati ad un pubblico meno tradizionalista furono dati
dalle cantanti Noa e Antonella Ruggieri e dal violoncellista Giovanni Sollima,
mentre vennero eseguite anche nuove commissioni a Carlo Pedini (un
secondo Requiem), a Silvia Colasanti (un lavoro ispirato alla Beata Angela
da Foligno) e alla cantante sarda Elena Ledda.
Attualmente il Direttore artistico della Sagra Musicale Umbra è Alberto
Batisti, che dal 2005 ricopre lo stesso ruolo presso gli Amici della Musica
perugini. Per le prime due edizioni da lui dirette, scelse delle program-
244 Giuseppe Pennisi
mazioni tematiche, dedicate nel 2008 a Dante Alighieri e nel 2009 alla
patrona della musica, Santa Cecilia. Tra i lavori eseguiti in questo periodo,
ricordiamo la Missa Solemnis di Beethoven (Orchestra Haydn di Bolzano
e Trento e il Coro dell’Accademia del Festival del Tirolo diretti da Gustav
Kuhn), la Messa in Si minore di Bach (Bach-Akademie di Stoccarda), la
Dante-Symphonie di Liszt, l’oratorio Le Stagioni e la Missa Sanctae Caeciliae
di Haydn, la Messe solennelle de Ste-Cécile di Gounod e l’Ode for
Saint Cecilia’s Day di Haendel (nella rielaborazione di Mozart, una probabile
prima esecuzione italiana). In prima esecuzione assoluta sono state
presentate pagine vocali dell’inglese Roger Marsh (Hilliard Ensemble) e del
perugino Marco Momi (Neue Vocalsolisten Stuttgart); in prima esecuzione
italiana i 12 Madrigali (2008) di Salvatore Sciarrino. Nel 2009 il festival
tenne un primo concerto nella cappella dell’Ospedale di Perugia.
L’edizione del 2010 mise in risalto i lavori di tre compositori dei quali
ricorreva l’anniversario della nascita. Tra questi sono da ricordare pagine di
Luigi Cherubini – il Requiem in Do minore del 1816, il Credo per coro e
organo e il Capriccio per pianoforte –, Giovanni Battista Pergolesi (lo Stabat
Mater e una recente ricostruzione di un Vespro liturgico) e Robert Schumann
(il Requiem für Mignon, i Goethe-Lieder op. 98a e vari pezzi inediti per pianoforte).
Per la prima volta, il festival tenne un concerto cameristico nella
sezione femminile del Complesso Penitenziario di Capanne, vicino a Perugia.
Il festival del 2011 ebbe come prologo il Colloquium «Musica e Fede»
presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura, durante il quale venne annunciata l’istituzione di un Concorso
di Composizione corale per un’opera liturgica nel 2012, concorso
promosso dalla Sagra Musicale Umbra. I programmi dei concerti si concentrarono
sul tema «Dal Vecchio al Nuovo Mondo», con l’esecuzione di musiche
antiche e moderne che evidenziarono il rapporto tra la musica europea e
quella dell’America Centrale, soprattutto tra il XVI e il XVII secolo. Tra gli
esecutori la Filarmonica della Scala (con la sinfonia Dal Nuovo Mondo di
Dvorˇák), Hesperion XXI di Jordi Savall, il Coro del New College Oxford e i
complessi vocali inglesi Tallis Scholars e Ex Cathedra. L’edizione del 2012
ebbe come tema «Angeli e Demoni» e vide la partecipazione della Royal
Philharmonic Orchestra londinese, della Kölner Akademie (con la prima
esecuzione in tempi moderni della cantata massonica Amphion, ou l’Alliance
de la Musique à la Maçonnerie di Luigi Cherubini), del Concerto Romano
(oratori secenteschi di Antonelli, Mazzocchi, Foggia e Carissimi), degli strumentisti
Ilya Gringolts e Maurizio Baglini e del baritono Alessandro Corbelli.
Il Saint Jacob’s Chamber Choir di Stoccolma, diretto da Gary Graden, fu
protagonista del concerto finale della prima edizione del Premio Francesco
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 245
Siciliani, il concorso di composizione per un’opera di musica sacra al quale
parteciparono oltre 190 candidati. La giuria del concorso, presieduta dal
georgiano Giya Kancheli, ammise ai finali tre compositori italiani – Giovanni
Bonato, Bruno Moretti e Antonio Eros Negri – e il Premio venne assegnato a
Giovanni Bonato per il suo Credo per coro a cappella a 8 voci.
La vocazione spirituale unita alle caratteristiche tematiche della Sagra
la differenziano da quasi tutti gli altri festival: sono criteri discriminanti per
la definizione del programma e la scelta dei singoli spettacoli. In breve, non
si possono invitare orchestre di passaggio e far loro suonare ciò che hanno
in repertorio. Il sovrintendente del Festival di Salisburgo, in procinto di
diventare quello della Scala, dice di essersi ispirato alla Sagra nel predisporre
l’«ouverture spirituale» che costituisce l’ossatura dei primi dieci giorni
della manifestazione.
Da Wagner a Britten passando per Penderecki
Il tema della 68a Sagra Musicale (15-25 settembre) è stato «La Trasfigurazione
». Uno dei maggiori dizionari della lingua italiana (il Sabatini-
Colletti) definisce il termine «Totale cambiamento, mutamento di aspetto,
di fisionomia; profonda alterazione dell’espressione: ad esempio. della realtà
nella pittura», specificando che «nel cristianesimo (significa), apparizione
di Gesù Cristo nello splendore delle sembianze divine, avvenuta sul
monte Tabor». Un tema, quindi, ampio e che non appartiene solamente
alla religione cristiana ed alla confessione cattolica. Ad esempio, il poema
sinfonico di Richard Strauss Tod und Verklärung (Morte e Trasfigurazione)
non trae ispirazione da libri o testi sacri o da dipinti molto noti come quelli
di Raffaello, Lotto, Frate Angelico od altri ma da una poesia del suo
amico Alexander Ritter in cui un morente vede la propria vita passargli di
fronte agli occhi sino a quando la molto attesa «trasfigurazione» lo porta
nell’aldilà (secondo ricerche recenti, la poesia di Ritter sarebbe stata scritta
dopo il poema sinfonico ed ha tratto ispirazione dalla musica di Strauss).
La Verklärung è un tema fondante della poetica tedesca e dei musik drama
wagneriani, soprattutto di Parsifal, che ha sempre richiesto accorgimenti
scenici specifici per mostrare «trasfigurazioni» di un ambiente in un altro.
È anche centrale alla poetica orientale. Proprio nei giorni della Sagra era in
tournée in Europa la tragedia in musica giapponese Sonekazi shingu tsuketari
Kannon meguri (Doppio suicidio d’amore a Sonekazi con pellegrinaggio
ai luoghi sacri di Kannon), scritta e composta da Chikomatsu Monzeamon
e rappresentata, per la prima volta, a Osaka nel 1703. Nel lavoro i due
246 Giuseppe Pennisi
innamorati si congedano da questo mondo insieme nella consapevolezza
che dopo tanto soffrire andranno, «trasfigurati» in farfalle, nel Paradiso
buddista della «Terra Pura». Nella Madama Butterfly di Giacomo Puccini
in scena a La Fenice, con la regia di Álex Rigola (che per tre anni ha diretto
con successo la sezione teatro della Biennale) e le scene e i costumi di
Mariko Mori, una protagonista delle arti figurative contemporanee, la sfortunata
protagonista non muore in seguito ad harakiri ma viene «trasfigurata
» anche lei in farfalla, simbolo dell’immortalità nella cultura nipponica.
È in questo senso «spirituale» ma non necessariamente religioso, che si
deve intendere il tema della Sagra.
Esso comporta alcune discriminanti. Segnatamente, nell’anno del bicentenario
di Verdi e di Wagner e del centenario di Britten, l’accento è sul
secondo e sul terzo non sul primo. Come visto, anche di recente, sulla
«Nuova Antologia» (ad esempio, nel fascicolo di aprile-giugno 2013), Verdi
perse ogni senso di trascendenza, quindi di spirituale, dopo la morte
della moglie e dei figli; nelle sue opere non c’è traccia di Verklärung, i Quattro
Pezzi Sacri sono tra le meno riuscite e le meno convincenti delle sue
composizioni, la stessa Messa da Requiem è stata accuratamente definita
come un grande «melodramma» sulla lotta tra la vita e la morte più che
sull’ascesa «ad un mondo migliore» (per mutuare una locuzione dal libretto,
in italiano, del Don Carlo). Quindi, l’edizione può essere definita come
un viaggio da Wagner a Britten (con il primo è stata aperta la Sagra, con il
secondo si è avuto uno dei momenti più intensi) attraverso, però, anche
altri autori, tra cui una tappa importante è stata quella segnata da Krysztof
Penderecki, uno dei maggiori compositori e Direttori d’orchestra contemporanei
che in occasione della manifestazione ha voluto celebrare il proprio
ottantesimo compleanno. Verdi è stato sfiorato, con il suo raramente eseguito
Quartetto in Mi minore.
La Sagra non ha né un teatro né le risorse finanziarie per mettere in
scena una delle opere di Wagner, tanto meno Parsifal con le trasformazioni
sceniche che richiede in ciascuno dei suoi tre atti. Pur tuttavia, nel 1954,
Parsifal è stato messo in scena al Teatro Morlacchi con la direzione di Tullio
Serafini, coro ed orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e Bernd Aldenhoff
e Margarita Kennedy nei ruoli principali. La Sagra 2013 ha dato prova d’immaginazione.
A Wagner (ed alla Sinfonia n. 7 di Beethoven) è stato dedicato
il concerto inaugurale, il 15 settembre, al Teatro Morlacchi di Perugia:
l’Orchestra Sinfonica di Praga diretta da Jirˇi Beˇlohlávek con brani da Die
Walküre, Götterdämmerung e da Tristan und Isolde (con il soprano Annalena
Persson per la «trasfigurazione» di Isotta). A questa inaugurazione
«tradizionale» ha fatto seguito, il 20 settembre, un concerto wagneriano
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 247
innovativo. Nel Teatro Cucinelli di Solomeo (costruito da un imprenditore
filantropo in un piccolo borgo di recente restaurato) la Sagra ha offerto un
concerto di trascrizioni per pianoforte da Parsifal, Die Walküre e, nel bis,
da Tristan und Isolde. La prima a quattro mani; la seconda per due pianoforti.
Molto interessante la trascrizione da Parsifal: un lavoro di Engelbert
Humperdink che fece la trascrizione subito dopo la morte di Wagner (con
il quale aveva lavorato al primo allestimento del lavoro, scrivendo di proprio
pugno alcune misure per facilitare la «trasfigurazione» scenica al primo atto).
La trascrizione è dedicata alla famiglia Wagner, a cui Humperdinck era
molto affezionato. Di livello anche i brani tratti dalla trascrizione di Die
Walküre a opera di Hermann Behn, avvocato di successo e pianista. Buona
la «morte di Isotta». Al pianoforte Alessandra Gentile (giovane perugina
titolare di cattedra al Conservatorio di Parma) e Cord Garben (pianista tedesco
con una lunga carriera e una vasta discografia con la Deutsche Grammophon).
Durante il concerto, sullo sfondo del palcoscenico sono state
proiettati dipinti, attinenti alle opere, di Arthur Rackman e Willy Pogany.
In un certo qual modo, anche il concerto finale, il 25 settembre al Teatro
Morlacchi di Perugia, era intriso di echi wagneriani. La Junge Deutsche
Philarmonie diretta da David Afkham, e con il soprano Christiane Oelze,
ha eseguito Vier lezte Lieder (Gli ultimi quattro lieder) di Richard Strauss
e il Concerto per Orchestra di Bela Bartók.
Il Fiume del Chiurlo
A Britten sono stata dedicati due concerti. Il 17 settembre, al Conservatorio,
l’Orchestra da Camera di Perugia ha eseguito la Simple Simphony
del compositore britannico e il Cantus in Memory of Benjamin Britten di
Alvo Pärt, unitamente alla Suite in stile antico di Alfred Schittke e il verdiano
Quartetto in mi minore.
L’evento centrale ha avuto luogo, il 22 settembre, nella chiesa templare
di San Bevignate, l’allestimento scenico curato da Andrea De Rosa della
sua parabola da chiesa Curlew River, fusione della sacra rappresentazione
medioevale con la stilizzazione simbolista del teatro No- giapponese, sull’intensità
narrativa ed emozionale del dolore di una madre trasfigurato nella
Fede. Curlew River ebbe alla Sagra Musicale Umbra la sua prima esecuzione
italiana nel 1965, curata da Britten in persona e dal suo English Opera
Group, ad appena un anno dalla prima mondiale al Festival di Aldeburgh.
Anche allora, come prescritto dall’autore, la rappresentazione avvenne in
una chiesa, quella di San Filippo Neri.
248 Giuseppe Pennisi
«Fu a Tokio nel gennaio 1956 – racconta lo stesso Britten – che vidi per
la prima volta uno spettacolo di teatro No-; ed ebbi, durante il mio breve
soggiorno, tanta fortuna da vedere due diverse rappresentazioni di uno
stesso spettacolo: Sumidagawa, il fiume Sumida che attraversa Tokio.
Nell’insieme, mi fecero una enorme impressione la linearità e il patetismo
della storia, la sobrietà dello stile, il lentissimo ritmo dell’azione, la straordinaria
abilità e la padronanza degli attori, la bellezza dei costumi, nonché
quella fusione tra recitazione, parola, canto e parte strumentale capace di
dar vita ad una strana musica. Fu in altre parole una esperienza operistica
totalmente nuova. Il ricordo di questo spettacolo rimase impresso nella mia
mente, per gli anni che seguirono. Fu così che da Sumidagawa ci siamo
trasferiti a Curlew River (Il Fiume del Chiurlo) e in una chiesa nelle Fens
(la zona delle paludi del Cambridgeshire e del Lincolnshire), ma lasciando
intatto il racconto e i caratteristici personaggi». La scarna vicenda mostra
un gruppo di fedeli che devono attraversare un ponte sul fiume Curlew per
giungere al tempio e pregare sulla tomba di un ragazzo sconosciuto ma
oggetto di venerazione. Fra loro c’è una donna impazzita perché ha perso
il figlio, abbandonato ammalato proprio sulla riva di quel fiume. La donna
riacquista la sanità mentale e la pace quando il traghettatore le dice che
rivedrà il fanciullo in Cielo, quando tutti saranno risorti. Come nel teatro
No-, tutti i ruoli sono affidati a voci maschili.
Delle tre parabole da Chiesa scritte da Britten, Curlew River è quella
che ha più fascino per la fusione tra elementi orientali e medioevali in un
lessico musicale modernissimo. È forse anche quella rappresentata più di
frequente in Italia. Il 27 giugno, ad esempio, è stata proposta a Roma nella
Basilica di Santa Maria in Ara Coeli. La sobria e severa chiesa templare di
San Bevignate si è prestata meglio della ricca basilica romana alla messa in
scena della parabola; gli spettatori erano disposti in tre file sui lati della
navata in modo che tutti potessero vedere l’azione scenica; il regista Andrea
De Rosa (che ha già curato la regia di Curlew River a Trento ed altrove, ma
sempre in teatri non in chiese) ha proposto una drammatizzazione molto
dinamica: con pochi elementi tra i quali le funi, il vento della campagna
proveniente dall’apertura della porta della chiesa, la pedana di sabbia crea
un’azione realistica e di forte impatto scenico. Di grande effetto le luci
curate da Pasquale Mari. Essenziale la semplice scena di Marco Lupi. A
Roma, invece, Mario Martone, aveva optato per una regia stilizzata e la
posizione delle sedie per gli spettatori faceva sì che solo dalla prime file si
potesse vedere bene lo spettacolo. Nonostante Britten avesse pensato ad un
ensemble cameristico di sette elementi che non avessero esigenza di un
concertatore, è ormai prassi che il complesso abbia un Direttore: Jonathan
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 249
Webb, ha disposto le percussioni alla destra dell’abside (guardando dall’ingresso
della chiesa) mentre il flauto, il corno, la viola, l’arpa, l’organo e lo
stesso Webb alla sinistra. Ciò creava interessanti effetti stereofonici, che
sono invece mancati a Roma dove aveva concertato James Conlon, ma
l’orchestra era posta accanto all’altare in modo tradizionali.
Dei quattro solisti vocali solo il tenore Mark Milhofer (la donna pazza)
era di lingua madre inglese; era anche l’unico in elegante kimono rosso
(tutti gli altri erano in abiti moderni), ma portava una benda sugli occhi
(segno che era diventata cieca dopo la tragedia personale); la toglie (ma
non sappiamo se riacquista la vista) quando, nel finale, ritrova la speranza.
Impeccabile la dizione dei baritoni Raffaele Del Savio e Mauro Borgioni e
del basso-baritono Roberto Abbondanza, nonché del piccolo coro diretto
da Sergio Balestracci. Concertatori, ensemble, solisti e coro hanno evidenziato
in modo mirabile come questa composizione che alterna tonalità,
modalità e politonalità possa venire coniugata con temi della tradizione
musicale giapponese mettendo in risalto – in settanta minuti – l’esercizio di
stile che la partitura rappresenta dal punto di vista compositivo, citando al
suo interno elementi dal canto gregoriano sino ad una complessità mahleriana.
Un auspicio: che il viaggio di Curlew River non termini a Perugia.
Penderecki e gli altri
Krysztof Penderecki, diventato ancor giovane uno dei protagonisti
della musica contemporanea mondiale (ricordo agli inizi degli anni Settanta
il successo nella sua Passione Secondo San Luca alla National Symphony
di Washington), doveva essere «tollerato» dal regime comunista in Polonia.
Cattolico credente e praticante ed amico intimo di Lech Walesa e di
Karol Wojtyla, era stato lasciato essenzialmente libero di concertare in
tutto il mondo e di comporre anche un’opera per il bicentenario della Costituzione
degli Stati Uniti d’America. Penderecki parla perfettamente italiano,
è stato spesso in Italia sia in visita del suo grande amico Wojtyla sia
come Direttore d’orchestra (è stato spesso sul podio dell’Orchestra Sinfonica
di Roma) sia per gli allestimenti di sue opere – ricordo una dozzina di
anni fa I Diavoli di Loudon al Regio di Torino). Penderecki ha attraversato
la storia musicale della seconda metà del Novecento approdando, come
altri numerosi compositori, verso un linguaggio postromantico pluralista
(che attira il pubblico nelle sale da concerto e nei teatri d’opera).
Ed è proprio da questo linguaggio che occorre prendere spunto per
parlare del concerto di Penderecki, il 21 settembre, nel chiostro della Basi-
250 Giuseppe Pennisi
lica Inferiore di Assisi (un’area raramente aperta al pubblico). Per celebrare
i propri ottanta anni, il compositore ha scelto sue composizioni soltanto
nella prima parte del concerto, spulciando tra quelle apparentemente di più
facile ascolto (Serenata per orchestra d’archi, Adagietto dall’opera «Paradise
Lost», Sinfonietta n. 2 per flauto e orchestra) ed ha dedicato la seconda
parte alla Seranata in Mi maggiore di Antonin Dvorák (un autore da lui
profondamente studiato) per concludere con un «fuori programma»: la
Ciaccona per Papa Giovanni. Penderecki ha diretto con grande sapienza
l’Orchestra da Camera di Perugia, sottolineando la severità della Passacaglia
nella Serenata per archi, il tono elegiaco turbato da inquietudine nell’Adagietto,
i contrasti nei quattro movimenti (eseguiti senza soluzione di continuità)
della Sinfonietta, gli echi di musica folcloristica slava nella Serenata
di Dvorák. Davvero commovente e toccante l’inattesa Ciaccona per Papa
Giovanni. Grande successo mentre sulle colline e sulle piane dell’Umbria
di San Francesco (il concerto è durato dalle 16.30 alle 18.00) rosseggiava
un magnifico tramonto.
Una novità, almeno per l’Italia, il concerto del 21 settembre nell’Abbazia
di San Gemini dell’Ensemble Amarcord: nulla di felliniano, ma un complesso
vocale a cappella di Amburgo con due tenori, un baritono e due
bassi (Wolfram and Martin Lattke, Frank Ozimek, Daniel Knaut and Holker
Kraus). Hanno presentato un programma di un millennio di musica religiosa
(dalla medioevale Ildegarda von Binger, ai rinascimentali Thomas Tallis,
Sixt Dietrich, Pierre de la Rue sino a John Tavener e Marcus Botho Ludwig)
seguendo non una sequenza temporale ma giustapposizioni tematiche.
Infine, una vera chicca la Liturgia dell’Antica Festa della Trasfigurazione
presentata il 22 settembre dal coro La Stagione Armonica diretto da
Sergio Balestracci nel Santuario della Madonna dei Miracoli a Castel Rigoni:
la Messa della Trasfigurazione di Palestrina, intercalata con mottetti di
Tomas Luis de Victoria, Luca Marenzo e Cristobal de Morales.
Conclusione
La «musica dello spirito» è viva ed in buon salute. L’esperienza della
Sagra Musicale Umbra (di cui si è trattata solamente una selezione dei lavori
nel programma 2013) ne è una dimostrazione. Ne è la più importante
ma, come accennato in questo articolo, ce ne sono molte altre di qualità,
alcune relativamente recenti ma che mostrano crescente interesse per il
settore. A differenza di altre la Sagra Musicale Umbra ha saputo valorizzare
e fare conoscere a livello internazionale realtà importanti, anche se pic-
La «musica dello spirito» e la Sagra Musicale Umbra 251
cole, dell’intera regione ed ha razionalizzato le proprie strutture effettuando
sinergie ed evitando duplicazioni. La Sagra è nata quasi contemporaneamente
al Maggio Musicale Fiorentino, con «missioni» per molti aspetti
affini di riscoperta di musica obliata pur se importante e di innovazione
nella selezione e presentazione di musica «moderna» e «contemporanea».
Non sono state, però, due storie parallele: la Sagra, ancorché di dimensioni
modeste, riceve pochissimo supporto pubblico e chiude i propri bilanci in
pareggio. Per il Maggio si è dovuto ricorre al commissariamento ben tre
volte negli ultimi quindici anni e si è varata una normativa speciale per
evitarne (o solo ritardarne) la liquidazione.
Le autorità pubbliche (Ministero, Regioni, Comuni) dovrebbero dare
maggiore attenzione al comparto ed a realtà come la Sagra Musicale Umbra,
anche in quanto attirano un pubblico nuovo e giovane verso la musica.
Purtroppo, iniziative recenti di politica musicale sembrano dirette specialmente
a tentare di tenere ancora un po’ in vita enti e fondazioni decotti.
Giuseppe Pennisi
Ringrazio Alberto Batisti, Patrice Poupon e Andrew Starling per il loro
contributo a questo articolo.

Nessun commento: