domenica 8 dicembre 2013

RIFORMA PENSIONI/ La battaglia che la Cgil ha sepolto nel silenzio in Il Sussidiario 9 dicembre

RIFORMA PENSIONI/ La battaglia che la Cgil ha sepolto nel silenzio
Pubblicazione: lunedì 9 dicembre 2013
Susanna Camusso (Infophoto) Susanna Camusso (Infophoto)
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La Camera dei Deputati sta per cominciare a esaminare il testo della Legge di stabilità quale approvato dal Senato. Contro la parte che riguarda la previdenza (blocco delle perequazioni per alcuni milioni di pensionati e “contributi di solidarietà” tali da portare l’aliquota marginale sul reddito previdenziale al 61%) stanno cominciando a scendere in piazza varie categorie professionali, come indicato, tra i tanti esempi, da un duro editoriale sul Governo chiamato Barze-Letta nella newsletter dei medici ospedalieri. Ci sono varie sentenze della Corte Costituzionale secondo cui misure chiaramente discriminatorie nei confronti di una categoria (in questo caso i pensionati) sono in aperto contrasto con la nostra Legge fondamentale.
Alla sentenza che ha cassato il “contributo di solidarietà” imposto dal Governo Monti (e i pensionati stanno ancora aspettando che l’Inps rimborsi quanto loro detratto, nonché gli interesse di legge e la mora), si aggiunge quella del lontano 1995 sull’impiego improprio dei contributi dell’ex-Gescal, nonché altre che definiscono le pensioni come “salario differito” e, infine, l’art. 47 della Costituzione che tutela “il risparmio in tutte le sue forme”. Pare evidente che la norma (pensata da qualche Azzecarbugli in Via Ciro il Grande, sede centrale dell’Inps) serva solo come facciata per dare l’apparenza che ci si preoccupa dei pensionati ai livelli di reddito più bassi e che si trova la copertura aggredendo chi non può sfuggire a un “contributo” detestato tanto quanto il canone Rai.
È anche chiaro che l’obiettivo si sarebbe potuto raggiungere in altri modi, con risparmi di spesa (a iniziare da quello dei molteplici emolumenti di chi è alla guida dell’Inps). È infine evidente che tra qualche mese la norma verrà dichiarata incostituzionale e che, allora, tali risparmi di spesa verranno effettuati, se del caso esiliando a Sant’Elena chi ha ridotto il sistema previdenziale in questo stato. Anche in quanto sta nascendo una “grande coalizione” tra generazioni (con le pensioni dei nonni si pagano gli studi dei nipoti, come confermato pure dall’ultimo Rapporto del Censis) molto più forte delle “chiare piccole intese” su si regge l’esecutivo. La famiglia italiana effettiva non è di circa 2,5 persone, ma di oltre 8 che, specialmente in tempi di crisi, si raggruppano e sostengono a vicenda; l’apporto dei pensionati è fondamentale alla vita, ove non alla sopravvivenza, di questi nuclei.
Tra tante chiarezze ciò che non si comprende è l’assordante silenzio della Cgil. Nel 1984, il sindacato non esitò a rompere con le altre principali organizzazioni dei lavoratori e a raccogliere firme per far tenere un referendum con l’obiettivo di giungere all’abrogazione del “congelamento” di alcuni punti di indennità di contingenza. Il referendum si tenne e non ebbe successo. Adesso la Cgil avrebbe un’opportunità unica: il sindacato, il cui 60% circa degli iscritti è costituito da pensionati, si porrebbe alla guida di una coalizione per un “nuovo patto generazionale” e la difesa dei diritti non solo acquisiti ma costituzionalmente garantiti.
n una fase in cui i partiti non sembrano essere più un’efficace ed efficiente cinghia di trasmissione tra società civile e politica, si porrebbe al centro di un vero scambio politico per un’effettiva spending review in nome della difesa della non-discriminazione, della tutela del salario (anche differito) e del risparmio e di una riduzione delle spese improduttive, iniziando dal cumulo degli incarichi e dai maxi-compensi. Potrebbe chiedere di avere un ruolo in detta spending review.
Perché, al di là di qualche protesta di Susanna Camusso, la Cgil tace? Già adesso soltanto un giovane lavoratore su dieci si iscrive a un sindacato (e 0,3 su dieci alla Cgil). Ci sono ragioni nobili, come si è riassunto, ma anche solo per motivi opportunistici la Cgil avrebbe convenienza a prendere una posizione netta contro quello che uno specialista ha definito un vero e proprio “obbrobrio previdenziale”.


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