martedì 15 ottobre 2013

La ‘ricchezza’ delle famiglie in Lindro del 15 ottobre



I debiti dello stato

La ‘ricchezza’ delle famiglie

Il Rapporto sulla ricchezza globale 2013

     
  

Giuseppe Pennisi
Martedì 15 Ottobre 2013, 15:09
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Le agenzie di stampa ci informano che le famiglie italiane in termini di ricchezza pro capite risultano al 13esimo posto della lista stilata da Crédit Suisse. A precedere il Belpaese Francia e Regno Unito, ma siamo comunque davanti alla Germania. E' quanto emerge dal Rapporto sulla Ricchezza Globale 2013 stilato dalla banca, secondo il quale la ricchezza totale delle famiglie a livello globale è cresciuta del 4,9% a 241.000 mld di dollari, pari 51.600 dollari per ogni adulto. In cima alla lista la Svizzera, dove ogni residente possiede in media un gruzzoletto di ben 513 mila dollari, cifra record a livello planetario. A seguire l'Australia, con 403.000 dollari. Poco sotto Usa, Svezia e Francia che rientrano in una forchetta tra i 250.000 e i 300.000 dollari pro capite. La media della zona euro a metà 2013 è stata di 154.900 dollari, ma con forti differenze tra i paesi membri. In linea con la media di Eurolandia la ricchezza media delle famiglie austriache, tedesche e irlandesi, mentre le famiglie belge ed italiane segnano un 20% in più; il 50% per quelle francesi e lussemburghesi. male Spagna e Cipro, del 60% circa sotto la media della zona euro e Grecia con il 50% in meno. Aumenta inoltre il numero dei milionari del Vecchio Continente, soprattutto in Francia: 287.000 in piu', Germania 221.000 in piu' e Italia 127.000 milionari in più. Come si spiega il fenomeno dopo otto anni di recessione che hanno comportato una riduzione di almeno il 10% del reddito disponibile delle famiglie.

In primo luogo occorre distinguere tra ‘reddito’ - un concetto di flusso: quando si ottiene nel corso di un periodo - e  ‘ricchezza’- un concetto di stock: quanto le generazioni attuali e le precedenti hanno accumulato. Indubbiamente, grazie al duro lavoro e la parsimonia di generazioni , le famiglie italiane dispongono di un forte ‘ stock’ di ricchezza per lo più immobiliare od in titoli di Stato. Il fenomeno della ricchezza immobiliare è aumentato a ragione del decremento delle nascite: molte famiglie mononucleari hanno ereditato tre-quattro appartamenti e residenze secondarie da genitori, nonni e zie. Ciò comporta, però, difficili problemi di stima statistica del loro valore (anche perché non si tratta di ricchezza liquida) e poco si sa di come tale ‘ricchezza immobiliare’ sia stata stimata dal Crédit Suisse. La ‘ ricchezza’ in titoli di Stato dipende dal fatto che sino alla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso, il mercato dei capitali italiani era sostanzialmente ‘chiuso’ e l’alfabetizzazione finanziaria delle famiglie modesta; quindi, c’erano poche opportunità di diversificazione degli investimenti. La propensione al risparmio in generale degli italiani sta diminuendo: è passata dal 10% del reddito disponibile delle famiglie nel 2009 all’8% nel 2012. Ciò indica che a fronte della crisi , molte famiglie stanno diminuendo l’accumulazione di ‘ricchezza’. O la stanno intaccando.

Gran parte dei programmi di riduzione del debito pubblico delineati in questi anni fanno leva sull’utilizzazione della ‘ricchezza’ delle famiglie. Lo stock di debito pubblico rispetto al Pil (ormai attorno al 130% in termini di titoli, di cui circa un terzo in mano ad operatori stranieri) è il vincolo principale alla crescita.

Le analisi più recenti affermano che, data la nostra struttura economica e demografica, se il debito pubblico supera l’85% del Pil, il macigno agisce come un freno di almeno l’un per cento l’anno sulla crescita. Il tasso di crescita 'potenziale' del Paese è stimato tra l’1,5 ed il 2,5 % l’anno: ci si condanna alla stagnazione qualsiasi altra misura si applichi in materia di mercato del lavoro, liberalizzazioni, privatizzazioni. Ridurre gradualmente il fardello con un 'avanzo primario' (entrate superiori alle spese pubbliche al netto del servizio del debito) tale da portarlo al 60% del Pil (nei tempi previsti dal 'patto euro-plus' e dall’”accordo” sull’unione fiscale) implica una manovra di 35-50 miliardi di euro l’anno per i prossimi 20 anni – ossia condannare almeno una generazione alla recessione.

Quella dell’Italia pare una malattia congenita che ha le sue radici in determinanti storico-sociologiche di lungo periodo: in 150 anni di Unità, per ben 111 anni lo stock di debito pubblico ha superato il 60% del Pil.

Al fine di ridurre il debito, il primo punto (in ordine di tempo) della strategia di crescita presentato dal Governo Monti, e ripreso dal Governo Letta, è il fondo immobiliare che ha presto acquisito , sulla stampa d’informazione, il nomignolo di “fondo taglia-debito” In breve , l’obiettivo è “creare ricchezza” dalla manomorta pubblica (stimata a 1815 miliardi, pari quasi allo stock di debito pubblico).In pratica, la cessione di una parte (peraltro relativamente modesta) del patrimonio immobiliare pubblico (che oggi rende poco o nulla allo Stato ed alle pubbliche amministrazioni in generale) e diritti per le emissioni inquinanti di CO2. Dalla prima fonte si contano di ricavare 35-40 miliardi; dalla seconda altri 10.

In primo luogo, è pleonastico dire che cercare di valorizzare il patrimonio pubblico è una buona idea. Ci sono ora pure le premesse perché l’idea abbia questa volta modalità di applicazione che la rendano realizzabile entro un lasso di tempo relativamente breve. Lo schema messo appunto da Andrea Monorchio e Guido Salerno Aletta che è anche corredato da una bozza di proposta di legge d’iniziativa popolare fa leva non sul patrimonio pubblico ma su quello dell’edilizia privata. In breve i proprietari di casa verrebbero messi di fronte ad un’alternativa: o essere soggetti d’imposta patrimoniale oppure fare sì che un decimo del loro patrimonio edilizio (stimato in 9.000 miliardi di euro) venga ipotecato dallo Stato avendo in cambio a) la garanzia dell’esenzione da imposte presenti e future e b) un interesse al tasso di sconto presso la Bce ed un ammortamento ventennale. In tal modo – tralascio gli aspetti tecnici, alcuni dei quali molto ingegnosi- lo Stato avrebbe la liquidità per abbattere il debito pubblico e realizzare politiche di crescita. Un’alternativa del programma, prevede obbligazioni a cedola zero (garantite dall’ipoteca sul 10% del valore dell’immobile) che potrebbero essere particolarmente interessanti per chi vuole costituire un capitale per un lascito a figli o congiunti od amici. Sono ambiziose, in vario modo, anche le proposte di La Malfa e Savona (chiare alternative ad un’imposta patrimoniale). Vale, però, la pena integrarle con la proposta del Governo e con gli schemi Monorchio –Salerno e La Malfa-Savona – la proposta Guarino, invece, è essenzialmente una patrimoniale più o meno in maschera al fine di costituire un “fondo taglia-debito”.

Credo occorra partire dalla premesse che se si chiede ai privati di utilizzare parte dei gioielli di famiglia (la propria casa) per liberare l’Italia dalla morsa del debito (Monorchio-Salerno Aletta) si debba chiedere allo Stato di fare altrettanto. Destinare a tale fine una piccola parte del patrimonio immobiliare pubblico (è difficile che il mercato ne possa assorbire di più) e delle licenze per CO2, è limitativo. Anche perché tale patrimonio immobiliare pubblico (ad esempio, la case popolari Ater) non sono certo gioielli di famiglia.

Soprattutto, dato come non possiamo utilizzare le strade maestre per ridurre il debito pubblico – consolidamento, maxi-inflazione, super-crescita – occorre guardare a esperienze innovative di riscatto quali quelle attuate da alcuni Paesi dell’America Latina e dalla Germania. In America Latina non si trattava di risolvere il nodo del debito pubblico interno (abbastanza contenuto a differenza di quello sull’estero) ma di affrontare il peso di un insostenibile debito previdenziale. In Germania, il problema era come coniugare denazionalizzazioni con la riduzione del debito dei Länder orientali. In tutti questi casi, per il riscatto sono stati istituiti fondi specifici quali il Treuhandanstalt (THA) tedesco e si è utilizzato parte dello stock di ricchezza pubblica e privata (Bo,s, 2006; Sinn, 2001.)

In Italia sono stati fatti tentativi in parte in tal senso quali quelli di un migliore valorizzazione del patrimonio pubblico hanno dato risultati modesti poiché troppo timidi. Le proposte di Giuseppe Guarino, Giorgio La Malfa, Andrea Monorchio, Paolo Savona, Guido Salerno ed altri sono  un segnale importante: persone di culture differenti stanno metabolizzando l’idea del riscatto, nonostante non abbiamo dimestichezza con le esperienze dell’America Latina e della Germania. Numerose proposte guardano solo o principalmente alla ricchezza immobiliare privata (l’Italia ha la più alta percentuale al mondo – l’80% – di residenti che abitano in case di loro proprietà). Ciò sarebbe un’imposta patrimoniale in maschera (e verrebbe letta dai mercati come l’anticamera della bancarotta).

Un fondo per il riscatto del debito pubblico dovrebbe basarsi su tre pilastri (il suo “sottostante” nel lessico finanziario): a) parte del patrimonio immobiliare pubblico; b) parte del patrimonio immobiliare privato  su base volontaria ed in cambio di un’esenzione permanente da eventuali imposte patrimoniali; e c) parte dei veri di gioielli di famiglia (Enel, Eni, Finmeccanica, Poste Italiane, Sace,  Terna, Poligrafico, Sogin, Inail). Rai, Ferrovie, Fincantieri ed altre imprese da denazionalizzare non verrebbero incluse poiché sono fardelli da rimettere in sesto o da liquidare. Con un tale “sottostante” in garanzia, il fondo potrebbe emettere titoli a lungo termine ed a tassi allineati su quelli di riferimento della Bce per riscattare il debito pubblico e , in via subordinata, finanziare investimenti a lungo termine di interesse collettivo attualmente accantonati a ragione delle ristrettezze di bilancio. Il fondo sarebbe un veicolo per denazionalizzare/privatizzare le società /gli enti le cui azioni sarebbero il suo “sottostante”.

Perché l’operazione funzioni il “sottostante” dovrebbe essere aggregato (con una cartolarizzazione) e non dovrebbe essere quotato in Borsa per un certo numero di anni (al fine di costituire una garanzia solida). Potrebbe essere collocato presso fondi pensione per dare corpo ad una efficace ed efficiente previdenza integrativa. Ciò richiederebbe una preventiva riduzione del loro numero da 700 ad una diecina con effettiva portabilità (ossia che gli iscritti possano votare con le gambe e migrare verso quelli meglio gestiti). Un passo che va comunque fatto se non si vuole che la previdenza integrativa resti una chimera.
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