lunedì 21 ottobre 2013

Espressionismo normativo in Il Corriere Musicale 21 ottobre



Espressionismo normativo
Scritto da Giuseppe Pennisi il 21 ottobre 2013 in L'opinione · 0 Commenti
Ernst Ludwig Kirchner- Brandenburger Tor (Collezione privata)
Ernst Ludwig Kirchner Brandenburger Tor (Collezione privata)

Attualità • Dopo la conversione del decreto legge Valore cultura dedicata anche al riordino delle Fondazioni lirico-sinfoniche, ecco la fotografia di un momento delicato che trova le sue complesse radici negli anni passati 

di Giuseppe Pennisi

PER COMPRENDERE FINO IN FONDO PERCHÉ il mondo della musica (e dello spettacolo dal vivo) è in subbuglio e pare, in gran misura, dissentire dalla legge “Valore cultura” appena approvata dal Parlamento, occorre fare un passo indietro. Nel 2008, il Governo allora entrato in carica trovò una situazione a dir poco preoccupante, specialmente nel settore delle fondazioni liriche che avevano accumulato un debito di 300 milioni di euro (ora ammonta a 350 milioni). Con un provvedimento d’emergenza venne aumentato il contributo dello Stato e furono risanate alcune situazioni facendo ricorso anche ai fondi per le aree sotto-utilizzate (un tempo chiamate il Mezzogiorno). Un decreto legge  dell’aprile 2010, convertito nel successivo giugno, dette una nuova cornice al comparto. È importante sottolineare che alcuni punti della normativa vennero definiti dopo un ampio dibattito parlamentare e molti aspetti vennero rinviati ad un regolamento che venne predisposto con la partecipazione delle parti interessate ed approvato dal Consiglio dei Ministri nelle ultime settimane del 2012. Ciò è indirettamente dimostrato dal fatto che ci sono voluti 18 mesi per arrivare al testo.
Definire l’articolato è stato un lavoro immane poiché si è trattato di dare un senso a molteplici norme (spesso contraddittorie) ed armonizzarle guardando al futuro ed al resto d’Europa, non al passato oppure ad un presente ancora pieno di incrostazioni particolaristiche. Il regolamento (rimasto in bozza ancorché approvato dal Consiglio dei Ministri) rappresenta, in effetti, il primo testo unico in molti anni sulle fondazioni lirico-sinfoniche. I testi unici hanno il vantaggio di semplificare normative di settore accavallatesi negli anni, spesso per rispondere a questa o a quella esigenza (anche più che legittima) ma senza tener conto del sistema nel suo complesso. Quello per la lirica e la grande concertistica è un testo complesso, sul quale si sono divisi i sovrintendenti dei maggiori teatri e che ha incontrato l’opposizione dei 5.000 dipendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, i quali avrebbero perso alcune posizioni di vantaggio rispetto ai colleghi dei teatri di tradizione.
Il punto forte del regolamento è che avrebbe portato la legislazione italiana in linea con quella di Stati europei come la Germania, l’Austria e la Francia dove la lirica e la concertistica non sono  sorelle povere dello spettacolo dal vivo ma una realtà viva e vivace. Al pari di quanto avviene nei maggiori Paesi europei avrebbe posto un vincolo al finanziamento dello Stato: per essere tale una Fondazione avrebbe dovuto coprire metà del proprio bilancio con entrate autonome (biglietteria, sponsorizzazioni) e contributi da Enti locali (Regioni, Province, Comuni), nonché l’apporto di soci privati. Gli Enti locali protestano di essere già troppo oberati: ciò però li avrebbe costretti a decidere, in piena responsabilità e trasparenza, se utilizzare gli stanziamenti per la cultura, se finanziare la fiera del carciofone o della patata rossa o se contribuire al loro teatro, spesso un gioiello architettonico ricevuto in eredità dalle generazioni precedenti. Ciò li avrebbe costretti anche a mettere bocca nella programmazione del teatro, a cercare sinergie, ad attivare circuiti con istituzioni simili in Italia ed all’estero. Nel commentare il regolamento scrissi lo scorso dicembre che il punto debole era non prevedere incentivi europei per la detrazioni o deduzioni dei contributi privati dall’imponibile – nel resto d’Europa le detrazioni tributarie si aggirano sul 30% dell’elargizione filantropica (ed in Francia le deduzioni arrivano al 66%) mentre in Italia si è sul 19%. Uno dei risultati del regolamento (quale approvato in via definitiva) sarebbe stato quello di ridurre il numero delle attuali fondazioni (14); alcune sarebbero diventate teatri di tradizione a ragione del basso numero delle alzate di sipario (la media italiana sulle 80 l’anno rispetto alle 150 dell’UE a 15 ed alle 180 dell’UE a 27), dei pochi abbonati e spettatori in generale, della scarsa qualità cori ed orchestre, dei modesti incassi di biglietteria e di mancanza di sponsor.
Inoltre, il regolamento prevedeva la sostituzione della contrattazione nazionale collettiva con contrattazioni dei singoli corsi ed orchestre con le fondazioni. Questo è l’aspetto che più ha irritato le maestranze. Però è  anche un aspetto che ci avvicina all’Europa dove in molti casi cori ed orchestre hanno personalità giuridica autonoma che negozia con i teatri. È senza dubbio un tema difficile nel quale non è semplice individuare soluzione èqua ed efficiente.
Altro punto difficile sarebbe stata la valutazione della qualità della programmazione, elemento che entra nelle decisioni sull’entità dei finanziamenti. Si sarebbe potuto affidarla alla Consulta per la Musica del Ministero, ma sono essenziali criteri trasparenti quali il numero di Premi Abbiati ricevuti, le coproduzioni con grandi teatri stranieri, le prime mondiali. Senza dubbio, c’erano  miglioramenti da fare. Buon senso avrebbe suggerito di partire dal lavoro fatto ed effettuare le correzioni necessarie in base anche al parere parlamentare.
Il nuovo Governo, però, ha seguito una strada differente, sull’onda della crisi di solvibilità soprattutto del Maggio Musicale Fiorentino, del Carlo Fenice di Genova e di Lirico di Cagliari, ha approvato l’8 agosto un decreto convertito in legge all’inizio di ottobre e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 ottobre. Il calendario mostra che i tempi di preparazione ed approvazione sono stati molto stretti, soprattutto se si tiene conto della sospensione dei lavori parlamentari in estate. Il provvedimento stabilisce un sistema di prestiti a tasso agevolato per le fondazioni in difficoltà, ma non contiene più la clausola essenziale sull’apporto di enti locali, biglietteria e privati. L’art.11, anzi, riduce i componenti dei consigli di amministrazione, riduzione che toccherà soprattutto la presenza dei privati, ai quali si domanda una “fidelizzazione” consistente e di durata quinquennale. Insomma un privato, per avere un posto in consiglio di amministrazione della Scala, per esemplificare, deve assicurare per un periodo di cinque anni un consistente apporto finanziario. Quindi i teatri temono una riduzione complessiva dei finanziamenti: alcune grandi aziende (ad esempio, l’ENI) avevano annunciato il proprio ritiro, ma nell’incontro di venerdì scorso tra il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il ministro Massimo Bray è stata decisa l’aggiunta di un decreto collegato alla legge di stabilità per far rimanere i privati. È difficile pensare ad aumenti dei fondi statali (quali FUS) in un contesto di severe restrizioni di finanza pubblica, di blocco pluriennale degli stipendi degli statali, di riduzione in termini reali delle pensioni. Senza l’apporto delle aziende (anche in termini di imprenditorialità) molti teatri chiuderanno, anche se alcuni avranno una temporanea boccata d’ossigeno.
Altre norme specificano che alle fondazioni ed ai teatri si applicano molte regole della pubblica amministrazione in materia di acquisti di beni e servizi: ciò vuol dire, ad esempio, gare d’appalto anche per commissionare un manifesto pubblicitario. Numerose regole della pubblica amministrazione non sono necessariamente adatte ad un’impresa culturale come un teatro (da qui il problema del Piccolo di Milano). Gli amministratori, poi, saranno responsabili in proprio per disavanzi e debiti. Tira aria di numerose rinunce agli incarichi in essere. Inoltre, le pubblicazioni che documentino ricerche finanziate almeno per metà da fondi pubblici, saranno accessibili gratuitamente e telematicamente da chiunque e le esecuzioni, le rappresentazioni e le letture di una di queste opere, qualora avvenissero all’interno di una biblioteca, non saranno ritenute pubbliche se realizzate per promozione culturale e valorizzazione dell’opera stessa. I fondi verranno distribuiti in relazione alle attività svolte e rendicontate e a fini di trasparenza sarà prevista un’anagrafe degli incarichi amministrativi e artistici degli enti di spettacolo. Il MIBAC, però, non si è mai dato un’effettiva struttura di valutazione; quella che aveva creato in base ad una legge del 1999 valida per tutte le amministrazioni l’ha smantellata nel  2005.
Le proteste ed il dissenso non devono sorprendere.  Il ministro Massimo Bray, in comunicati, articoli e interviste, afferma che  la legge «è a favore di tutte le fondazioni» e che intende emanare al più presto il regolamenti previsti dalla legge del 2010. Anche se manca il regolamento, la normativa del 2010 è tuttora in vigore e, con essa, valorizza le caratteristiche di realtà come il Teatro alla Scala e l’Accademia Santa Cecilia di Roma. C’è, indubbiamente, un gran groviglio normativo. Prima viene appianato, meglio è.
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