giovedì 12 settembre 2013

Scuola ed economia, l’Italia continua ad essere contro la modernità in Formiche 13 settembre



Scuola ed economia, l’Italia continua ad essere contro la modernità
13 - 09 - 2013Giuseppe Pennisi Scuola ed economia, l'Italia continua ad essere contro la modernità
Se non si affrontano le radici anti-moderne dell'Italia si resta nel pantano. Il primo passo (ma solo il primo) costituisce nel dare primato al sapere scientifico. Lo fa il recentissimo “Decreto Scuola”?
E’ probabile che oggi 13 settembre, se le fibrillazioni in Parlamento non sono troppo acute, il Consiglio dei Ministri faccia un primo esame del ‘Decreto del Fare n.2’: la bozza che circola contiene una serie di misure puntiformi che dovrebbero contribuire ad agganciare l’economia italiani ai segnali (peraltro timidi) che si avvertono nel resto dell’eurozona.
Le misure previste
Gran parte di queste misure sono indubbiamente utili: provvedimenti per abbassare i costi dell’energia elettrica, crediti d’imposta per ricerca e sviluppo, incentivi per grandi progetti industriali, compensazione debiti della pubblica amministrazione con crediti fiscali, fiscalità agevolata per investimenti a lungo termine, promozione della digitalizzazione delle imprese e via discorrendo.
E la crescita?
Tuttavia, per quanto utili, non scalfiscono il nodo centrale: perché dopo il “miracolo economico” sino alla fine degli Anni Sessanta, la “notte della Repubblica” negli Anni Settanta e la politica per ridurre inflazione senza frenare crescita negli Anni Ottanta, l’Italia ha smesso di crescere ed è da anni in declino. Il “miracolo economico” è stato in gran parte determinato dalla “riserva” capitale umano impiegato in attività improduttive dalla metà degli Anni Trenta alla fine della seconda guerra mondiale. L’equilibrio tra contenimento dell’inflazione e sviluppo è stato reso possibile grazie all’innovazione di parte dell’industria manifatturiera agevolata da “svalutazioni competitive”, non più possibili da quando si è parte dell’unione monetaria.
Le tesi che spiegano la stagnazione italiana
Tuttavia, c’è molto di più. Per anni si è messo l’accento sul carattere “corporativo” della società italiana e, quindi, dei Parlamenti e dei Governi da essa espressi e, di conseguenza, di piccoli gruppi organizzati (si pensi alle associazioni/cooperative dei taxi nella grandi città) di incidere in misura determinante sulle scelte pubbliche (come ci ricorda il primo teorema del public choice di Buchanan e Tullock). Oppure su caratteristiche sociologiche quali il “familismo amorale” di Banfield. Oppure ancora su come il feudalesimo del Regno delle Due Sicilie (secondo Putman) ha inquinato il potenziale di crescita delle “repubbliche comunali” del resto d’Italia.
L’Italia che si oppone alla modernità
In questi giorni, esce un saggio a quattro mani di Elio Caldelo (un giornalista specializzato in tematiche scientifiche) e Luciano Pellicani (un sociologico di rango) intitolato suggestivamente: “Contro la Modernità: le radici della cultura anti-scientifica in Italia“. E un libro snello di 170 pagine che si legge in un giorno e che Enrico Letta e molti altri uomini e donne impegnati nell’azione di governo dovrebbero studiare (e meditare) prima di approntare “Decreti del Fare” (quale che sia il loro numero d’ordine). La prima parte, in particolare, analizza come nell’Ottocento quando la cultura scientifica si affermava in Europa e Nord America (avendo come corrispettivo il “positivismo”), in Italia si rispose trasformando (mi si consenta il termine) la teologia in “idealismo” e dando un forte primato agli studi classici. I “modernizzatori”, sotto il profilo intellettuale, vennero costretti all’emigrazione: Guglielmo Ferrero, Gaetano Salvemini, Giuseppe Peano, Raffaele Petazzoni, Federigo Enriques, Giovanni Vailati, Vito Volterra e via discorrendo. Un fenomeno analogo a quello attuale: le università americane (specialmente quelle tecnologiche) sono piene di ricercatori e docenti italiani ai quali le “nostrane” hanno sbarrato la porta. Dopo la seconda guerra mondiale, la situazione è stata aggravata da una linea di pensiero (di origine marxista) secondo cui la razionalità economica e la razionalità scientifica sarebbero state il frutto “della logica irrazionale del capitalismo”. I tempi più recenti “i guru dell’antimodernità hanno messo al centro del progetto politico l’emergenza ecologica e la giustizia sociale”, fraintendendo sia la prima sia la seconda.
Se non si affrontano queste radici anti-moderne si resta nel pantano. Il primo passo (ma solo il primo) costituisce nel dare primato al sapere scientifico. Lo fa il recentissimo “Decreto Scuola”?

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