giovedì 29 agosto 2013

Un Salisburgo all’altezza dei bicentenari in Musica settembre



VERDI Don Carlo J. Kaufmann, A. Harteros, M. Salminen, T. Hampson, E. Semenchuk, E. Halfvarson, R. Lloyd, M. Celeng, K. Howarth, M. Piskorski, A. Di Matteo, P. Kellner, D. Križaj, R. Lorenzi, I. Samoilov, C. Seidl, O. Savran, A-E. Köck. Wiener Philharmoniker, Coro della Wiener Staatsoper, direttore Antonio Pappano. Regia, Peter Stein. Scene, Ferdinand Wögerbauer. Costumi, Annamaria Heinreich
Salisburgo, Grosses Festspielhaus, 25 agosto 2013
WAGNER Die Meistersinger von Nürnberg M. Volle, R. Saccà, A. Gabler, P. Sonn, G. Zeppenfeld, M. Bohinec, M. Werba, T. Ebenstein, G. Jentjens, O. Zwarg, B. Kobel, F. Supper, T. Scharnke, K. Huml, D. Aleschus, R. Astakhov, T. Kehrer. Akademie Meitersinger des YSP, Wiener Philharmoniker, Coro della Wiener Staatsoper, direttore Daniele Gatti. Regia, Stefan Herheim. Scene, Heike Scheele. Costumi, Gesine Völlm
Salisburgo, Grosses Festspielhaus, 24 agosto 2013
«Don Carlo» è stato uno dei tre titoli verdiani (gli altri erano «Falstaff» e «Nabucco») con cui il Festival estivo di Salisburgo 2013 ha reso omaggio a Verdi nel bicentenario del compositore. Antonio Pappano (direzione musicale) e Peter Stein (regia) hanno lavorato partendo dall’edizione parigina del 1867, eliminando il lungo ballabile nel terzo atto (lo spettacolo dura comunque circa cinque ore e mezzo con due intervalli di venticinque minuti ciascuno) e utilizzando la traduzione italiana. Regia e direzione musicale hanno lavorato di stretto concerto e, pur sfruttando le opportunità offerte dal vasto palcoscenico della Grosses Festspielhaus, hanno cercato di mettere in rilievo soprattutto i conflitti intimi del dramma. Non è il solito «Don Carlo» grandioso e celebrativo ma un dramma politico e umano molto serrato in una Spagna dove prevale, nei costumi, il nero. L’atmosfera infatti è decisamente cupa, l’unico contrasto essendo fornito dai costumi degli aristocratici francesi al seguito di Elisabetta di Valois. Le scene sono scarne ma efficaci, le transizioni tra un quadro e l’altro spedite. Soprattutto, la concertazione di Pappano dà all’orchestra una varietà di colori maggiore di quanto si è sentito, di recente, a Torino da Gianfranco Noseda e a Firenze da Zubin Mehta. Tante sfumature vengono messe in risalto, sia nelle linee vocali sia nei brevi ma significativi assoli strumentali.
Ottimo il cast. Jonas Kaufmann (applauditissimo alla fine, ma non dopo la cavatina iniziale) conserva ancora la tenerezza lirica, la saldezza del legato e l’eleganza del fraseggio che si temeva potesse perdere affrontando ruoli wagneriani sempre più pesanti. Anja Harterios è una Elisabetta imperiosa e appassionata, che rivela un’insolita sensibilità politica. Thomas Hampson un Rodrigo vocalmente maturo (seppure timbricamente un po’ grigio) e scenicamente imponente, Ekaterina Semenchuck una principessa di Eboli mefistofelica, Matti Salminen un Filippo II che assiste tormentato allo sgretolarsi della propria famiglia e del proprio Impero. Eric Halfvarson delinea un grande Inquisitore squisitamente politico (più che religioso), e l’anziano Robert Lloyd mostra mezzi ancora possenti nei panni di Carlo V (mascherato da monaco). Tutti sono stati accolti da dieci minuti di «standing ovation» alla fine della recita.
L’opera scelta dal Festival per celebrare il bicentenario dalla nascita di Wagner, «Die Meistersinger von Nürnberg», non veniva messa in scena a Salisburgo, dalla edizione del 1938, quando nell’ultimo quadro del terzo atto ci fu un gran sventolare di vessilli nazisti. Quasi ad esorcizzare questi ormai vecchissimi ricordi, il nuovo allestimento (direzione musicale di Daniele Gatti, regia di Stefan Herheim) prende l’avvio dal giudizio di Theodor Adorno secondo cui «Die Meistersinger» è «la più alta e più piena espressione del genio dell’Occidente». Emerge infatti come una grande commedia umana che esalta le libertà civili ed economiche, la tolleranza, l’amore in tutte le sue guise, la lealtà intergenerazionale, la sacralità dell’arte e del pensiero e la continuità dei valori in un periodo di cambiamento. Nelle circa sei ore di spettacolo (intervalli compresi), si ride e ci si commuove di continuo.
Nell’edizione presentata a Salisburgo, l’azione è spostata all’epoca Biedermeier, quando, dopo il Congresso di Vienna, nasceva, gradualmente l’Impero tedesco. È anche l’epoca in cui Wagner raggiunse la maggiore età. L’azione scenica inizia durante l’ouverture: Sachs nel proprio studio ripensa alla vicenda che poi sarà svolta nel corso dell’opera. La sua scrivania si trasforma nella Chiesa di Santa Caterina (primo atto), i suoi armadi nella case di Norimberga (secondo atto), nell’interno del suo laboratorio (prima scena del terzo atto) e nella grande piazza alla porta della città (seconda scena del terzo atto). Un gioco d’incastro che non può non appassionare il pubblico. Curatissima la recitazione, rodata da due mesi di prove che coinvolgevano un’abile schiera di cantanti-attori.
Alla guida dei Wiener Philharmoniker, Daniele Gatti Non solo riesce a mantenere equilibrio tra buca e palcoscenico (impresa comunque difficile data la vastità dell’organico, da un lato, e l’esigenza di far comprendere qualsiasi parola, dall’altro) ma, pur nel contesto di un’esecuzione vigorosa, animata e rispettosa dei tempi, accentua la polifonia e dilata gli abbandoni degli archi nelle scene d’amore ed in quella della «rinunzia» di Sachs alle mira sulla giovane Eva.
Michael Volle è il Sachs migliore che abbiamo ascoltato dal vivo negli ultimi vent’anni, Georg Zeppenfeld un delinea Pogner possente, Marcus Werba un Beckmesser dal fraseggio scolpito e variegato. Anna Gabler è un’Eva che unisce dolcezza e astuzia. E Walther ha la vocalità lucente e appassionata di Roberto Saccà, il quale ha iniziato la propria carriera come tenore lirico mozartiano (lo ricordiamo ancora in «Die Meistersinger» a Trieste nel 1992, nel ruolo di David, affidato in questa edizione a Peter Sonn dal timbro luminoso) e ora approda a una delle parti più ardue nel repertorio wagneriano. Perfettamente nel ruolo Monika Bohinc (Magdalene) e tutti gli altri. I ragazzi e le ragazze dello Young Singers Project interpretano gli apprendisti delle corporazioni: un modo originale per far sentire che «Die Meistersinger» è di tutti e per tutti.
Giuseppe Pennisi


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