martedì 20 agosto 2013

Commercio mondiale a rischio inciampo in Avvenire 20 agosto

Commercio mondiale a rischio inciampo

La Wto ipotizza un brusco stop per lo smaltimento scorte



DI GIUSEPPE
PENNISI I n Europa si respira aria di ripre­sa, o meglio di «ripresina». Per l’Italia, tuttavia, potrebbe esse­re difficile agganciarla se non ripar­tono anche i consumi interni, visto che iniziano suonare alcuni cam­panelli d’allarme sul commercio in­ternazionale e quindi sull’export che, finora, ha garantito quanto me­no un freno alla recessione.

Nel secondo trimestre 2013, dun­que, la Germania ha segnato un au­mento del Pil dello 0,7% e la Fran­cia dello 0,5%. Anche il piccolo, e malconcio Portogallo ha messo a segno un incremento del Pil (nel­l’arco dei tre mesi) dell’1,1%. Alcu­ni, Italia inclusa, battono ancora la
fiacca. Complessivamente, in ogni caso, per l’Eurozona il secondo se­mestre viene considerato quello del­lo svolta. O meglio: della «svoltina». Come può l’Italia salire sul treno, per quanto lento si muova? Numerosi analisti puntano ancora una volta sull’export, che negli ultimi mesi ha fatto segnare crescenti surplus alla bilancia commerciale (marcata­mente in deficit, invece, per buona parte del 2012). Senza sminuire il ruolo del commercio internaziona­le, e specialmente dell’export, in al­cune categorie merceologiche, è le­cito nutrire qualche dubbio che l’I­talia possa tornare al modello di cre­scita trainata dalle esportazioni, pur caratteristica non solo dell’ormai lontano «miracolo economico» ma anche della strategia che negli An­ni Ottanta permise di ridurre dra­sticamente l’inflazione mantenen­do buoni tassi di sviluppo.

Ciò per ragioni sia interne sia inter­nazionali. A
metà agosto, partendo da queste ultime, l’Annual Review of Economics ha diramato un saggio il cui titolo fa accapponare la pelle: «The Great Trade Collapse» («Il Grande Tracollo del Commercio»). Ne sono autori Rudolfs Bems (Fon­do monetario e Bce), Robert John­son (Darmouth Colle) e Key Mu Yi (Federal Reserve Bank di Minnea­polis), tre «autorità» del ramo. Indi­viduano la principale determinan­te del «collasso» nella riduzione delle spese ag­gregate per be­ni durevoli og­getto di com­mercio interna­zionale e in un aggiustamento «massiccio» delle scorte accumula­tesi in questi anni. E Il 18 luglio scor­so preoccupazioni simili venivano espresse (in linguaggio più elegan­te) nel rapporto annuale dell’Orga­nizzazione mondiale per il com­mercio ( Wto). Sul fronte interno, anche il ministe­ro dello Sviluppo economico espri­me preoccupazioni: nonostante ab­biamo filiere di eccellenza nell’agro­alimentare e nell’alta moda, negli ultimi dieci anni la nostra quota del commercio mondiale si è quasi di­mezzata. Specialmente a ragione della contrazione (e della perdita di competitività) dell’industria mani­­fatturiera: nel 2008-2010, la produ­zione industriale ha subito una ri­duzione, in valore, del 24%; dopo u­na stasi nel 2010, è ricominciata u­na caduta dal 2011 che sembra a ruota libera. Rispetto al 2007, all’ul­tima conta la produzione indu­striale ha segnato una diminuzione del 26% . Settori e aziende che negli Anni Settanta erano «casi di suc­cesso » nelle migliori business schools americane ed europee oggi corrono ai tavoli dell’unità di crisi in funzione presso il ministero del­lo Sviluppo: Indesit, Candy, Ignis e Zanussi nel comparto degli elettro­domestici e delle apparecchiature per la casa un tempo marchi ricer­cati dalla stessa Regina d’Olanda. Anche sulla moda meglio non farsi illusioni: l’output del settore tessile è diminuito del 35% in cinque an­ni. In breve, se il manifatturiero in senso lato non ritrova lo slancio competitivo di un tempo difficile pensare che l’export possa fare da catena di trasmissione ad una «ri­presina » di cui comunque sapran­no trarre vantaggio alcuni compar­ti specifici. In effetti, come hanno argomenta­to quattro anni fa, Paolo Guerrieri e Pier Carlo Padoan (vice-segretario Generale dell’Ocse) nel saggio «L’E­conomia Europea tra Crisi e Sfide Mondiali» è sulla domanda interna (e, quindi, sul potere d’acquisto in­terno) che occorre puntare (oltre che su miglioramento di produtti­vità e di competitività). Per questo si rendono sempre più urgenti in­terventi in materia di politica indu­striale, cuneo fiscale-contributivo, produttività e competitività. Altri­menti l’Italia rischia di stare in pan­china a guardare la «ripresina» al­trui.

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Sarebbe una tegola per la «ripresina» italiana di fine anno ancora orientata all’export

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