mercoledì 29 maggio 2013

Promozione Ue di corto respiro senza revisione della spesa in Avvenire 30 maggio



l’analisi Promozione Ue di corto respiro senza revisione della spesa


DI GIUSEPPE PENNISI L’ Italia «esce» dunque dalla procedura d’infrazione per ec­cessivo indebitamento netto delle pubbli­che ammi­nistrazione.

Non è l’uni­ca procedu­ra d’infra­zione aperta dall’Unione europea nei confronti dell’Italia – nume­rose altre, infatti, riguarda­no aspetti tecnici – ma la più importante per la valenza politica.

L’uscita è in ogni caso una pri­ma vittoria segnata dal go­verno Letta in materia di po­litica europea. Ed è stata pos­sibile anche grazie a misure severe adottate dal prece­dente governo Monti. Una volta considerato il significa­to politico attribuito al­la «certifica­zione » da parte del­l­’Eurostat, ovvero che non siamo più a rischio di «sforare» i parametri (e i vincoli) che abbiamo circo­scritto, la fine della «proce­dura », va comunque detto che la «chiusura» è stata cari­cata da aspettative. Occorre, quindi, analizzarne con cura le implicazioni nel breve e nel medio termine.

Le conseguenze immediate.


L’uscita dalla procedura vuo­le dire che non rientriamo più tra il gruppo dei Paesi «inda­gati » dall’Eurostat (e dagli al­tri servizi della Commissione europea) in quanto ad alta probabilità di non essere in grado di restare nell’alveo tracciato. L’«indagine» non si è conclusa però con un’ar­chiviazione: restiamo «atten­zionati » e ai primi segni di tra­sgressione dal percorso co­mune potremmo diventare «sorvegliati», «sorvegliati spe­ciali » e di nuovo «indagati». La Ue non propone né un condono né un’amnistia né un indulto. Non fa sconti. In­vita l’organo deliberante (il Consiglio dell’eurozona) a so­spendere le indagini (poiché abbiamo dimostrato che vo­gliamo e possiamo restare nei vincoli di trattati ed accordi), ma a continuare a seguirci con particolare cura.

Uscire dalla procedura potrà avere effetti immediati: ridu­zione dello spread (e quindi degli oneri sul bilancio pub­blico). Ciò dipende, in gran­dissima misura, da come i mercati leggeranno le reazio­ni politiche dell’Italia. Se si stappano troppe bottiglie di prosecco (la crisi ha allonta­no lo champagne dai Palazzi), se si invocano aumenti della spesa per questo o quel me­ritevole obiettivo, i mercati potrebbero dare una «lettu­ra » negativa come nell’esta­te 1992 e nell’autunno 2011. Con implicazioni nefaste. Quindi, è essenziale che l’E­secutivo sia coeso, abbia u­na voce sola e un Parlamen­to che lo supporta in questa delicata fase.

Le implicazioni di medio pe­riodo.


L’uscita dalla procedu­ra apre varie finestre d’op­portunità. Sul piano della fi­nanza pubblica, senza dover ricorre alla richiesta di un’e­stensione di due anni per il raggiungimento dell’equili­brio strutturale di bilancio (come ottenuto da Francia e Spagna, ora diventati «sorve­gliati speciali»), guadagnia­mo una maggiore flessibilità nel mantenere il disavanzo entro il 3% del Pil. Avremo in­dubbiamente un margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review e fosse tolto il «grasso» che appe­santisce la spesa pub­blica. Si po­trebbe an­che giunge­re a una spe­cie di «gol­den rule» – esenzione dal computo di parte degli investimenti co­finanziati con la Ue con o­biettivi altamente prioritari – per un aumento della pro­duttività e riduzione della di­soccupazione giovanile. Da anni la caduta delle pro­duttività è l’aspetto più preoccupante. I dati dell’ul­timo rapporto Ocse sono e­loquenti: in un decennio i co­sti del lavoro per unità di pro­dotto sono aumentati in Italia del 10% rispetto alla media dell’area dell’euro e del 35% ri­spetto alla Germania. Non si pensa cer­to a colmare la differenza con una riduzione dei salari net­ti in busta paga (mediamen­te tra i più bassi nell’eurozo­na), ma con misure atte ad aumentare produttività ed impiego. Agire sui costi uni­tari del lavoro non sarebbe sufficiente se l’azione non ve­nisse accompagnata da mi­sure per accorciare i tempi della giustizia civile, per rafforzare il sistema bancario in modo da diventare un mo­tore per il finanziamento del­le imprese, per snellire la bu­rocrazia, per accorciare i tem­pi del pagamento dei debi­ti alle imprese. Nei prossi­mi mesi, la Ue guarderà a questi aspetti (non solo ai saldi di bilancio) ed avre­mo una graduale maggiore flessibilità di finanza pub­blica (per lo sviluppo) man mano che mostreremo progressi in tali aree.

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L’uscita dalla procedura significa che non siamo più tra i Paesi «indagati» dall’Eurostat Margine di manovra ancora maggiore se venisse rilanciata la spending review

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