venerdì 17 maggio 2013

Letta e Alfano hanno fatto goal ma non hanno vinto la partita in Formiche del 17 maggio



Letta e Alfano hanno fatto goal ma non hanno vinto la partita
17 - 05 - 2013Giuseppe Pennisi Letta e Alfano hanno fatto goal ma non hanno vinto la partita
Con un Ministro dell’Economia ed nuovo Ragioniere Generale dello Stato che godono della stima internazionale, si sarebbero dovuti evitare rinvii che hanno il sapore fogazzariano delle "belle cose di pessimo gusto" e si sarebbero dovute prendere misure chiare per crescita e occupazione
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva tentato di calmierare le aspettative, avvertendo che dalla riunione del Consiglio dei Ministri non ci sarebbero dovuti attendere “miracoli”, nonostante gli incontri del Ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni con i colleghi del G7, dell’Eurogruppo e dell’Ecofin ed il “ritiro spirituale” dell’intero governo in un’abbazia.
Le aspettative
Un bicchiere può sempre essere visto o mezzo pieno o mezzo vuoto. Tuttavia, molti si aspettavano qualcosa di più di: a) il congelamento della rata di giugno dell’Imu sulla prima casa (e l’impegno di una riforma della tassazione sull’edilizia entro il 31 agosto); b) un rifinanziamento della Cassa Integrazione Guadagni in deroga per un miliardo di euro; c) la proroga al 31 dicembre dei contratti a termine nel pubblico impiego; e d) una serie di ritocchi ai “contratti di solidarietà” in vigore in imprese in difficoltà.
Niente svolta
Probabilmente, dato il clima infuocato all’interno della maggioranza, si è riusciti a segnare un goal, come commentato dal vice presidente del Consiglio, Angelino Alfano. Non c’è, però, il colpo d’ala che avrebbe dato un carattere di svolta effettiva all’esecutivo. Svolta che sarebbe stata più importante proprio a ragione sia della situazione economica sia delle tensioni tra i partiti che, volenti o nolenti, sostengono il governo.
Sarebbe stata tale svolta possibile? A mio avviso sì, a condizione che Letta avesse scelto come proprio motto la frase rooseveltiana “la sola cosa che dobbiamo temere è di avere noi stessi paura” e se avesse aperto la riunione con un incipit mutuato da Winston Churchill “I soldi sono finiti, cari colleghi: è, quindi, venuto il momento di pensare”.
No ai rinvii
Non c’è contraddizione tra i due periodi. Nell’attuale contesto italiano, ed europeo, ciò che più dobbiamo temere sono i rinvii: le decisioni assunte (la lettura dei decreti potrà smentirci) rappresentato principalmente rinvii (della tassazione sull’edilizia, degli ammortizzatori “passivi”, del precariato nelle pubbliche amministrazioni. I rinvii possono solo peggiorare una situazione già grave; fare segnate un goal mettendo a rischio l’esito finale della partito. Non dobbiamo avere paura di un’Unione europea a cui (basta leggere i dati dell’ultimo euro barometro) hanno voltato le spalle oltre il 60% degli europei. Men che mai dobbiamo avere paura dei rimbrotti di Olli Rehn, la base economica della cui lettera ai Ministri economici e finanziaria dell’eurozona è molto indebolita dal dibattito degli ultimi mesi in cui gli stessi Carmen Reihnart e Kenneth Rogoff (autori della dottrina dominante su cui la lettera è fondata) hanno fatto le loro scuse alla comunità accademica.
Le misure per la crescita e l’occupazione?
Quindi, senza paura, avremmo dovuto pensare meglio a come uscire dal labirinto. Con un ministro dell’Economia e delle Finanze ed nuovo Ragioniere Generale dello Stato che godono della stima e della fiducia internazionale, si sarebbero dovuti evitare rinvii che hanno il sapore fogazzariano delle “belle cose di pessimo gusto” (e di poca utilità) di piccoli tempi antichi e si sarebbero dovute prendere due-tre misure chiare sul piano della crescita e dell’occupazione.
L’uscita dalla procedura per deficit eccessivo
Ammesso che la tassazione sull’edilizia è materia delicata e complessa che può meritare un paio di mesi per avere una soluzione tecnicamente adeguata, ci si sarebbe dovuto muovere subito su due fronti: a) il costo del lavoro riducendo il cuneo fiscale (non contributivo, perché ciò avrebbe comportato una riduzione delle pensioni future, già basse, delle nuove leve) ; b) l’investimento pubblico (e sgravi a quello privato per innovazione, ricerca, istruzione e cultura in generale). Queste misure ci avrebbero posto a rischio di non “uscire”, il 29 maggio, dalla procedura d’infrazione poiché potrebbero far sì che non si raggiungesse il pareggio di bilancio nel 2013 ed, anzi, che il disavanzo superasse il 3% del Pil? Non credo che Olli Rehn e colleghi si sarebbero appigliati ad una dottrina un tempo dominante ma ora screditata. Sempre che queste misure rivolte ad una crescita “inclusiva” fossero state incluse in un programma coerente (il nuovo Documento di Economia e Finanza, Def, ed una “nota aggiuntiva” a quello appena approvato) di sviluppo della produzione, del reddito e dell’occupazione.
In attesa del 30 maggio
Si può rispondere a questi rilievi che è meglio attendere il 30 maggio, ossia l’annuncio ufficiale della chiusura della procedura d’infrazione. Cautela tale da sembrare timore reverenziale, o forse paura. Non solo Roosevelt, ma anche la Lucia di Alessandro Manzoni in una frase famosa de “I Promessi Sposi” dice, nel lazzaretto di Milano, “Paura di che”?

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