venerdì 10 maggio 2013

La religiosità in Puccini in Corriere Musicale del 10 maggio

La religiosità in Puccini
Scritto da Giuseppe Pennisi il 10 maggio 2013 in Libri · 0 Commenti
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Libri  Un recente saggio di Oriano De Ranieri approfondisce l’aspetto problematico della fede nelle opere e nella vita compositore

di Giuseppe Pennisi

La religiosità degli intellettuali italiani, e dei compositori, nel periodo tra la metà dell’Ottocento e gli Anni Trenta del Novecento è un tema sempre intrigante. Il Risorgimento era stato vissuto da molti di loro come una contrapposizione netta allo Stato della Chiesa (almeno sino alle graduali aperture che sfociarono nei Patti Lateranensi), il positivismo aveva soppiantato l’idealismo (alcuni filoni del quale avevano peraltro preso un sentiero laicista, più ancora che ateo), il progresso tecnologico e l’industrializzazione trionfante  si contrapponevano ad una religiosità che, in Italia, aveva caratteristiche molto legate a quelle della società e dell’economia rurale. Chi scrive ha esplorato alcuni di questi temi su La Nuova Antologia, Il Foglio e Avvenire, specialmente per quanto riguarda Verdi: da una formazione cattolica, alla perdita della Fede, al rifiuto dell’ateismo lieto di Giuseppina Strepponi, ad un ateismo dubbioso e tormentato che lo segue per tutta la vita e la cui evoluzione è apertamente mostrata dalle sue opere (in particolare nelle ultime).
pucciniOriano De Ranieri, studioso lucchese che ha già prodotto lavori interessanti su Puccini (Giacomo Puccini: luoghi e sentimenti, Lucca 2004 e 2007, Puccini e le Donne: la famiglia , gli amori e la musica, Lucca 2008) scava ora nella religiosità di Puccini, un lato oscuro perché poco noto e soprattutto poco studiato: nell’opinione comune, Puccini e la generazione dell’Ottanta, al pari del resto della scapigliatura, è vista in generale come agnostica con forti tendenze anticlericali. È utile ricordare che il lavoro di De Ranieri nasce da una tesi di laurea in Scienze Religiose – conseguita dopo quella in lettere avuta anni prima con un lavoro su un periodico del Settecento. De Ranieri, inoltre, è stato per oltre trentacinque anni giornalista professionista, in varie testate, alcune delle quali di tendenza manifesta cattolica. Si sarebbe, quindi, potuto pensare ad un saggio di parte in cui la Fede dell’autore (e l’amore per il compositore conterraneo) orientassero l’analisi più della ricerca storica.
Il lavoro è, invece, una meticolosa analisi per «cercare di rilevare, nella vita ed in alcune opere di Puccini, i segni della Fede». Il saggio scava, innanzitutto, nella biografia di Puccini: l’ambiente familiare, l’attenzione sin da bambino alla musica sacra, gli studi in seminario, il rapporto intenso con la sorella monaca, la crisi esistenziale della maturità, la richiesta di Sacramenti quando, a Bruxelles, comprese che la sua avventura terrena era giunta al capolinea. Nell’ultimo, vasta, capitolo, il lavoro analizza le opere sempre alla ricerca di indizi: la ricerca dell’assoluto nei lavori giovanili per la scena, la svolta disperata di Manon Lescaut, lo stupore della morte che colpisce Mimì, le domande sul perché del male in Tosca, i falsi valori che uccidono  Madama Butterfly , la via della Redenzione de La Fanciulla del West, il riscatto di Magda ne La Rondine, la disperazione de Il Tabarro, il misticismo di Gianni Schicchi, il misticismo di Suor Angelica, il clima di trasfigurazione che avvicina alla morte in  Turandot.
Ne risultano molti aspetti della personalità di Puccini ignorati, non conosciuti o poco noti anche a musicologi attenti come Julian Budden e Leonardo Pinzauti. Questi aspetti ed i numerosi indizi non oscurano, però, che Puccini (come gran parte degli intellettuali del suo tempo) avesse una religiosità formale (per i familiari) e che si rivolgesse ad essa in momenti particolari, come il timore del dopo all’approssimarsi della morte, più che una vera e propria Fede. Il libro trascura di sottolineare come l’esplosione dell’eros nella poetica di Puccini (dopo anni di allontanamento della scene dalla metà dell’Ottocento) non sia collegata (come nel romanticismo tedesco) ad un thanatos che porta all’Alto; è molto sensuale e terrena. Si pensi, ad esempio, alla carica erotica nel secondo atto di Manon Lescaut od a quella che pervade Madama Bufferfly e La Bohème, per non parlare del mondo senza Dio de Il Tabarro e Gianni Schicchi. In sostanza, con l’eccezioni di pochi momenti (da attribuirsi più a consuetudini sociali dell’epoca, e del pubblico che frequentava i teatri), il mondo interiore di Puccini resta agnostico, ove non apertamente ateo.
Non tiene conto, poi, di una crisi esistenziale artistica (lo scontro con il tardo romanticismo tedesco, l’irrompere di Debussy, i primi segni di dodecafonia) più che religiosa. Budden ha capitoli importanti in materia. In effetti, ci sono chiare indicazioni che Puccini non riuscì a comporre la scena finale di Turandot (intrisa di carnalità terrena e non certo rivolta a Dio) dopo avere ascoltato, a casa della famiglia dell’autore, l’esecuzione al pianoforte di Die tode Stadt di Erich Wolfgang Korngold, allora appena ventiduenne, ebreo non osservante e probamente neanche credente, cresciuto nella Vienna di Freud. Comprese che il compositore austriaco era riuscito in ciò che lui stesso tentava da mesi per il finale di Turandot: un erotismo visionario e macero con echi di Debussy e della nuova musica che stava nascendo nella capitale austriaca. In breve, il lavoro di De Ranieri  arricchisce se letto con occhi laici.

Oriando De Ranieri La Religiosità di Puccini- La Fede nelle Opere del Maestro | Introduzione di Simonetta Puccini | pp.120, Zecchini Editore Varese 2013 € 19



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