mercoledì 15 maggio 2013

Austerità e crescita sono conciliabili? in L'Indro del 14 maggio



OpinioniItaliaEconomia
Croci e delizie del teorema di Reinhart e Rogoff
Le conseguenze sul Pil delle attuali politiche di bilancio
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giovannimorini #Letta se hai le palle metti a bilancio il 40% del PIL che non sperperate e rubate yesterday · reply · retweet · favorite
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epo71 @fgarimberti però sto aspettando ancora la sua risposta a domanda crescita pil 2,5 con pareggio bilancio 22 hours ago · reply · retweet · favorite
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fedemarke PIL Ita giù per 7trimestre di fila. FiscalCompact -50mld€ di debito anno. Con pareggio bilancio com'è possibile crescere?! 7 hours ago · reply · retweet · favorite






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Giuseppe Pennisi
Martedì 14 Maggio 2013, 20:27

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Premessa
Il 13 maggio, l’Unicef ha diramato sul web (il cartaceo è in arrivo) un interessante studio di Isabelle Ortiz e Matthew Cummins su The Age of Austerity in cui si esaminano le previsioni del Fondo monetario per 181 Paesi mettendo a confronto il periodo 2005-07 (ossia prima della crisi) con il 2008-09 (quando scoppiò la crisi), il 2010-12 (la fase centrale della crisi) ed infine le previsioni per il 2013-15 (il periodo dei tentativi per uscire dalla crisi). Lo studio passa in rassegna anche 314 rapporti del Fondo su 174 Paesi sugli effetti sociali dell’’austerità’. Invoca, infine, azioni urgenti per l’attuazione di misure alternative di rilancio socio-economico.
Proprio in questi giorni  il Governo italiano si sta chiedendo è in che misura occorre perseguire una politica di austerità per raggiungere ‘l’equilibrio strutturale di bilancio ’ ove non nel 2013 (come inizialmente proposto) almeno nel 2014 (come previsto nel Fiscal Compound) . L’aumento del disagio sociale (incremento di differenze di reddito e consumo per fasce sociali, del numero delle famiglie incapienti, della disoccupazione giovanile) è documentato dalle rilevazioni Istat e Banca d’Italia ed è stato al centro di un seminario interno del MEF il 23 aprile; le slides presentate dal banchiere Pietro Modiano, nella sua veste di Presidente di Nomisma,  al seminario sono allegate a questa nota. Il nodo centrale è in che misura gli effetti delle politiche di bilancio su differenze di reddito e di opportunità di mobilità sociale hanno carattere di breve periodo  e sono necessarie per giungere ad equilibri finanziari, e ad una riduzione del peso del debito pubblico sul Pil, tale da riavviare un processo di crescita duraturo e sostenibile.
Questa nota ha l’obiettivo di riassumere, in termini non-tecnici (e soprattutto non econometrici) i termini del dibattito e di fare alcune considerazione per ulteriori approfondimenti e contiene : a) una sintesi del dibattito; b) le mie osservazioni sulle posizioni in campo e sulle implicazioni che se ne possono trarre.
I termini del dibattito In estrema sintesi (in poche settimane la letteratura in materia è diventata vastissima), i termini del dibattito possono essere riassunti facendo riferimento a tre testi: a) un libro; b) un paper ; c) un lungo articolo di giornale.
Il libro è This Time is Different: Eight Century of Financial Folly pubblicato nel 2009 da Carmen Reihart e Kenneth Rogoff presso la Princeton University Press  per presentare in modo organico una serie di studi prodotti nell’arco di dieci anni. Il paper è il lavoro Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A Critique of Reinhart and Rogoff’ pubblicato il 15 aprile da  Thomas Herndon, Micheal Ash, e Robert Pollin della Università del Massachussetts a Ahmerst dal Political Economy Research Institute come working paper n 322 . L’articolo è un lungo testo apparso sul ‘New York Times’ del 27-28 aprile (una versione ridotta è stata pubblicata sull’ “International Herald Tribune”)
Non si tratta di una disputa accademica tra econometrici su questioni di lana caprina. Il libro consolida quel ‘teorema di Reinhart e Rogoff’ in base al quale se lo stock di debito pubblico supera il 90% del Pil, la crescita ‘potenziale’ subisce un freno pari ad un punto percentuale del Pil. Nel caso specifico dell’Italia, la  crescita ‘potenziale’ è stata stimata attorno al 2007 da Fondo monetario, Banca centrale europea (Bce) e Commissione Europea , in lavori differenti anche se apparsi quasi contemporaneamente, attorno all’1,3% del Pil (a ragione della struttura demografica e produttiva), ciò vuol dire un drastico ‘tagliadebito’ (quale quello proposto circa sei mesi fa in un lavoro di Astrid) e molti anni di austero rigore, se non si vuole finire in recessione permanente poiché con una crescita ‘potenziale’ dello 0,3%, si sarebbe, alla prima e più piccola intemperie internazionale, ad una contrazione del Pil.
La ‘regola Reinhart-Rogoff’ è diventata ‘dottrina dominante’ nella professione ed elemento centrale di una lettera del 2011 di Olli Rehn, Vice Presidente della Commissione Europea, in cui si richiamavano i Ministri Economici e Finanziari dell’eurozona (e dei PIIGS in particolare) ad osservarla con ‘appropriate’ politiche di bilancio. Era, quindi, sottostante anche alla lettera, con indicazioni più specifiche, inviata, nel novembre 2011, dai Presidenti della Bce e della Banca d’Italia al Governo del nostro Paese. Dunque, ha avuto un peso politico non indifferente nell’interpretazione dei trattati europei in generale e del Fiscal Compact in particolare.
Il lavoro a tre di Herndon, Ash e Pollin confuta il lavoro econometrico su cui si regge la ‘dottrina dominante’ sotto vari profili: i periodi utilizzati, le ponderazioni attribuite a gruppi di Paesi inclusi nel campione, l’esclusione (dal campione) di Paesi (Australia, Canada, e Nuova Zelanda) che per diversi anni hanno coniugato alto debito ed alta crescita. L’analisi di Reinhart e Rogoff, in particolare si basa su un campione di 20 Stati industriali nel periodo 1945-2009 e negli ultimi 200 anni e di 20 Sati emergenti nel periodo 1970-2009. A ciascun gruppo di Stati viene attribuito un peso (di importanza relativa al fine della definizione di implicazioni di politica economica). Secondo il loro paper, mediamente con un debito leggermente superiore al 90% del Pil si cresce al 2,2% non si decresce dello 0,1% l’anno, come quantizzato negli studi di Reinhart e Rogoff.
Quindi, il ‘teorema’ su cui poggia la dottrina dominante a supporto delle politiche di austerità non ha un’adeguata verifica econometrica; anzi, i dati suggerebbero un allentamento delle restrizioni di bilancio che, unitamente a politiche monetarie ‘accomodanti’, stimolino la crescita e, quindi, una riduzione del rapporto indebitamento delle pubbliche amministrazioni. Pil e stock di debito:Pil da ottenersi in buona misura aumentando il denominatore. Il paper sottolinea anche alcuni errori materiali di tecnica econometrica nel libro di Reinhart e Rogoff e nei lavoro che lo hanno preceduto.
Nella loro replica, Reinhart e Rogoff  ammettono alcuni errori materiali di natura econometrica ma sottolineano come il loro ‘messaggio di fondo ’ resti valido:  i Paesi ad alto debito sono spesso quelli in cui ‘l’invecchiamento comporta aumenti delle spese sanitarie e previdenziali e, quindi, trasformazione da risparmiatori a debitori per numerose categorie di percetto ridi reddito’ con seri problemi per i mercati finanziari, oltre per la finanza pubblica: nel loro ultimo intervento (27-28 aprile) propongono non una drastica riduzione del debito ma un aumento dell’inflazione ed un ‘tetto’ agli interessi (se fattibile); in effetti, un’imposta implicita a carico dei titolari di obbligazioni del debito pubbliche. Il dibattito è destinato a continuare a livello tecnico e politico. E’ già centrale  in seno al servizio studi della stessa  – si veda “Fiscal Composition and Long-Term Growth" ECB Occasional Paper No. 1518 di Antonio Afonso dell’Università Tecnica di Lisbona, liberamente scaricabile dal sito Bce da circa una settimana.
Implicazioni di politica economica

A mio avviso, la proposta più recente di Reihnart e Regoff implica anche una manovra sul cambio, una svalutazione (più che un deprezzamento) che può essere attuata da Stati con piena sovranità monetaria ma che, all’interno dell’eurozona, dovrebbe essere concordata tra tutti gli Stati membri e la Bce. A me sembra una proposta di politica economica scarsamente praticabile.
Il loro ‘ teorema’ e la dottrina dominante che ne è emersa hanno un altro punto debole che, in passato, ho esaminato in altra sede: la serie storica di due secoli ha scarso valore e dovrebbe essere esclusa. Grazie ai lavori di Angus Maddison (specialmente The World Economy- A Millennium Perspective, Parigi OECD 2011), si dispone di statistiche comparabili ed affidabili della contabilità economica nazionale (stime del Pil e dei macro-aggregati) dal 1830. Non esiste lavoro analogo per le contabilità dello Stato che sino al secondo dopoguerra hanno seguito metodiche profondamente differenti in base a normative anche esse profondamente differenti. Questa è, ad esempio, una delle ragioni per cui lavori pregevoli sul debito pubblico dell’Italia quali quelli di Vera Zamagni (Il debito pubblico dell’Italia 1961-1987, Istituto Politigrafico e Zecca dello Stato, Roma 1988) e di Antonio Pedone ed altri (Debito pubblico e riforma tributaria, I Quaderni di Economia Italiana, Unicredit 2011) riguardano un solo Stato, tengono conto dell’evoluzione della normativa sulla contabilità pubblica e non hanno un ottica comparata. Anche se non ho effettuato un esercizio econometrico controfattuale, è probabile che eliminando la serie a 200 anni le conclusioni di This Time is Different perdano ulteriore validità.
 E’ utile infine ricordare che la revisione della dottrina dominante sta avendo un impatto anche nel mondo accademico – intellettuale tedesco che a tale dottrina è parso più agganciato. Un esempio è un lavoro apparso in questi ultimi giorni Weathering the Crisis and Beyond- Perspectives for the Euro Area, di Christoph M. Schmidt e Benjamin Weigert, Ruhr Economic Paper n. 406. Il lavoro propone un European Redemption Pact che da un lato rappresenti un forte impegno a favore dell’unione monetaria e dall’altro sia ‘un ponte tra disciplina di bilancio, riforme strutturali e maggior supporto comunitario ai Governi in difficoltà’: ‘il patto comporterebbe due punti essenziali – la codificazione di percorso credibile e coerente di riforme ed uno strumento temporaneo e limitato per il rifinanziamento comune di parte dei titoli di debito in scadenza’. A maggior ragione, quindi, una revisione della tempistica per l’’equilibrio strutturale di bilancio ’ e per la riduzione del rapporto stock di debito pubblico:Pil pare fondata.
Su questo dibattito, si inserisce quello, apparentemente  molto tecnico ma denso d’implicazioni politiche,  fiscal multiplier , da intendersi come effetti della contrazione (o espansione) delle politiche di bilancio sul Pil (non, come apparso in stampa economica italiana, come ‘moltiplicatore keynesiano’ della spesa, ossia quanto indotto si attiva). In breve, le analisi Fmi (ancora in corso) concludono che in fase di recessione economica le restrizioni di bilancio hanno effetti molto più pronunciati sul Pil (-3% invece di – 0,5%) di quando avviene in tempi normali con la conseguenza che le politiche di austerità non solo aumentano il disagio sociale ma rendono più arduo raggiungere equilibrio di bilancio e riduzione del fardello del debito.





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