domenica 14 aprile 2013

Manifesto di Barca e rapporto dei saggi di Napolitano, differenze e analogie in Formiche 15 aprile



14 - 04 - 2013Giuseppe Pennisi
C’è un nesso forte (ma pochi, pare, se ne sono accorti) tra le 83 pagine a stampa fitta in materia economica e sociale – non ho letto quello dei ‘saggi’ sulle istituzioni – e la “memoria” di 49 pagine distribuita da Fabrizio Barca sui partiti del futuro.
Le somiglianze tra i due documenti
I due documenti – quello degli economisti scritto in una prosa più piana e, quindi, di più scorrevole lettura ai “non addetti ai lavori” – delineano una “svolta” in materia economica, sociale e politica. I contenuti e l’ottica sono differenti: i “saggi” guardano principalmente a tematiche immediate con occhiali a breve e medio termine (non perché ignorino il lungo periodo ma poiché la drammaticità della situazione economico-sociale è tale che la “svolta” deve avvenire subito.
L’impostazione del documento di Barca
Barca, invece, inforca il cannocchiale per delineare l’organizzazione politica del futuro, seppellendo una volta per sempre i “partiti di massa” nati all’inizio del ventesimo secolo: parla alla “sinistra” ma le riflessioni si applicano a tutti gli schieramenti. Anche in questo caso, però, la “svolta” non può attendere.
Le basi di partenza
I due documenti hanno lo stesso “sottostante” anche che se non lo esplicitano. Negli Anni Novanta del secolo scorso, un gruppo di Paesi (essenzialmente quelli allora parte dell’Ocse) hanno perso quel monopolio del progresso tecnico che per quasi due secoli ha concesso loro di distanziarsi dal resto del mondo. Da allora, alcuni hanno mostrato grande “efficienza adattiva” nel tener conto dei profondi cambiamenti in corso nella economia e nella politica mondiale: principalmente quelli del Nord America (USA, Canada) e dell’Europa centrale e settentrionale (Austria, Germania, Finlandia, Slovacchia, Repubbliche Baltiche). Altri sono rimasti immobili, si sono addormentati, mostrando scarsa “efficienza adattiva” (anche se nel passato non lontano  avevano dato prova di averne in abbondanza). Per ritrovare l’’efficienza adattiva’ perduta (e risolvere i nodi di produttività e competitività alla base di quelli di finanza pubblica e di debito sovrano), la “svolta economica” (delineata dai ‘saggi’) richiede una “svolta” dei rapporti tra cittadini e Stato (in tutte le sue diramazione) – quindi dare una nuova forma al soggetto politico che viene comunemente chiamato “partito” (e di questa nuova forma Barca tratteggia i lineamenti).
I tratti del cambiamento
Il cambiamento preconizzato tanto nelle 83 pagine dei ‘saggi’ quanto nelle 50 di Barca è profondo. A esso si oppone non solo La Tirannia dello Status Quo dal titolo del bel libro di Rose e Milton Friedman pubblicato, in traduzione italiana, da Feltrinelli nel 1984, ma un nemico più insidioso: la ‘Mediocracy’ , il potere dei ‘mediocri’. Questo è un argomento sviscerato in America già negli Anni Settanta quando ‘The Best and the Brightest’ (I Migliori ed i Più Intelligenti), per mutuare il termine dal titolo dell’ancora affascinante saggio del 1972 di David Halberstam (capo dell’ufficio di Washington del New York Times), hanno voltato le spalle alla politica e si sono dedicati ad altre attività. In Europa, viene analizzato relativamente da poco tempo specialmente da due economisti italiani che lavorano all’estero (Andrea Mattozzi dell’Istituto Universitario Europeo e Antonio Merlo del Dipartimento di Economia dell’Università di Pennsylvania). Tra i loro lavori, particolarmente utile il saggio in cui modellano le ragioni per cui i partiti politici scelgono deliberatamente ‘mediocri’ nei loro processi di carriera interna e per cariche elettive. La “mediocrazia” ha in Italia radici profonde e il principale ostacolo alla riforma dei soggetti politici proposta da Barca e, quindi, della ‘svolta’ in economia e nel sociale che detti soggetti politici sono gli unici titolati a fare.
La mediocrazia
In America, l’avvento della “meritocrazia” (da cui si è faticosamente usciti) è da imputarsi alla sconfitta in Viet-Nam. In Europa, le ragioni sono più complesse; è molto radicata nei Paesi i cui gruppi dirigenti politici sono più “eurocentrici” e meno aperti all’integrazione internazionale (Italia, Francia, Spagna, Portogallo). E’ tema che merita grande attenzione. Dovrebbe essere sviscerato non solo da Barca ma delle fondazioni ed associazioni di vario colore politico nate in questo ultimo quarto di secolo. Se non si scioglie questo nodo, non resta che il declino

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