mercoledì 10 aprile 2013

L’Italia? Washington ci snobba e Bruxelles sghignazza in Formiche del 10 aprile



10 - 04 - 2013Giuseppe Pennisi L'Italia? Washington ci snobba e Bruxelles sghignazza
Ormai siamo quasi considerati un "non Stato" o un "non Paese". Il caso del viaggio in Europa (non in Italia) del segretario al Tesoro Usa e dei documenti programmatici da inviare alla Commissione europea
Dato che il marito (mio zio) aveva dilapidato il (cospicuo) patrimonio (ivi compresa quanto portato in dote dalla moglie), mia zia Maria si era trasferita da un lussuoso attico ai Parioli a un modesto quartino all’Appio Latino. Quando qualche parente andava in visita, lo accoglieva dicendo mestamente: Dove siamo finiti?
Cosa c’entra questo ricordo di “cronaca familiare” con la politica economica di cui il vostro chroniqueur si diletta a scrivere? Ci azzecca, ci azzecca!, avrebbe detto Antonio Di Pietro. E questa volta avrebbe avuto ragione.
Lew snobba l’Italia
Ormai siamo quasi considerati un “non Stato” o un “non Paese”. Il Segretario al Tesoro Usa, Jacob J. Lew, si è recato in Europa per 48 ore (8-9 aprile) per spingere le autorità europee sulla via della crescita. Ha avuto incontri con la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, e discussioni a Parigi e Berlino con i governi di Francia e Germania. In Italia (che si vanta di essere il terzo Stato o Paese più importante dell’eurozona e la seconda potenza industriale dell’area dell’euro) non ha fatto neanche uno scalo tecnico.
In effetti con chi avrebbe parlato? L’esecutivo in carica, pur non sfiduciato né dal Parlamento eletto un mese e mezzo fa né dal precedente, è dimissionario da circa cinque mesi ed è tecnicamente in funzione unicamente “per l’ordinaria amministrazione”. Del “governo per il cambiamento” c’è traccia unicamente nei discorsi del segretario del Pd, Pierluigi Bersani (PLB) cui fa da contrappunto il Movimento Cinque Stelle (M5V) con il coro del Verdi, il coro a Dio a suon di pernacchie.
Bersani e Grillo visti da Washington
Dato che Bersani non si sente umiliato, questa sceneggiata, secondo Washington, potrebbe durare a lungo per il sollazzo, forse, degli italiani, senza meritare però il prezioso tempo dei componenti dell’esecutivo americano. Tanto più che Amministrazione Usa e business community degli Stati Uniti fanno delicatamente capire che a loro non dispiacerebbero “larghe intese” in grado di affrontare i nodi strutturali dell’Italia e, al tempo stesso, mostrano crescente attenzione per il Movimento 5 Stelle (M5S), dato che considerano logoro e arrivato al capolinea il gruppo dirigente dei partiti tradizionali (Pd in prima fila, dato che insiste tanto per qualcosa che non può avere: “grillini” pronti a mettersi all’incanto). Con il cannocchiale dalle sponte del Potomac, puntato verso il Tevere, l’ideale sarebbero intese così larghe da includere il M5S i cui parlamentari sono giovani, poliglotti e ben istruiti.
I rapporti Italia-Bruxelles
Dove sono finiti! viene detto anche a Bruxelles. Entro il 15 aprile, devono arrivare alle istituzioni europee il Documento di Economia e Finanza (Def) ed il Programma Nazionale delle Riforme (Pnr), il primo delinea le misure per restare nei limiti del Fiscal Compound ma anche attuare una politica di sostegno alla crescita. Il secondo deve indicare “le riforme” per i prossimi cinque anni. I due documenti verranno approvati dal Consiglio dei Ministri nostrano entro il fine settimana e recapitati a Bruxelles, ma un autorevole ministro ha già detto che il prossimo governo (se e quando ci sarà) potrebbe inviarne altri.
La questione del Programma nazionale delle riforme
In effetti, il PNR riguarda riforme, delle due l’una: o il Governo “per il cambiamento” è già in carica (il cui leader si vanta di avere sorretto interamente sulle proprie spalle il governo precedente, quello ora destinato all’’ordinaria amministrazione’) o non si capisce cosa venga a fare un altro esecutivo se l’attuale ha già predisposto un piano quinquennale di riforme e presentato agli altri 26 dell’Unione Europea. Vista da Rue de la Loi di Bruxelles, mentre gli indicatori economici italiani parlano di recessione ancora grave, aumento della disoccupazione ed espansione dell’area delle povertà, c’è chi si è impegnato nella commedia dell’arte senza rendersi conto che il suo bacino elettorale ha toccato, in termini di voti, il minimo storico dal 1961.
Tra lazzi, frizzi  e forse anche il ritorno della sedute spiritiche, a Washington ci si impipa di noi ed a Bruxelles si ride. Dove siamo finiti!

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