mercoledì 20 febbraio 2013

Una proposta per digitalizzare l’Italia in Formiche 20 febbraio

Una proposta per digitalizzare l’Italia

20 - 02 - 2013Giuseppe Pennisi
Una proposta per digitalizzare l'Italia
E’ imbarazzante: proprio mentre in Italia, su impulso europeo, veniva lanciata un’Agenda Digitale, con proposte fritte e rifritte (cambiando ancora una volta nome ad agenzie un po’ vetuste e con la resurrezione di ‘cabine di regia’ decotte), la stampa specializzata dava la notizia della Digital Concert Hall, una nuova applicazione creata dai Berliner Philharmoniker per assistere su iPhone (dalla versione 4), iPad e iPod touch a tutti i concerti in diretta della stagione di Berlino, nonché quelli presenti in archivio, per guardare i video didattici e le interviste agli artisti, oltre che accedere a tutte le biografie dei musicisti.
Una notizia per noi imbarazzante in quanto non solo Comuni (grandi e piccoli) non sono collegati per il rilascio dei certificati più banali ma neanche molti dicasteri riescono a dialogare tra di loro con qualcosa di più sofisticato della posta elettronica (ormai da considerare l’archeologia del digitale). I dati sono allarmanti. Siamo indietro in termini di produttività del lavoro rispetto ai maggiori Paesi europei (e per questo motivo da vent’anni siamo in ristagno ed abbiamo una recessione meno grave solo di quella che travaglia la Grecia). Dati Ocse e Banca mondiale confermano che esiste una correlazione tra digitalizzazione dell’economia e della società, da un lato, e produttività del lavoro, dall’altro; ce lo ripetiamo da anni, tra un piagnisteo e l’altro.
In termini di numero assoluto di occupati nei settori nel perimetro dell’Information Communication Technology, ICT, (afferma un lavoro recente della Banca d’Italia) non siamo distanti dalla Francia (Paese la cui popolazione ha dimensioni simili alla nostra) ma molto distanti dalla Gran Bretagna (altro Paese con popolazione quantitativamente analoga alla nostra) e , ovviamente, dalla Germania (la cui popolazione ed occupazione superano del 25% quella dell’Italia). Se però si scava nei dati ci si accorge che in termini di formazione tra gli specialisti di ICT in Italia, quelli con una laurea (almeno triennale) o titolo di studio equivalente sono meno della metà di quelli in Francia, Gran Bretagna, e Germania e il 60% di quelli della Spagna. Se come gli economisti sostengono da decenni, l’istruzione e la formazione sono elemento importante per la produttività del lavoro, la composizione degli specialisti in ICT per titolo di studio ha probabilmente a che vedere con gli esiti (sconfortanti) italiani.
L’Agenda Digitale – è vero – contiene geremiadi, giaculatorie ed anche novene sull’esigenza di una migliore e maggiore formazione degli addetti al settore, in particolare degli informatici. Non si domanda, però, perché alle Facoltà d’Ingegneria Informatica non si facciano lunghe file per iscriversi e non si studi con profitto con l’obiettivo di aiutare al più presto se stessi e l’Italia. E’ colpa del solito ‘destino cinico e baro’, della  ’crudeltà’ dei docenti, dell’ ‘insipienza‘ offerta dagli studi, ad esempio, in Scienze della Comunicazione? Sulla base di altri dati Istat e Bankitalia, vorrei formulare A Modest Proposal. Non come quella di Jonathan Swift che in un pamphlet così intitolato proponeva, ironicamente di risolvere il problema delle carestie in Irlanda, dicendo agli irlandesi (fecondi di tanti bambini) di mangiarsi i propri figli per non morire di fame e per ridurre il numero di potenziali ‘morti di fame‘.
La produttività media nel settore ICT dell’Italia è pari a circa 80.000 euro l’anno , in linea con quella della Francia ma inferiore a quelle di Gran Bretagna ed Germania (verosimilmente le differenze in struttura professionale- livello formativo degli addetti incide sulla differenza). Sempre in Italia è oltre il doppio di quella del settore privato in generale (38.000 euro). Ancora il valore aggiunto medio generato da un addetto all’ICT sfiora i 56.000 euro. A confronto, lo stipendio lordo di un ingegnere ICT è sui 40.000 euro e quello di un diplomato sui 30.000 euro. In breve, il sistema di incentivi è distorto e ciò spiega sia perché le iscrizioni a Facoltà informatiche sono relativamente basse sia perché i migliori emigrano sia infine, perché, per colmare (in parte) il fabbisogno ne importiamo dall’India. La ‘cabina di regia‘ e la rinata Agenzia si occupino prioritariamente di questo problema. O si preparino ad un hara-hiri di gruppo.


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