lunedì 14 gennaio 2013

Le insidie della Francia in Mali in Il Velino del 15 gennaio



Le insidie della Francia in Mali
L’esito può essere disastroso, come lo è stato dieci anni fa nella regione dei Grandi Laghi ed in Congo, e più recentemente in Libia
di Giuseppe Pennisi - 14 gennaio 2013 14:53 fonte Il Velino/AGV Roma
Perché esco dai miei campi consueti di commentare di politica economica (e di ‘chroniquer’ musicale per trattare della nuova avventura ‘coloniale’ francese? Nei 18 anni passati in Banca Mondiale e nei quattro passati alla FAO ho lavorato prevalentemente sull’Estremo Oriente e sull’Africa a Sud del Sahara. Ho avuto modo di conoscere Paesi, Capi di Stato, Ministri , accademici e soprattutto tanta gente comune. Il Mali è stato il mio ‘battesimo’ africano: vi passai sei settimane nell’aprile-giugno 1969 e da allora ho avuto modo di visitarlo molte altre volte, riuscendo a masticare un po’ di Bambara, la lingua dell’etnia dominante nel Sud. Il Mali ed i suoi confini geografici sono frutto dell’epoca coniale, quando Gran Bretagna e Francia si divisero la zona immediatamente a sud del Sahara in due parti, per l’appunto il Sudan francese ed il Sudan britannico. Dopo l’indipendenza, quello ‘francese’ prese il nome di un antico impero africano (per l’appunto il Mali) e fu une dei due Paesi dei quella che era stata l’Africa coloniale francese a schierarsi non con l’antica metropoli ma con il Patto di Varsavia, prima, e con la Cina , poi. Nel 1969, la Banca Mondiale fece una prima profonda analisi economica del Paese , dopo che un nuovo Governo (militare) aveva messo alle porte i russi e raffreddato i rapporti con i cinesi. Nell’ambito dell’antico impero del Mali convivevano varie etnie e forme statuali (come nel Sacro Romano Impero nel Seicento); negli Settata ed Ottanta, nonostante il Paese fosse formalmente una Repubblica , da Mopti a quello che ora è il Burkina Faso molto questioni venivano risolte nell’ambito delle regole tradizionali del Regno Dogon , il cui Re (educato a Parigi e Mosca) ho più volte incontrato. Nonostante l’influenza francese, e l’esistenza di una bella Cattedrale a Bamako, il cristianesimo non hai fatto troppa strada. Le popolazione era, ed è, o animista o mussulmana ; non per nulla in Mali ci sono magnifiche Moschee (stupenda quella di Mopti, contornata dal fiume Niger e dai suoi affluenti) e l’ormai abbandonato grande centro universitario e culturale di Timbuct . Dissidi etnici sono sempre stati una caratteristica della regione. Prima dell’arrivo degli europei, venivano risolti o in modo cooperativo per problemi di sopravvivenza ecologica (si decideva collegialmente nella transumanza quali uomini e quali bestie venivano lasciati indietro quando il pascolo si inaridiva) oppure con guerre. Chi perdeva , diventava schiavo del vincitore e dal Seicento veniva portato all’isola di Gorée, di fronte a Dakar (di fronte a Dakar), per essere venduto di solito a mercanti portoghesi. I contrasti e le lotte tra clan ed etnie sono sempre stati endemici come lo erano nel Sacro Impero Romano in Europa ed in India tra i Rajput. Con lo sviluppo tecnologico, in questo terreno si alimenta inevitabilmente il terrorismo. Mentre più voci esultano per l’intervento della Francia in Mali, ne vedo serie insidie. L’esito può essere disastroso, come lo è stato dieci anni fa nella regione dei Grandi Laghi (Ruanda - Burundi) ed in Congo, e più recentemente in Libia. Anche se si giungerà ad una tregua (come in Costa d’Avorio) sarà probabilmente di breve durata ed aggraverà i sentimenti anti-europei ed anti-cristiani (si veda cosa sta avvenendo in Nigeria). Cosa fare? I problemi sono millenari: meglio lasciare che i Bambara, i Dogon, i Tuareg , i Kita, i Fulani, I Boufalabé se li risolvano tra loro come fanno da sempre. Oppure con un intervento dell’Unione Africana . Oppure ancora con quello delle Nazioni Unite. Un supporto armato dell’ex-metropoli coloniale (benedetto dall’Europa) in favore dei Bambara, rischia di aggravare la situazione in Mali e di esportare nuovo terrorismo in Europa.

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