mercoledì 28 novembre 2012

OPERA, A ROMA LA “MALEDIZIONE” DI SIMON BOCCANEGRA in Il Velino del 29 novembre



OPERA, A ROMA LA “MALEDIZIONE” DI SIMON BOCCANEGRA

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Roma - Alla presenza del Capo dello Stato, del presidente del Consiglio, di svariati ministri e del sindaco Gianni Alemanno, il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato ieri sera la stagione 2012-2013 con “Simon Boccanegra”, una delle opere “maledette” di Giuseppe Verdi. Fu un tonfo alla “prima” a La Fenice nel 1857; rimaneggiata, ebbe esiti modesti a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Riconcepita, con l’aiuto di Arrigo Boito, fu un successo di breve durata quando la versione adesso corrente raggiunse La Scala nel 1881. Dal 1934, quando venne rilanciata a Roma, è giunta gradualmente alla consacrazione internazionale all’inizio degli anni ‘70 grazie a due edizioni molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale e quella di Claudio Abbado, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine); nel 2000, Abbado ‘rilesse’ “Boccanegra” al Festival di Salisburgo: una tinta più scura ammorbidita dalla brezza marina. La “maledizione” è da imputarsi non solo a un libretto intricatissimo ma anche e soprattutto ad una partitura bifronte, rivolta lanciata verso l’avvenire (si pensi all’impiego dei fagotti e del clarinetto basso impensabili se Verdi non avesse ascoltatola la musica di Wagner), pur se rivolta ancora verso il passato. Ciò rende particolarmente difficile la direzione musicale del lavoro. Tanto che un verdiano come Riccardo Muti ha deciso di affrontarlo a 71 anni proprio per questa inaugurazione romana. Arduo inoltre trovare tre voci gravi (ciascuna, però, differente dall’altra) per i tre protagonisti maschili.

L’intreccio è un sofferto apologo. Nella Genova del Duecento, il 25enne Simone, uomo del mare, entra in politica nella speranza di sposare, tramite l’ascesa sociale, la donna amata, una patrizia. Diventa Doge ma la sua donna muore e la loro figlia viene rapita. Per un quarto di secolo esercita il potere diventando sempre più solo e più lontano (anche dal mare). Quando ritrova la figlia e scopre affetto paterno per il giovane di cui lei è innamorata, il potere lo annienta, proprio mentre sta per riavvicinarsi definitivamente al suo mare. A questo dramma “privato”, se ne affianca uno “pubblico”: l’appello alla fine delle guerre tra Genova e Venezia ed il sogno di un’Italia unita innescano i tradimenti e la catarsi finale, illuminata, però, dalla speranza che il giovane genero potrà proseguire il cammino tracciato. Il significato dell’apologo è semplice: un giovane imprenditore è indotto a “scendere in campo” per sposare la donna che ama, ma gli intrighi della politica gli distruggono la vita privata perde la promessa sposa prima delle nozze, gli viene rapita la figlia. Quando ritrova la figlia e la vita, dopo 25 anni, sembra diventare serena, di nuovo gli intrighi lo uccidono. Verdi sentiva in modo particolarmente forte il dramma paterno avendo perso i propri figli bambini.

Sotto l’aspetto scenico e drammaturgico, Dante Ferretti e Adrian Noble presentano una versione tradizionale ma di lusso, molto differente da quella stilizzata vista tra il 2007 ed il 2010 a Bologna, Reggio Emilia, Palermo e Parma. Siamo decisamente in una Genova dell’inizio del Rinascimento, con qualche accenno alla futura industrializzazione. Stupendi i costumi di Maurizio Milenotti. Scene molto belle ispirate alla pittura vedutista. Molto curata la recitazione. Sotto il profilo musicale, Muti appare vicino alla seconda lettura data all’opera di Abbado. Anche se con una bacchetta personalissima: si pensi all’impiego dei fagotti e del clarinetto basso, inconcepibile senza l’esperienza wagneriana, in particolare del “Tristan und Isolde”. Sfoltito da tutti i ciarpami tipici del melodramma, “Boccanegra” altro non è davvero un sofferto apologo. La regia di Adrian Noble, le monumentali scene rinascimentali di Dante Ferretti, e la curata la recitazione rendono lo spettacolo di livello e giustificano le vere e proprie ovazioni al calar del sipario. Il baritono romeno George Petean è un Doge statuario con una vocalità ben distante da quelle delle altre tra voci gravi- Quinn Kalsey, Riccardo Zanellato e Dmitry Belosolkiy, cuore della parte politica. Francesco Meli e Maria Agresta sono efficaci e toccanti nella giovane coppia al centro della parte privata. All’applausometro, Meli ed Agresta hanno trionfato sugli altri.   (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 28 Novembre 2012 14:53

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