lunedì 29 ottobre 2012

SIEGFRIED NELLA FORESTA ARGENTATA in Il Velino 29 ottobre



SIEGFRIED NELLA FORESTA ARGENTATA

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Roma - Siegfried, terza giornata de L’Anello del Nibelungo, in gergo il Ring (che verrà presentato integralmente in giugno), è in scena alla Scala sino al 18 novembre. Siegfried è la più breve delle tre “giornate”. Comporta un complicato allestimento con draghi, nani e, come protagonista, un fanciullo quasi imberbe, coperto solo di pelli (nonché in una lunga scena, quella del bagno nel sangue del drago, totalmente ignudo) ma con la voce da heldentenor (tenore eroico): questa produzione, in collaborazione con la Staatstsoper di Berlino ha una carta vincente nell’ancor giovane ed attraente Lance Ryan, ma solo nell’allestimento del Metropolitan si è trovato (per caso: sostituzione del titolare ammalato) il cantante con la voce ed il fisico perfetti per il ruolo: il texano Jay Hunter Morris in grado di cantare, saltando da una parte all’altra del palcoscenico, con il minimo degli indumenti (quelli che pure un atleta deve avere per esercizi ginnici arditi). Con voci quasi interamente maschili nei primi due atti, poi, è opera densa di descrizioni (la foresta e i suoi misteri- rese mirabilmente va von Karajan) ma con forti pulsioni eroiche (si riascolti Furtwangler o Kemp) pur nei toni talvolta di un idillio quasi intimista (nelle letture di Solti, Boulez e Boehm). Inoltre, c’è uno stacco netto tra i primi due atti e gran parte del terzo dove domina l’incredibilmente libidinosa (per metà Ottocento) scena finale.


Trascorsero 12 anni prima che, completato il resto, Wagner compose questa parte conclusiva. L’analisi della struttura del terzo atto e in particolare dell’ultima scena mostra, che per trovare note e accordi, Wagner sarebbe dovuto scendere nell’eros di Tristan und Isold, caratterizzato da una scrittura quasi interamente cromatica con accenti tali da anticipare la dodecafonia. E risalire nell’esplosione di gioia di vita tutta diatonica dei Meistersinger. Ucciso il drago, bagnatosi nel sangue della bestia, conquistato l’anello che dona l’onnipotenza, spezzata la lancia allo stesso re degli dei, attraversato un muro di fiamme, il giovane Siegfried si trova davanti a qualcosa che non ha visto prima: una donna addormentata (Brunhilde). Si accorge della differenza quando le apre la corazza. Ha, per la prima volta nella sua vita, paura. Al ragazzo in procinto di diventare uomo, Brunhilde spiega la differenza tra generi e gli insegna cosa è l’amore e come lo si fa.


Per quei 45 minuti ci voleva una musica ardita e innovativa che sarebbe riapparsa solo nel secondo atto del Parsifal. Davvero strabiliante l’orchestra della Scala e l’intesa con Barenboim, ne risulta un Wagner trasparente, cesellato in ogni dettaglio che non copre mai i cantanti. I tempi scelti sono lenti – sotto il profilo strettamente musicale l’opera dura circa 25 minuti di più delle letture di Karajan, Boulez e Mehta - e quando è richiesto grande volume di suono la trasparenza e l’equilibrio non vengono mai meno. Da brivido l’attacco del secondo atto, la fermezza degli ottoni è magistrale. Le arpe ed i fagotti sono da virtuosismo. È raro poter ascoltare dal vivo un’esecuzione di Wagner a tale livello e di tale precisione. Ottima la prova di Lance Ryan nel ruolo del protagonista, prestante di fisico e chiaro di timbro, selvatico al punto giusto nei modi con un acuto squillante ed un legato tenerissimo. Eccezionale Nina Stimme (Brunilde) al suo fianco nel finale. Di altissimo livello Mime (Peter Brunder, anche caratterista d’eccezione dalla tonante voce chioccia) e Alberich (Johannes Martin Kranzle) dagli accenti drammatici. Come pure la Erda della avvenente Anna Larsson. Buono il Wanderer di Terje Stenvold.

Sulla messa in scena valgono le considerazioni fatte per i due spettacoli precedenti di questo ciclo visti alla Scala. Cassiers inventa scenografie con proiezioni caleidoscopiche sul fondale (alla lunga distraenti), ma la sua regia lascia molto a desiderare. Non a caso alla fine dello spettacolo Cassiers è stato accolto da sentiti buu. Ancora ha inserito delle coreografie come nell’”Oro del Reno” ballerini e mimi che agitano il telo con le scaglie del drago, poi però non lasciano più il campo, giocano con delle spade incrociandole a formare figure diverse, si trasformano in scranno dove va a sedere Siegfried, si raccolgono in gruppi agitando le braccia. Nel primo atto il pavimento coperto di cubi e gabbie di ferro s’inclina fino a diventare verticale, costringendo il povero Wanderer a equilibrismi complicati per non cadere di sotto. Brutti i tubi al neon che si accendono a un tratto, con uno usato come mantice della fucina. Mentre nel secondo atto il flauto costruito da Siegfried pare proprio una serpe che lui tenta di strozzare. Appiattito poi l’incanto dell’uccellino della foresta qui visibile nelle vesti di una fanciulla in lungo. Nonostante le cinque ore e mezzo di spettacolo (due lunghi intervalli compresi). ottima l’accoglienza al cast nel finale, raddoppiata per l’orchestra e Barenboim. (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 29 Ottobre 2012 18:08
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