venerdì 21 settembre 2012

Più produttività? Sì, ma a queste condizioni in Avvenire 22 settembre



l’analisi Più produttività? Sì, ma a queste condizioni


DI GIUSEPPE PENNISI N el negoziato in corso sul ruolo del­la Fiat in Italia, si intrecciano due aspetti solo apparentemente di­stinti: il futuro del mercato dell’auto in Eu­ropa e l’andamento sconfortante della pro­duttività in Italia. Studi micro-economici hanno confermato che la produttività del lavoro negli stabilimenti Fiat del Mezzo­giorno non è inferiore a quella del resto d’Europa. Tuttavia, la buona produttività di un singolo impianto o di un intero set­tore riceve nel lungo periodo una trazione avversa se il resto del sistema galleggia o de­clina.

Prendiamo il comparto europeo dell’auto, sulla base di un lavoro dell’Università di Pavia ( Department of Economics and Ma­nagement Working Paper No.1) in corso di pubblicazione. Lo studio, curato da Mar­cella Nicolini, Carlo Scarpa e Paola Valbo­nesi, esamina gli aiuti diretti ed indiretti concessi dai vari Stati europei al settore nel 1992-2008: negli Anni Novanta e all’inizio di questo secolo, c’è stato, in barba alle gri­da di Bruxelles, un 'gioco dinamico' dei vari Stati a incentivare l’auto (ritenuta trai­no dell’economia) tramite sussidi alla ri­strutturazione sino a quando non è parso chiaro che il nodo era dal lato della do­manda. Le sovvenzioni miravano ad au­mentare la capacità produttiva mentre in una popolazione sostanzialmente sta­gnante, con redditi dispo­nibili stazionari o in dimi­nuzione, la domanda di un bene di consumo durevo­le come l’auto non può che ridursi.

Rispetto al resto dell’Unio­ne europea, l’Italia è un Paese fermo a ragione del­la bassissima crescita del­la produttività. Lunedì 24 settembre, il presidente del Consiglio Mario Monti ed il segretario generale dell’Ocse Angel Gur­ria presenteranno a Roma il progresso del­le riforme strutturali mirate ad aumentare la produttività: ci vorrà almeno un decen­nio per recuperare quello perduto e torna­re al livello del Pil pro-capite che avevamo nel 1999 (la contrazione è stata di oltre die­ci punti percentuali). Una politica per la produttività comporta diversi tasselli: una struttura della produ­zione maggiormente ancorata al manifat­turiero (negli ultimi sette anni la quota del­la produzione del manifatturiero è dimi­nuita in Italia dal 22% al 15% circa), un terziario ad alto valore aggiunto non a bas­sa tecnologia, un maggiore spazio alla contrattazione di secondo livello che incenti­vi aumenti di produttività, scuola e formazione più ef­ficienti e più efficaci, una ri­cerca applicata non mera­mente diretta a trasferire in Italia scoperte ed innova­zioni straniere. L’elenco è lungo. Numerosi fondazioni private (ad e­sempio, Astrid e la Fondazione Rosselli), centri di ricerca pubblici , università, dica­steri ed organi di rilievo costituzionale co­me il Cnel stanno riflettendo su questi te­mi e fornendo contributi. È, però, essenziale chiedersi come e perché l’Italia ha perso quella che è stata, per de­cenni, una delle sue caratteristiche – l’'ef­ficienza adattiva' – e come recuperarla. L’efficienza adattiva è la capacità di adat­tarsi ai cambiamenti strutturali del conte­sto mondiale. Abbiamo mostrato di aver­ne più di altri nel dopoguerra sino all’ini­zio degli Anni Settanta e di nuovo negli An­ni Ottanta. A differenza di altri (Germania in prima luogo) non siamo riusciti ad «a­dattarci con efficienza» alla perdita del mo­nopolio della tecnologia di cui hanno go­duto Usa, Europa ed Australia per circa 200 anni e che non hanno più dalla fine degli Anni Novanta. A ragione di questa perdita un miliardo e mezzo di uomini e donne nel resto del mondo è uscito dalla povertà as­soluta, ma l’esperienza di altri Paesi prova che avremmo potuto evitare di accusare la stagnazione prima e la contrazione poi del­la produttività. La cause forse stanno nel si­stema politico-istituzionale più che nei teo­remi economici.

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