martedì 10 luglio 2012

Danni collaterali dell´eurozona in crisi in Formiche luglio


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Danni collaterali dell´eurozona in crisi
07/07/2012 | Giuseppe Pennisi
Sono una sessantina gli Stati le cui politiche monetarie si fanno a Francoforte e le cui politiche economiche sono fortemente influenzate da quelle definite per l´eurozona. Anche se solo 17 hanno voce in capitolo.
L´eurozona ha seri problemi che difficilmente possono essere risolti nell´arco di poche settimane. Pochi riflettono sui danni collaterali dei travagli dell´euro. Circa un anno e mezzo fa, Formiche ha ricordato come l´area dell´euro sia molto più vasta dell´eurozona a 17; essa include micro-Stati che hanno adottato la moneta unica europea per mera convenienza pratica ed unioni monetarie (come quelle di numerosi Stati africani) che hanno tassi di cambio fissi con l´euro, nonché Stati associati all´Unione europea che per comodità hanno optato per un regime di cambi fissi. Sono una sessantina gli Stati le cui politiche monetarie si fanno a Francoforte e le cui politiche economiche sono fortemente influenzate da quelle definite per l´eurozona. Anche se solo 17 hanno voce in capitolo. In breve, nell´eurozona ampliata a 60, oltre 50 Stati subiscono danni collaterali diretti da quanto sta avvenendo all´unione monetaria.
 
Pochi però hanno pensato alle implicazioni, e ai danni collaterali indiretti, per le unioni monetarie in fieri e in vari stadi di concezione e preparazione che, visto quanto sta avvenendo nel Vecchio Continente, stanno facendo passi indietro. Il caso più significativo è quello dell´area del Pacifico. Il mondo sarebbe più semplice se tre-quattro grandi aree commerciali e monetarie lavorassero con l´obiettivo comune della crescita e della lotta alla povertà.
 
In uno degli ultimi lavori del servizio studi della Banca asiatica di sviluppo Yung Chu Park della Università nazionale della Coera e Chi Young Song della Università Kookmin sottolineano come sia stato accantonato ormai per sempre (vista l´esperienza in Europa) il progetto di dare vita tra una dozzina d´anni a un´unione monetaria del bacino del Pacifico che avrebbe portato a cambi più stabili e a maggiori flussi commerciali e finanziari. Sullo stesso tema insiste il volume collettaneo East Asia financial integration: a road ahead, curato dall´economista giapponese Junji Nagawaka e appena pubblicato da Routledge a Londra. Edwin Truman del Peterson institute for international economics vede anche a rischio il futuro del coordinamento monetario in Estremo Oriente. Con danni per l´intera comunità internazionale. Ramkishen Rajan della George Mason University considera in pericolo la gestione dei regimi dei cambi.
 
Un gran peccato! L´economista sino-americano Yi-Wen in un working paper della Federal Reserve Bank di St. Louis ricorda che un percorso verso un´unione monetaria asiatica, avrebbe messo a buon uso le enormi riserve che giacciono presso l´autorità monetaria cinese. Lo stesso Bin Zhang dell´autorità monetarie di Beijing sostiene in un documento di lavoro che sarebbe utile che le banche centrali asiatiche spostino gradualmente verso lo yuan le loro riserve in dollari Usa. E uno dei principali gestori di fondi asiatici Surjit Bhalla, in un saggio apparso in "Comparative economic studies", affermava che lo yuan sarebbe stato l´euro dell´Asia. Ormai, tutti sogni nel cassetto.

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