giovedì 10 maggio 2012

Quattro Defaults Recenti in Avvenire 11 maggio

Quattro Defaults Recenti Giuseppe Pennisi Nella storia dell’economia, il nodo delle insolvenze relative al debito sovrano è abbastanza recente. Per secoli, anzi per millenni, la prassi del sovrano era di non pagare i propri creditori tanto all’interno quanto all’estero. Non che non si sdebitasse ma lo faceva con medaglie, onorificenze, feudi, cessioni di territori. Probabilmente pochi dei vacanzieri sull’Argentario ricordano che la città di “Cosa” (le cui rovine fanno bella vista sul promontorio) venne eretta su terre donate attorno al 270 avanti Cristo da Quinto Fabio Massimo alle truppe che pur avendo valentemente sconfitto gli etruschi, non avevano ottenuto il “soldo” pattuito e rumoreggiavano (con le loro spade ed i loro scudi). In tempi più recenti, l’allora neonato Regno d’Italia fu solamente un po’ più sofisticato del “temporeggiatore” (l’attributo con cui viene ricordato Quinto Fabio Massimo) stabilendo nei confronti dei propri creditori, interni ed internazionali,in “lire-oro” (vigeva il regime aureo) il”corso forzoso”; pagandoli, quindi, in lire non convertibili. La decisione di imporre il corso forzoso venne presa nel 1866 e durò fino al 1881, per essere poi reintrodotto il 21 febbraio 1894, ma in maniera non ufficiale, quando la Banca Nazionale venne obbligata a concedere al Tesoro un mutuo di 250 milioni di lire al tasso agevolato dell'1,5% in cambio del riconoscimento del corso forzoso per biglietti emessi dalla banca stessa. Con lo sforzo bellico della prima guerra mondiale. l’Italia fu nuovamente obbligata a imporre il corso forzoso per coprire le spese eccezionali e pagare i creditori , interni ed internazionali, meno del dovuto. Di seguito, alcuni casi recenti di insolvenze sovrane. Negli Anni Ottanta Debito Record dei Paesi in via di Sviluppo La crisi del debito estero messicano è particolarmente importante perché fu, negli Anni Ottanta , il detonatore dalla più vasta crisi del debito sovrano degli Stati in via di sviluppo prima dell’America Latina e poi di altri continenti. Una delle più vaste e delle più importanti degli ultimi decenni, alla cui soluzione contribuì , nella veste di incaricato speciale della Nazioni Uniti, l’ex Primo Ministro italiano Craxi, il cui rapporto, approvato all’unanimità dall’Assemblea Generale Onu, fornì la base per tecniche di “insolvenze concordate” applicate ancora adesso. La crisi esplose nell'agosto del 1982 quando il governo messicano dichiarò di non poter più far fronte ai pagamenti delle rate di rimborso dei debiti contratti sul mercato internazionale e dei relativi interessi maturati, sospendendo il pagamento del debito stesso. Tale dichiarazione spinse anche gli altri Stati debitori a dichiararsi insolventi. Vennero individuate ricette specifiche, in gran misura basate sulla sostituzione dei titoli originari con nuove obbligazioni garantite internazionalmente a valori fortemente scontati (tra il 50% ed il 60%) rispetto al nominale iniziale. L’esplosione dei tango bonds con i arrivati dall’Italia Dopo una fase, negli Anni Novanta, in cui con l’abolizione dei controlli sui cambi e la liberalizzazione del commercio con l’estero e del mercato interno, nonché con una riforma monetaria, parve avere ritrovato il percorso dello sviluppo, l’Argentina si trovò con un debito pubblico crescente e sempre più collocato sul mercato internazionale. A complicare il problema, la struttura federale: emettevano obbligazioni sulle piazze mondiali sia il Governo federale sia i singoli Stati; un’abile rete di rivenditori li piazzava al dettaglio in vari continenti (i “tango bonds”). All’inizio del nuovo secolo, la convertibilità venne sospesa ed anche i conti correnti denominati in dollari vennero trasformati in peso, il cui cambio venne lasciato fluttuare liberamente. Ciò creò un vero e proprio pandemonio. Si tentò un ritorno alla convertibilità; tra il 2003 ed il 2006, con l’aiuto del Fondo monetario, ed un programma di conversione del debito, si tornò gradualmente alla stabilizzazione sia della situazione finanziaria interna sia del cambio con l’estero. Il pasticciaccio coreano prima del boom degli ultimi anni I problemi del debito estero dell’Asia esplosero nel 1996 in Tailandia ma il caso probabilmente più interessante è quello della Repubblica di Corea (del Sud). Paese considerato negli Anni Sessanta, dalla stessa Banca mondiale, destinato ad un sempre maggiore impoverimento, ha avuto un rapidissimo tasso di crescita a partire dalla metà degli Anni Settanta. Aspetto peculiare dell’insolvenza coreana (causata, come negli altri Stati del bacini del Pacifico, da eccessivo indebitamento a breve) fu il ruolo del settore privato ed a partecipazione statale. In effetti, quando i rappresentati del G8 si riunirono a Seul, dopo le prime gravi insolvenze, nessuno parve in grado di fornire dati essenziali sul debito complessivo, sulle scadenze, sulle tipologie. Un vero e proprio pasticciaccio. Da un lato, fu necessario un lavoro paziente di ricostruzione del quadro contabile. Da un altro, il Governo intraprese un severo programma di stabilizzazione interna, che comportò fallimenti a catena. Da un altro ancora, il cambio venne fatto fluttuare e ne conseguì una pesante svalutazione (da 800 a 1800 won per dollaro). Crac con il pil pro-capite più alto fre i più alti dell’occidente. L’Islanda conta poco più di 300 mila abitanti ed è uno dei paesi europei con il Pil procapite più elevato, senza un proprio esercito e con un’economia incentrata sulla pesca. Nel gennaio 2008 dichiarò formalmente bancarotta, dopo il fallimento di tutte e tre le banche nazionali con un debito estero pari a 50 miliardi, una cifra enorme e spropositata se rapportata alla modesta economia locale. Sono passati circa quattro e mezzo anni da allora, il fallimento venne considerato una curiosità in quanto la stampa economica e finanziaria era letteralmente travolta dall’esplosione dei mutui americani e della nascente crisi globale. Inghilterra e Olanda( dove risiedevano i maggiori creditori), con la regia del Fondo monetario, hanno proposto all’Islanda un programma per la restituzione in 15 anni di quasi 3,4 miliardi e il governo islandese “gira” la patata bollente sui cittadini chiedendo loro poco più di 100 euro al mese per quindici anni. La medicina non è stata indolore, ma l’Islanda finirà di pagare il debito con il Fondo nel 2014, fra tagli delle spese pubbliche e aumento dei tributi sulla testa della popolazione

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