lunedì 16 gennaio 2012

FONDAZIONI LIRICHE: NON E' PIU' TEMPO DI PIAGNISTEI in Il Riformista del 15 gennaio

FONDAZIONI LIRICHE: NON E’ PIU’ TEMPO DI PIAGNISTEI
Giuseppe Pennisi*
Che impatti avranno sulle fondazioni liriche le misure di finanza pubblica appena varate dal Governo? Per il momento nessuno o quasi ne parla. Eppure appena un anno fa, quasi tutte le 13 fondazioni erano in subbuglio, scioperi si succedevano a manifestazioni sino al Veni, Vidi, Capii dell’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti ad una rappresentazione del verdiano Nabucco al Teatro dell’Opera di Roma ed al successivo “ripienimento” (termine filologicamente più esatto di quello “ripianamento” utilizzato allora sulla stamp) del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) tramite sia un incremento dell’apporto dello Stato sia un aumento delle accise su alcuni oli minerali, un’imposta di scopo finalizzata al FUS. La legge di “ripienamento” del Fus prevedeva un nuovo regolamento per le fondazioni entro il 31 dicembre 2011, termine prorogato di 12 mesi.
I problemi del settore sono stati tamponati, non risolti. Si è portata a termine la stagione 2010-2011 ma la stagione 2011-2012 è stata, per cosi dire, inaugurata dal “commissariamento” di una fondazione – quella di Trieste – che un tempo sembrava tra le più efficienti d’Italia (ed aveva ben nove turni d’abbonamenti) .Non solo poche settimane prima del cambio di Governo , l’allora Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Giancarlo Galan (responsabile per il settore), si è chiesto , a voce alta, se “potremo ancora permetterci ” ,interrogativo tanto più amaro nell’anno in cui si celebrano quei 150 anni dall’istituzione del Regno d’Italia e quindi quel Risorgimento a cui l’opera ha dato un apporto non secondario (si veda Giovanni Gavazzeni, Armando Torno e Carlo Vitali in un libro – O mia Patria- Storia musicale del Risorgimento tra inni, eroi e melodrammi (Dalai Editore, 2011). Nell’occasione, Galan ha citato altri teatri a forte rischio: il Comunale di Bologna, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino . il Carlo Felice di Genova ed il San Carlo di Napoli. Uscendo dal perimetro delle fondazioni liriche ma restando nel settore, l’estate scorsa il Festival Puccini a Torre del Lago si è tenuto grazie a supporto in extremis dall’Estremo Oriente. A fine dicembre è stata annunciata la “stagione lirica” del “mitico” (un tempo) Teatro Regio di Parma: appena due titoli e, se le cose vanno bene, tre nel Festival Verdi in ottobre. In alcuni teatri riprendono gli scioperi a oltranza.

I provvedimenti adottati nella primavera 201quando molto sipari minacciavano di scendere per sempre (ponendo circa 6000 persone in cassa integrazione “in deroga”) sono stati unicamente un sollievo di breve durata – per i teatri e per gli appassionati di musica lirica - in quanto i nuovi trattati europei (se varati) implicano manovre di 50 miliardi di euro l'anno per i prossimi 15- 20 anni al fine di portare il debito pubblico al 60% del Pil. Tali manovre non potranno lasciare indenne un comparto che dal 2001 al 2010 ha accumulato perdite per oltre 216 milioni di euro e debiti per oltre 300 milioni di euro. Tra il 2001 ed il 2009, il totale dei contributi pubblici (FUS più enti territoriali) è passato da 332 a 344,7 milioni di euro; i privati hanno contribuito con una media di 42,5 milioni di euro l'anno; gli incassi da botteghino hanno raggiunto gli 84,5 milioni di euro (rispetto ai 72,2 milioni di euro nel 2001). I costi totali di produzione sono arrivati a 528.4 milioni di euro; quelli per il personale sono cresciuti da 280,5 a 316,6 milioni di euro. Una rappresentazione lirica in Italia costa il 140% della media dell'eurozona, il 250% della media dell'Unione Europeo, anche a ragione di inefficienze difficili da curare- non solo numero di dipendenti molto vasto rispetto alla produzione ma anche abitudini amministrative in certi casi pure ilari. Ad esempio, una ventina di anni fa in un teatro vennero presi a nolo i turbanti per il coro de I Pescatori di Perle a 100.000 lire per sera (ossia tra prova generale e recite) 800.000 lire a turbante; in un altro, agli inizi degli Anni Settanta, si preferì fittare (per non avere problemi di magazzino) le scarpe delle comparse piuttosto che utilizzare dei copriscarpa di stoffa nonostante il prezzo d’acquisto di un copriscarpa fosse inferiore al nolo per una sera di una scarpa.
Pur se tali distorsioni – si spera- appartengono al passato, nel 2009 i nostri teatri hanno messo in scena in media un’ottantina di recite d'opera ciascuno (dalle 125 della Scala alle 25 del San Carlo) contro le 226i recite della Staatsoper di Vienna, le 203 dell'Opernhaus di Zurigo, le 144 dell'Opéra di Parigi, le 177 della Bayerische Staatsoper di Monaco o le 161 della Royal Opera House di Londra. Quindi, la produzione dei 6.000 dipendenti e delle centinaia di artisti scritturati è molto bassa se raffrontata con il resto d’Europa.
Per individuare terapie, occorrono però dati certi ed aggiornati. Tentare di averli vuol dire addentrarsi in un vero e proprio labirinto. Pochissime fondazioni liriche (un paio su 13) pubblicano i bilanci preventivi e consuntivi sui loro siti web (come fanno gran parte dei teatri stranieri); un’unica istituzione – il Rossini Opera Festival – pubblica il “Bilancio Sociale” (con stime del valore aggiunto sociale e degli impatti della collettività). Dalla settimana prossima, sarà on line anche il Bilancio Sociale dell’Arena di Verona. Per dati completi e comparati, inutile rivolgersi all’associazione di categoria, l’Anfols in cui sito web pare in permanente costruzione. Sarebbe auspicabile che nell’”operazione trasparenza” che l’attuale Governo si è impegnato a intensificare , il sito del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (in quanto principale finanziatore delle fondazioni) abbia una specifica “finestra”con un’analisi dei bilanci e della produttività delle fondazioni od almeno un link ai dati dei singoli teatri. Il sito del Ministero –occorre sottolinearlo – è encomiabile per altri aspetti: è uno dei pochi a pubblicare ogni mese un aggiornamento della propria contabilità.
Da dati incompleti, peraltro, si ricava che nel 2010 solo quattro fondazioni non hanno chiuso i conti in perdita: Verona , Roma, Palermo e Napoli. Mentre, però, i saldi attivi di Verona (156.000 euro), Roma (23.000 euro) e Napoli (4.200 euro) sono quasi trascurabili, unicamente Palermo (sino al 2005 considerata un pozzo senza fondo) espone un solido attivo di 1,2 milioni di euro. Inoltre, alcuni delle fondazioni con un modesto saldo attivo hanno un forte debito iscritto sullo stato patrimoniale: Verona ( 14,8 milioni di euro), Roma (27,8 milioni di euro) e, soprattutto, Napoli (54,4 milioni di euro). Lo stesso Massimo palermitano ha un debito di 23,6 milioni di euro E La Scala, il più noto e più prestigioso dei nostri teatri? Il bilancio 2010 chiude con un forte passivo (9,6 milioni di euro).
La svolta effettuata da Palermo dimostra che è possibile mettersi su un sentiero virtuoso dopo essere stati, per lustri, su un sentiero peccaminoso. Non bastano, però, singoli esempi per elaborare una strategia; occorre un quadro completo della situazione finanziaria, della produttività, delle masse artistiche ed amministrative del settore. Se e quando dati completi e corredati da serie storiche verranno resi disponibili si potranno delineare strategie che non siano meramente di breve periodo, e definire parametri di valutazione e di selezione per distribuire nel modo più efficiente e più efficace le scarse risorse pubbliche ed incanalare, con incentivi, le elargizioni liberali di privati. Le difficoltà economiche e finanziarie possono essere la molla per una strategia di risanamento e sviluppo che manca da anni. E diventare, quindi, un’opportunità
I dati frammentari esistenti suggeriscono una riflessione su alcuni punti. In primo luogo, premiare (come è prassi ad esempio nell’attuazione dei programmi a valere sui fondi strutturali europei) le fondazioni che tengono i conti sotto controllo ed hanno alti indici di produttività. In secondo luogo, attuare meccanismi di matching grants (come è prassi nel resto del mondo): privilegiare chi ottiene maggiori risorse sul mercato. In terzo luogo, chiedere che almeno il 70% degli spettacoli sia in co-produzione per ridurre i costi di allestimenti e scritture (il cachet di un artista per 30 recita è ben differente da quello per 3 recite). In quarto luogo, prevedere che gli amministratori delle fondazioni che chiudono il bilancio in rosso per alcuni anni cambino mestiere (e siano passibili di azione di responsabilità). In quinto luogo, concentrare in una o due istituzioni, le numerose scuole d’opera create in questi ultimi anni.. In sesto luogo, rivedere le piante organiche e ridurre il personale in eccesso. In settimo luogo, concentrare le risorse per il balletto in un’istituzione come il Royal Ballet britannico o l’American Ballet Usa che operi in tutte le maggiori fondazioni.
L'opera si salva con dati certi e trasparenti e con azione concrete. Non è più tempo di piagnistei, come disse Piero Bargellini (allora Sindaco di Firenze) con il fango sino alle ginocchia nella Galleria degli Uffizi il 5 novembre 1966.
Al MIBAC Giuseppe Pennisi presiede il comitato tecnico-scientifico per l’economia della cultura ed è componente del Consiglio Superiore.

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