giovedì 22 dicembre 2011

L’ISTRUZIONE FA AUMENTARE LA PRODUZIONEin Il Riformista 23 dicembre

I LIBRI DEI MINISTRI – FRANCESCO PROFUMO
L’ISTRUZIONE FA AUMENTARE LA PRODUZIONE
Giuseppe Pennisi

Il Prof. Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università, è un ingegnere elettrotecnico. Quindi, si destreggia bene con numeri e cifre. Al Circolo –bene di Piazza San Carlo a Torino – il Wrist – amano dire che a chi gli sussurra che l’istruzione costa, non si limita a rispondere con la frase del mitico leader di Fource Ouvrière “Et l’ignorance, alors?” (“E l’ignoranza allora?!),ma sciorina dati e numeri.
In primo luogo, quelli Ocse:l’Italia dedica appena il 9,3% della spesa pubblica a tutti i livelli a scuola e università, rispetto al 13,1% della medi Ocse. Dal 2003, la percentuale è in costante declino (unica eccezione il 2007- sull’onda forse del “Libro Bianco sulla Scuola” del Governo Prodi). In secondo luogo, sono imbarazzanti i dati sui rendimenti dell’istruzione . Ha sulla sua scrivania un libro appena uscito Istruzione Formazione e mercato del lavoro: I rendimenti del capitale umano in Italia" curato da Andrea Ricci ma frutto del lavoro di numerosi suoi colleghi dell’Isfol (Naticchioni, Devicienti,Piacentini, Croce, Mandrone) , istituto con 600 dipendenti ed un Presidente-a-vita i cui studi, quando ottimi, vengono portati a conoscenza di pochi. Profumo è stato attirato dall’impianto quantitativo del libro, basato su microdati provenienti dal mondo sia del lavoro sia delle imprese. Lo studio conclude che nel mercato del lavoro italiano declinano i rendimenti salariali e occupazionali dell'istruzione, c’è una debolezza strutturale della domanda di lavoro qualificato, un legame "interrotto" tra investimento in istruzione e mobilità sociale, una relazione negativa tra contratti a termine (ovvero instabilità lavorativa e un disincentivo ad accumulare capitale specifico da parte dei lavoratori) e profitti delle imprese. Secondo lo studio, il problema dell'economia reale in Italia è soprattutto il declino della produttività, la natura del sistema delle imprese e della classe imprenditoriale (mediamente vecchia e poco istruita), non le supposte rigidità del mercato del lavoro. Passa questo ultimo punto a Elsa Fornero (ricordandole che pure in Corea del Nord la stagione dei Presidenti-a-vita pare terminata), ma si concentra sugli altri.

Hanno riscontro nella letteratura internazionale di cui è da sempre avido lettore.
Nell’ultimo numero della Review of Income and Wealth (Vol.54 , No.4, pp. 658-682), ad esempio, Harald Equist documenta nella Svezia degli Anni Novanta c’è stato (nonostante la crisi economica e finanziaria attraversata dal Paese) un forte balzo in avanti della produttività, ai tassi più alti riscontrati nell’Ocse; un’attenta analisi quantitativa indica che ciò è da attribuirsi più agli investimenti in scuola, università, formazione, ricerca e sviluppo che alle riforme del mercato del lavoro.

Anche l’ultimo documento dell’IZA , l’istituto di studi del lavoro tedesco (che con 40 dipendenti produce una dozzina di analisi pregevoli la settimana pubblicate anche in inglese) – IZA Discussion Paper No. 6171 – suggerisce sulla base di un’analisi comparata che tanto più la formazione è migliore tanto più alta è la produttività dei lavoratori.
Dalla lontana Assam University in India, due economisti di rango , Ranjit Singh e Arup Barman, giunge una proposta: offrire come incentivo “bonus” e “coupon” per investire nella propria formazione. Meglio delle stock options. Merita attenzione.

Nessun commento: