lunedì 26 dicembre 2011

Eurogiochi: deboli e forti nella trattativa a 26 in Avvenire 27 dicembre

Eurogiochi: deboli e forti nella trattativa a 26


DI GIUSEPPE PENNISI

I l grande negoziato a 26 per costruire un’'unione fiscale' come corazza per l’euro è iniziato il 20 di-cembre e continua nei giorni tra Natale e Capodanno al fine di giungere all’'accordo' entro marzo. La trattativa sarà coperta da riservatezza. Ma l’analisi economica ci può aiutare a capire quali sono i punti di forza e di debo¬lezza delle varie parti in campo.
In questo 'gioco' in cui ciascun nego¬ziatore opera su due tavoli – rispetto alle altre 25 'Parti Contraenti' la posta gioco è la «reputazione di buon europeo », rispetto ai propri cittadini «la po-polarità di buon governante» – le apparenze a volte ingannano. Inoltre, c’è un convitato di pietra, che ha però l’asso nella manica. Il giocatore più debole è la Germania: per una ragione oggettiva e per come ha giocato sino ad ora le proprie carte, mettendosi in una posizione difficile su ambedue i tavoli. La Germania di Angela Merkel, nel consesso europeo, ha lo stesso problema di quella di Otto Bismarck: è tanto grande (specialmente se la sua area valutaria ottimale si estende ad Austria, Benelux e Finlandia) che le sue mosse incidono su tutta l’Europa. Non è tuttavia sufficientemente grande da potersi prendere sulle spalle tutti i problemi europei. Con la conseguenza che anche un nodo relativamente trattabile può farle fare uno scivolo¬ne. Ed è precisamente ciò che berlino sta facendo da alcuni mesi: ha adottato la tattica di un 'gioco ad ultimatum' (o vinco tutto o perdo tutto) sia sul piano interno della 'popolarità' sia su quello europeo della 'reputazione'. La giustificazione possibile è che doveva mostrare i muscoli a causa dei forti vincoli domestici (una coa¬lizione traballante). Una volta minacciato di utilizzare il 'bazooka' o lo si spara o si perde 'credibilità'.

Il resto dell’area valutaria (Austria, Benelux e Finlandia) ora si trova nella si¬tuazione di poter condizionare la Ger¬mania per non essere anch’esso tra i perdenti se l’'ultimatum' tedesco si rivelerà un boomerang.
Se ne vedono i segnali: in Irlanda, Slovacchia e Repubblica Cèca stanno crescendo le pressione perché si indica un referendum in caso l’accordo sia simile a quello la cui bozza è stata diramata il 17 dicembre. Lo smottamento potrebbe essere solo all’inizio.

Se le minacce di referendum o, peggio ancora, di una serie di referendum modificassero l’accordo su cui stato po¬sto l’'ultimatum', la Germania, allora, ne uscirebbe come una tigre di carta. Non può contare sull’appoggio della Francia. A Sarkozy, in campagna elet¬orale, interessa un euro-ertice al me-e con grande esposizione mediatica, più che la conclusione di un accordo sui cui contenuti i suoi avversari possono dare un elemento unificante alle varie forze di opposizione. Sarkozy vuole apparire come il «grande mediatore ». Un euro-vertice al mese è stato già ottenuto dalla Francia. ora la tattica è conti¬nuare sino alle presi¬denziali in primavera, facendo slittare di qualche settimana la scadenza di fine marzo. Con la conseguenza di indebolire ulteriormente l’ultimatum di Berlino.

Anche i Paesi considerati a rischio (Portogallo, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna) devono operare sugli stessi due tavoli da gioco. Hanno interesse a che si giunga all’«accordo» per una conferma del loro ruolo nell’Unione monetaria e come premessa per una politica di crescita. Se riuscissero a sfruttare la debolezza della Germania, potrebbero utilizzare la trattativa come opportunità per riscrivere l’art.4 (sulle manovre an¬nuali per giungere ad un rapporto debito/ Pil del 60%) e il Titolo IV sulla 'convergenza' e la crescita. Molto dipende dalla maestria delle loro diplomazie. E il convitato di pietra? È la Gran Bretagna, che può rientrare in gioco quando gli altri hanno scoperto le carte sulla base di una fredda analisi dei costi e dei benefici. Ossia delle proprie convenienze. Cameron ha qualche difficoltà con il suo alleato, ma all’ultimo son¬daggio il 46% dei britannici si sono detti pronti a uscire dall’Ue e solo il 36% a restarci.


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Se i partner «a rischio», sapranno sfruttare i passi falsi di Berlino, potrebbero riscrivere l’articolo 4 del Trattato sul rientro a un rapporto debito/Pil del 60%

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