venerdì 16 dicembre 2011

EURO: RIEN-NE-VA-PLUS in Il Velino 16 dicembre

EURO: RIEN-NE-VA-PLUS
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Roma - Perché il patto salva-euro concluso lo scorso fine settimana tra 26 dei 27 Stati dell’Unione Europea non pare avere convinto i mercati? E perché la Gran Bretagna, additata come reietta dalla grande stampa, non sembra soffrire così tanto (al di la di qualche scaramuccia tra i componenti della coalizione)?

In primo luogo, il patto non esiste. O meglio alle 21 del 15 dicembre (ora di Roma), il testo che le diplomazie economiche e finanziarie di Germania e Francia si erano impegnate a stendere come prima bozza da fornire agli altri (dopo la firma più o meno di un comunicato) non è stato ancora consegnato agli altri 24. Almeno quattro Stati - Danimarca, Repubblica Ceca, Ungheria, e Svezia – hanno fatto le loro rimostranze perché si sarebbero impegnate su un testo che avrebbero dovuto ricevere il 12 dicembre ed ancora non si vede. Un ritardo tecnico dovuto al “rafting”? Non è chiaro. I maligni (nell’ambito dei 26) dicono che il testo non si è lost in translation ma che quando, una volta presa come tavola di bordo le proposte della Commissione Europea, tedeschi e francesi si sono messi all’opera hanno riscontrato numerose differenze di vedute. Sarebbe interessante sapere se in Italia tale testo è arrivato, se verrà diffuso e spiegato prima di un’eventuale firma, e via discorrendo.

In secondo luogo, i tempi sono stretti: si vuole giungere alla parafasi (sigla del documento da parte dei Rappresentanti Permanenti) e alla firma entro marzo per festeggiare con il documento la primavera: dall’inizio di gennaio alla fine di marzo, sono in scadenza svariate centinaia di titoli del debito pubblico dell’eurozona (nessuno ora pronuncia la cifra precisa che si aggirerebbe sui 1500 miliardi di euro). L’accordo sull’”unione fiscale” (per utilizzare il gergo eurocratico) viene visto come una strumento per rendere meno pesante il rifinanziamento. Gli eurocrati e molti politici la pensano così. Non tutti: il ministro irlandese agli Affari Europei, Lucinda Creighton, afferma senza mezzi termini che l’accordo (se ci sarà) potrà essere utile ma non salverà l’euro se non verrà accompagnato dall’impegno della Banca centrale europea. Uno studioso attento come John Grahl, della Middlesex University Business School afferma in un breve saggio in corso di pubblicazione che si prefigura non un’”unione fiscale” ma un‘“unione di vigilanza reciproca” con controlli sempre più severi e sempre più incrociati ma sempre meno efficaci.

In terzo luogo, stanno venendo al pettine i costi della crisi debitoria. Lo studio del Fondo Monetario n.11/80 esamina 154 crisi debitorie nel periodo 1970-2008: mediamente comportano dopo otto anni una perdita di produzione del dieci per cento (ed anche una maggiore perdita di occupazione). Gli fa eco un lavoro della Banca dei Regolamenti Internazionali (il Working Paper No 361) sulla recessione prossima ventura (in effetti già iniziata) e che l’”unione di vigilanza reciproca” potrebbe solo aggravare. Siamo propri sicuri – molto si chiedono - se il salvataggio dell’euro con un maggiore carico fiscale e maggiore vigilanza sia la strada giusta? Se lo chiede Sarkozy che teme di essere sfrattato dall’Eliseo tra qualche mese. Se lo domanda anche Angela Merkel che considera ancora lunga e difficile la strada per uscire dalla crisi. (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 16 Dicembre 2011 11:17

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