giovedì 8 dicembre 2011

COME RISOLVERE I PROBLEMI DELL’EUROZONA In Il Riformista 9 dicembre

I LIBRI DEI MINISTRI- PIERO GIARDA
COME RISOLVERE I PROBLEMI DELL’EUROZONA
Giuseppe Pennisi
Il ”melofilo” (per utilizzare puntuale spesso sulle labbra di Paolo Isotta) Piero Giarda avrebbe probabilmente preferito, dopo una luna carriera universitaria e anno passati a Via Venti Settembre, dedicare questi anni principalmente a girare per teatri a fine di soddisfare la sua insaziabile passione per l’opera lirica. E’ stato,però, richiamato in servizio effettivo tra bilanci, manovra ed adesso anche debiti sovrani, critici ma non tali da essere un detonatore per l’economia mondiale, nelle sue precedenti esperienze di governo.
Ha scovato un’utile sintesi dei problemi sul tappeto nel saggio di Serge L. Wind dell New York University “Eurozone Debt Crisis”, in uscita ma disponibile su supporto magnetico in siti specializzati. Wind critica la Banca centrale europea; se fosse intervenuta tempestivamente non si sarebbe arrivati ad una crisi di tale portata anche se le determinanti di fondo rispecchiano “caratteristiche nazionali e comportamenti che non sarà facile cambiare rapidamente”.
Un “event study”, ossia un caso di studio , di Balint Horvath e Harry Huizinga (ambedue della Università di Tilburg nei Paesi Bassi) analizza in dettaglio le misure adottate il 9 maggio 2010 “per salvare la Grecia” (nel CEPR Discussion Paper No. DP8861). Le conclusioni sono amare: l’intervento europee ha beneficiato principalmente le banche creditrici e la Repubblica Ellenica è rimasta con i guai di sempre (spesso creati con le sue stesse mani). Sempre nella serie CEPR (il Discussion Paper No DP8668) Viral Acharya e Raghramg Rajan (ambedue di New York University) costruiscono un interessante modello per spiegare la “miopia” alla base del debito sovrano.
Riusciranno le manovrone a farci uscire dall’impasse. E’ scettico il collega Roberto Perotti che nel saggio “The :Gain Without Pain” (DP8658) analizza una serie di casi in cui si è puntato sul consolidamento di bilancio (con aumenti delle entrate e riduzioni delle spese) per avviare una politica di espansione rimettendo a posto i conti. In due casi (Danimarca ed Irlanda) la strategia è stata adottata con cambi fissi (come nell’eurozona). Negli altri due (Filanda e Svezia) dopo avere fatto fluttuare il cambio. Nei quattro episodi, c’è stata crescita ma solo in Danimarca alimentata dalla domanda interna. Negli altri, la leva è stato l’export (grazie al deprezzamento del cambio) Anche in Danimarca, dopo tre anni di espansione, c’è stata una lunga stagnazione derivante dalla perdita di competitività. I quattro casi non possono non suscitare dubbi sulla strategia del “consolidamento fiscale espansionistico” che sembra diventato il “Bruxelles consensus” per l’Europa. Al pari dell’ormai dimenticato “Washington consensus” che impregnava le politiche economiche in tutto il mondo.

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