lunedì 14 novembre 2011

APPUNTI PER IL PROGRAMMA DI GOVERNO:RINEGOZIARE MAASTRICHT in Il Velino 15 novembre

APPUNTI PER IL PROGRAMMA DI GOVERNO:RINEGOZIARE MAASTRICHT
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Roma - Domenica 13 novembre, mentre al Quirinale si svolgevano le consultazioni di rito ed a Palazzo Giustiniani si preparava la squadra del nuovo Governo (“tecnico” o “del Presidente” che dir si voglia), probabilmente pochi leggevano il “New York Times” il cui articolo di apertura sottolineava come nonostante i cambiamenti di Esecutivo in Grecia ed in Italia, “ci sono pochi giorni per salvare l’euro”. Il 10 novembre, su un centinaio di quotidiani dei cinque continenti abbonati al “Project Syndacate”, John Quiggin, ordinario di politica economica, tracciava un quadro impietoso e degli errori tecnici del Trattato di Maastricht e di come la gestione della Banca centrale europea (Bce), li abbia aggravati; l’analisi si basava sul suo libro Zombie Economics: How Dead Ideas Still Walk Among Us , un titolo molto eloquente (“L’economia dei cadaveri: come idee morte ancora passeggiano tra noi”). L’11 novembre , la stessa catena di quotidiani pubblicava una “guida su come tornare alla dracma senza troppo soffrire” dell’economista greco Stergios Skaperdas. Numerosi lettori poi avranno notato il dossier sui malanni dell’euro pubblicato su “The Economist” dell’11 novembre. Meno eco del dovuto, però, ha avuto un convegno che il pomeriggio del 14 novembre si è svolto, per iniziativa della Fondazione Roma, nei saloni (affollatissimi) di Palazzo Cipolla - non un evento occasionale sull’onda delle ultime tensioni sui mercati monetari ma il frutto di mesi di lavoro di una squadra guidata dal Presidente della Fondazione Prof. Emanuele F. Emanuele. Al convegno, economisti di rango e di vario orientamento (ad esempio, Rainer Masera, Marcello De Cecco, Paolo Savano) hanno sviscerato i nodi dell’unione monetaria. Le loro analisi appariranno negli atti della riunione, dalla chiara impostazione scientifica. E’ importante sottolineare la conclusione: un appello unanime a rinegoziare i trattati- da quello di Maastricht a quello euro plus.


E’ un appello che deve essere raccolto dal nuovo Governo quale che sia il resto del programma. In un’unione monetaria malata, l’Italia rischia di ammalarsi più degli altri a ragione sia di sue debolezze strutturali sia dell’aggressività dei virus altrui. Se l’appello non è recepito, le altre misure rischiano di essere pure controproducenti. Si può salvare l’euro (riformandolo) e gli europei adottando il metodo di base utilizzato nel 1993-1999 per dare vita all’eurozona: ossia un percorso a tappe ben definite con criteri ed indicatori pre-stabiliti. Si possono anche mutuare lezioni di unioni monetarie in cui alcuni partner sono usciti senza pagare costi troppo alti. Al Fmi si citano esempi recenti in America Latina e più lontani nel tempo in Asia Le vicende di uscita dalla “dollarizzazione” provano che la gradualità (a tappe molto chiare) premia (il caso di Perù e Ecuador) mentre la mossa brusca costa cara (ne sa qualcosa l’Argentina).


Le tappe non devono essere contrassegnate solamente da indicatori monetari e di bilancio ma da puntelli chiari di economia reale per porre al centro del percorso la convergenza delle strutture di produzione e nella produttività dei fattori e dei tassi effettivi di andamento dei prezzi. Qualche accenno c’è nel “patto euro-plus”, specialmente con l’introduzione di indicatori di produttività. Sono, però, pochi ed occasionali. Sarebbe, invece, utile arricchire gli indicatori di economia reale e definire un percorso pluriennale, unitamente a misure di accompagnamento per quei soci del Club che non riescano ad avvicinarsi al resto della cordata. Evitando uscite traumatiche, potrebbero confluire nello SME 2 (l’accordo sui cambi tra le banche centrali di alcuni Stati dell’Ue che non appartengono all’eurozona, da un lato, e la Banca centrale europea, dall’altro). Nell’attesa che una convergenza economica di tipo strutturale riporti tutti sulla retta corsia.


In questo percorso si potrebbero anche riesaminare le parità. Per l’Italia, ad esempio, si dovrebbe porre rimedio all’ errore compiuto a fine 1989: la decisione di entrare nella fascia di oscillazione stretta dello Sme (2,25%) e contestualmente rimuovere le ultime vestigia di controlli valutari. Sarebbe stato preferibile abolire quel che restava dei controlli, fare oscillare per qualche mese la lira nella fascia larga (6%), vedere dove il cambio si assestava e entrare, poi, in quella stretta. Si sarebbe evitato il rischio di un sovrapprezzamento che è ancora un fardello per la nostra economia reale. (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 15 Novembre 2011 07:49

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