giovedì 3 novembre 2011

ALLA SCALA LA “DONNA DEL LAGO” VINCE (MA LA REGIA NON CONVINCE) Il Velino 3 novembre

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ALLA SCALA LA “DONNA DEL LAGO” VINCE (MA LA REGIA NON CONVINCE)
Milano - Uno spettacolo eccellente sotto il profilo musicale, specie per le difficolta di esecuzione. Ma sono discutibili le scelte di ambientare la scena, che dovrebbe essere nella Scozia del Cinquecento, tra i ruderi di un teatro neoclassico

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Milano - Alla Scala è in scena sino al 18 novembre, in joint venture con l’Opéra di Parigi e il Covent Garden di Londra, “La donna del Lago” di Gioacchino Rossini. Un’opera molto importante nella storia della musica ma difficilmente rappresentata per le voci, davvero uniche, che richiede. La produzione in questi giorni a Milano è una rara occasione di ascoltare la schiera appropriate di voci. Unici precedenti, le edizioni della Scala e de La Monnaie e di Amsterdam del 1992, mentre anche i tre allestimenti del Rossini opera festival hanno dovuto fare compromessi sul piano delle voci, segnatamente quella della protagonista, utilizzando dei soprano mentre la vocalità richiesta è quella di un “soprano anfibio” (in grado di svettare la coloratura più fiorita e più alta, ma anche di discendere a tonalità gravi che sfiorano quelle del contralto). Il ruolo è affidato a Joyce DiDonato un raro caso di “soprano anfibio” (come Anna Caterina Antonacci, June Anderson, Frederica von Stade e Sonia Ganassi). A differenza di Muti (La Scala, 1992), che dava risalto allo smalto della scrittura orchestrale, Roberto Abbado e l’orchestra vedono il proprio ruolo essenzialmente nel supportare i solisti (anche quelli minori non ricordati in questa nota per ragioni di spazio) ed il coro, altro vero protagonista del lavoro (di livello nonostante l’improbabile guisa). Di grande suggestione e spessore, oltre alle arie e al duetto del primo atto, il finale del primo e il Terzettone del secondo atto e la scena conclusiva coronata da uno dei più bei rondò composti da Rossini. Spettacolo, quindi, eccellente sotto il profilo musicale. Forse si dovranno aspettare altri vent’anni per ascoltare una “Donna del Lago” di pari spessore. È davvero necessario che se faccia un cd.


Discussa e discutibile invece la regia. Dovremmo essere nella Scozia del Cinquecento ma siamo tra i ruderi di un teatro neoclassico. All’apertura del sipario, i ribelli scozzesi cantano un inno di guerra in frac e con le loro donne in abiti lunghi stile anni Trenta, mentre sorseggiano champagne. Anche le truppe del Re sono in frac e bevono come se fossero al parigino Moulin Rouge nella prima metà del Novecento. Non c’è nessun lago (nel meraviglioso duetto “barcarole”), i due protagonisti marciano sul palcoscenico mentre da una botola esce una stele con segni acquatici di stampo egiziano. Mancano le montagne, i ruscelli, l’altopiano le cascate così vividamente dipinti dalla musica di Rossini. Mentre, pure nelle scene di battaglia, il coro si muove come in un tabarin e i protagonisti sono in ricchi costumi di cavalieri e dame medioevali quali immaginati nel periodo precedente la Prima guerra mondiale. Meglio chiudere gli occhi. E non menzionare chi ha concepito una regia di questa fatta. Vanno apprezzate le regie innovative, anche con trasposizioni di tempo e spazio, ma - lo hanno detto Salieri e Strauss in due deliziose commedie in musica sui rapporti tra parole e note - ci deve essere una corrispondenza tra partitura ed azione scenica. È un problema vasto che merita un dibattito, essendo un tema essenziale per il teatro in musica. (ilVelino/AGV NEWS)
(Hans Sachs) 03 Novembre 2011 10:40

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